venerdì 25 dicembre 2009

Anthill, la gara truccata per l'UMTS, il controllo della telefonia in Italia: prove (riuscite?) di controllo dello Stato

Quando il Consorzio Anthill decise di concorrere per una licenza di telefonia mobile (UMTS) destabilizzò i piani di chi aveva pianificato tutto (o quasi) per raggiungere il controllo totale dell'Italia. Non tutti i protagonisti dell'epoca (in buona parte ancora in sella) si resero conto della vera posta in palio. C'erano quelli che puntavano a qualche munifica regalia, essendo in ballo migliaia di miliardi, e gli altri (pochi) che sapevano di giocare una partita fondamentale per realizzare il disegno massonico deviato che fu del Gran Maestro Licio Gelli, alias P2. I documenti ufficiali della "gara del secolo"; i ricorsi giudiziari del Consorzio Anthill; la vendita e lo smembramento della compagnia telefonica Blu; l'inchiesta su inquietanti aspetti delle vicende di Anthill, condotta da Henry John Woodcook ancora pendente presso la Procura di Roma (di cui nessuno parla, con evidenze di pregio sulla vicenda "Telekom Serbia"); la vendita delle quote societarie della Blu da Berlusconi a British Telecom ed il cavallo di ritorno delle quote dell'inglese Marconi alla genovese Finmeccanica; il fallimento del Consorzio Anthill e l'inchiesta "Toghe Lucane"; raccontano un unico disegno che oggi si disvela come una bella giornata serena dopo un mattino pieno di nebbia. Vediamo di iniziare a raccontare con qualche aiuto da colleghi e blogger indipendenti. (Filippo de Lubac)

De Magistris, Bruni e Genchi: intelligence telefonica e caccia alla nuova P2 ma la politica…si ribella (Salerno, 12 novembre 2007. Crotone, 10 dicembre 2009)
Due date e due città del Sud che poco o niente diranno ai più. E allora, attraverso alcuni nomi, vi aggiungo un terzo indizio per ricostruire una storia che, vedrete, troverete interessante: Luigi De Magistris, Pierpaolo Bruni, Salvatore Cirafici, Luciano Tavaroli, Marco Mancini, Gioacchino Genchi.
Servito l’aiuto? No?
E allora vi aggiungo un quarto elemento: servizi segreti, intercettazioni telefoniche, ordini delle Procure e, soprattutto, compagnie telefoniche.
Riuscite a collegare e mettere in rete questi elementi? No? E allora vi aggiungo l’ultimo tassello: nuova P2.
Degli ultimi sviluppi di questa storia si è occupato, nella Rete, Emilio Grimaldi (www.emiliogrimaldi.blogspot.com).
Degli ultimi sviluppi di questa storia, finora, si è occupato sulla carta stampata con puntiglio solo “Il Fatto Quotidiano” con servizi di Antonio Massari e Marco Lillo che, a mio avviso, si sono però limitati a raccontare gli eventi, mancando di mettere in fila due inchieste diverse e, soprattutto, il collante e l’obiettivo delle due inchieste. Bene, il collante è lo Stato deviato e la massoneria deviata. L’obiettivo dei pm: dimostrare che la nuova P2 (dieci volte più potente della mai svelata P2 di Licio Gelli) controlla e governa il cuore dello Stato dall’interno, vale a dire dalla possibilità di acquisire e gestire in ogni modo informazioni riservate e, di conseguenza, manovrare economia e politica connivente.
Si sa – però – che nei media (che, spesso, governano) è praticamente impossibile parlare di massoneria. Ma qui non si sta parlando di massoneria, ma di massoneria deviata. Neppure di questo si può parlare? Evidentemente no, se è vero, come è vero, che non solo non se ne occupano molti colleghi politicamente schierati ma neppure i pasdaran del diritto catodico Michele Santoro e Marco Travaglio. Chissà perché.
Questa è la trama delle inchieste di De Magistris. Questo è quanto – partendo da una normale inchiesta su un comitato di affari che ruota intorno a un polo energetico crotonese – sta affermando Bruni, il magistrato pac-man che se ne fotte di tutto e di tutti e prova a sbranare cosche e settori deviati dello Stato e della massoneria. Per questo la sua vita è a rischio e per questo è stato isolato dalla politica, da molti suoi stessi colleghi e dal ministero della Giustizia. Alla faccia della lotta alla mafia!
Un ultimo inciso: a isolare Bruni sono innanzitutto la politica e la magistratura calabrese di cui, salvo eccezioni, io mi fiderei quanto può fidarsi un domatore cieco di fronte a una tigre del bengala appena trasferita dalla giungla nella gabbia.
IL GRANDE OCCHIO (simbolo della Massoneria) E IL GRANDE ORECCHIO (strumento della massoneria deviata)
Credo che ormai anche i sassi sappiano che De Magistris stesse provando a dimostrare – prima di essere fermato – che una nuova cupola politico-giudiziario-massonico-mafiosa governa (partendo dalla Calabria) miliardi provenienti dalla Ue e miliardi di finanziamenti pubblici. Un “Grande Occhio” che, per farla breve, secondo De Magistris vive (e vuole crescere) all’interno dello Stato. Di questa cupola farebbero parte uomini e aziende che, nell’ordine, lavorano o lavoreranno proprio per conto dello Stato nella digitalizzazione degli archivi informatici della Giustizia, della Guardia di Finanza, delle pubbliche amministrazioni, delle Procure e delle Direzioni antimafia.
Grande Occhio ma non solo. A questo “mostro” si aggiunge anche un “Grande Orecchio” che vive, sempre secondo l’accusa dell’ex pm ora eurodeputato, di tentativi di infiltrare aziende e uomini che attraverso il business e il controllo delle intercettazioni telefoniche e ambientale hanno impensabili carte da giocare sul tavolo del potere politico, economico e finanziario (si vedano in archivio i miei post del 9, 11 e 14 febbraio 2009 e sul Sole-24 Ore le mie inchieste del 10 dicembre 2008 e del 25 gennaio 2009).
La stessa cupola che, con la cosiddetta inchiesta Turbogas, sta svelando Bruni che, non a caso, accusa diversi imprenditori, professionisti, politici e magistrati di partecipare a una loggia massonica “la cui finalità occulta è quella di porre in essere condotte dirette a interferire sull’esercizio delle pubbliche amministrazioni anche giudiziarie…” (si veda in archivio il mio post del 23 luglio 2009). Guarda caso, molti nomi si ripetono nelle due inchieste. Delle due l’una: o De Magistris e Bruni sono due pazzi o ci vedono bene. Decidete voi. Io aggiungo elementi alla vostra valutazione.
SALERNO, 12 NOVEMBRE 2007
Quel giorno il bel fighettone europarlamentare dell’Italia dei Valori ha così dichiarato ai magistrati di Salerno che gli chiedevano conto di relazioni depositate all’interno dell’inchiesta Why Not (pagina 345 dell’ordinanza): “…a esempio questa cosa qua molto interessante su Salvatore Cirafici, ex appartenente all’Arma dei Carabinieri, responsabile Wind delle intercettazioni, che abbiamo avuto difficoltà enormi ad arrivare all’identificazone di Cirafici, perché quando ha scritto Genchi alla Wind chiedendo di chi era una certa utenza la Wind
ha detto “questa è un’utenza che non esiste”, Genchi ha scritto un’altra volta “Guardi che a noi risulta”, la Wind ha detto “Non esiste”, poi ho fatto io una lettera alla Wind ed è uscito fuori che l’intestazione era Salvatori Cirafici, responsabile Wind rapporti con l’autorità giudiziaria. Quindi questo è il circuito nel quale noi stavamo in questi mesi lavorando…”.
Il nome di Cirafici (che ha sempre negato qualunque coinvolgimento e che intanto, a quanto risulta, è stato appena “congelato” da Wind) riemerge qua e là nelle carte di Salerno (a esempio annotano i magistrati sui contatti dell’uomo Wind a pag. 253: “…Cirafici con l'utenza di telefonia di base ed i cellulari di Luigi Bisignani - riguardano i suoi numerosi e circolari rapporti telefonici con utenze qià nella disponibilità di Fabio Ghioni, Luciano Tavaroli. Marco Mancini, Tiziano Casali, Filippo Grasso e del giornalista Luca Fazzo, dei guai è stato accertato in sede cautelare il coinvolgimento in vicende spionistiche, fino ad ora limitate al gruppo Telecom. A questi si aggiungono gli ulteriori contatti di Salvatore Cirafici con Fabio Ortolani e con il Gen. Walter Cretella Lombardo - che potrebbero avere una qualche attinenza operativa - oltre ai rapporti con i cellulari della Global Media srl {0335xxxxx) e di Lorenzo Cesa [0335xxxxx) e con quelli di altri politici, che poca attinenza paiono avere con le esigenze operative riservate alle funzioni esercitate da Salvatore Cirafici, anche con riguardo alle indagini che diverse Procure italiane hanno eseguito e stanno eseguendo sulla Global Media srl r0335xxxxxxx e sul deputato Lorenzo Cesa [0335xxxxxx) la cui utenza cellulare intestata all'Udc - è stata rilevata in diversi traffici telefonici pregressi e, in ultimo, nelle memorie della Sim Gsm sequestrata al Gen. Walter Cretella Lombardo, con l'annotazione «Cesa2»…).
Alt. Fermiamoci un attimo. Avrete notato che compaiono anche i nomi di Marco Mancini (ex numero due del Sismi) e Luciano Tavaroli, entrambi indagati nell’affaire Telecom-Sismi e relativi dossier. Telecom e Wind, due compagnie telefoniche. Più la comparsa del Sismi (Servizio per l’informazione e la sicurezza militare). Più una conoscenza circolare tra Cirafici e Tavaroli. E Fabio Ghioni che, traggo testualmente dal suo sito è: “esperto a livello mondiale in sicurezza e tecnologie non convenzionali, consulente strategico per diversi organismi governativi e internazionali, Fabio Ghioni è anche scrittore, saggista e conferenziere”. Insomma tutti colleghi di settori vitali che entrano nel cuore di ogni conoscenza.
COMPARE GENCHI
Negli atti di Salerno, pagina 261, si legge quanto segue.
Gioacchino Genchi il 25 luglio 2007 consegna alla Procura di Catanzaro, di cui era consulente, anticipazioni della relazione n.12 nella quale, tra le altre cose scrive: “ … Forse non è chiaro per i non addetti ai lavori ma Salvatore Cirafici è il capo della struttura che sostanzialmente si occupa della gestione di tutte le richieste di intercettazioni telefoniche, accertamenti e tabulati, inviate alla Wind da tutte le Autorità Giudiziarie italiane. Non esiste acquisizione di tabulati, richiesta di intercettazioni, accertamenti anagrafici ed attività acquisitive in vario modo dirette alla Wind da qualunque Autorità Giudiziaria italiana, che non venga portata a conoscenza della struttura aziendale diretta da Cirafici. Invero, negli anni in cui il consulente (Genchi, nda) ha disimpegnato la sua attività, non ha mai avuto modo di nutrire sospetti di sorta sul conto del Cirafici, né di nessuno dei suoi dipendenti tecnici. I rapporti con la struttura di intelligence della Wind sono stati sempre improntati alla massima correttezza e riservatezza ed il consulente (Genchi, nda) ha sempre ricevuto un qualificato e puntuale ausilio, anche in indagini assai complesse e riservate, nel tempo svolte per conto di varie Autorità Giudiziarie italiane”.
CROTONE, 12 DICEMBRE 2009: IL PM BRUNI
Ed eccoci al nostro pac-man Bruni che, ve la faccio breve, nell’ambito dell’inchiesta Turbogas arresta e spedisce ai domiciliari Cirafici che (tra le altre cose) avrebbe avvertito un suo amico, il maggiore Enrico Maria Grazioli – si badi bene: fino a pochi mesi prima delle intercettazioni era Comandante del Nucleo investigativo del comando provinciale dei Carabinieri di Catanzaro, non della sperduta compagnia di Roccacannuccia e con compiti che non sono certo di guardiania alla stazione – di intercettazioni telefoniche a suo carico nell’ambito di un diverso procedimento penale.
Cirafici è indagato da Bruni proprio perché, come abbiamo visto sopra, era responsabile (ora “congelato”) di Wind per la gestione delle richieste di intercettazioni telefoniche avanzate dalle varie Procure italiane e di questo ruolo abusava.
Ma c’è di più nelle accuse di Bruni. Così come accadde a De Magistris, anche Bruni scopre che la richiesta fatta dalla sua Procura alla Wind su un’utenza viene rubricata dalla stessa compagnia telefonica come utenza inattiva. Come inattiva?!, si inalbera Bruni, ma cvibbio, se la stiamo intercettando? Bruni – tra mille difficoltà che non vi racconto – scopre poi che l’utenza era proprio di Cirafici.
Non solo. Bruni ricostruisce che il maggiore Grazioli si era occupato delle inchieste Why Not e Poseidone con De Magistris, con il quale a leggere le carte, non sembra ci fosse gran feeling. Lavorava dunque insieme a Genchi, ciascuno per la propria parte.
Chi va, per obbligatorie vie istituzionali, a Palermo nella casa-studio di Genchi per comunicargli la revoca dell’incarico di consulente della Procura di Catanzaro affidatogli dal fighettone De Magistris e cancellata da Dolcino Favi? Grazioli.
Nelle carte di Bruni si trovano accuse (da provare, ripetiamo sempre) e intercettazioni telefoniche spettacolari: Cirafici, amico intimo e da anni di Grazioli, avrebbe interceduto presso il generale della Guardia di Finanza Paolo Poletti (che abbiamo ritrovato nell’inchiesta Why Not e che, secondo la ricostruzione di De Magistris era in strettissimi rapporti circolari con molti indagati, a partire da Antonio Saladino, nonché con altri generali della Gdf come Walter Cretella Lombardo, comandante della Scuola di polizia tributaria).
Poletti, che non è indagato, già Capo di Stato maggiore della Gdf e vicedirettore operativo dell’Agenzia di informazione e sicurezza interna (Aisi, ex Sisde) sarebbe stato contattato da Cirafici per far ottenere all’amico Grazioli l’agognato ingresso nei servizi segreti di informazione. Il cuore del cuore dello Stato.
Va specificato che Cirafici – che secondo la ricostruzione di Bruni chiederà al maggiore Grazioli anche di far sparire alcune schede Wind aziendali che aveva ricevuto - è un ex ufficiale superiore dell’Arma dei Carabinieri e che, per quanto lui stesso ha dichiarato al pm Bruni, che per non sapere né leggere né scrivere, lo verbalizza, vanta moltissime amicizie altolocate. Quella di Poletti innanzitutto. Amicizie coltivate nei suoi passaggi professionale alla Direzione investigativa antimafia (Dia), Alto Commissariato antimafia (oggi scomparso) e Criminalpol. Tutte arterie che irrorano il cuore dello Stato.
GENCHI: CHI HA PAURA DI GIOACCHINO?
Anche le poiane della Lomellina sanno ormai che Genchi era consulente di De Magistris. Per dare un’idea di quale fosse la paura degli indagati nei confronti di questo super-consulente delle Procure, leggete qui cosa dichiara Grazioli (che, a quanto pare, sta collaborando attivamente con Bruni) al pm il 30 ottobre 2009 (vale a dire poche settimane fa). Riporto testualmente“… nel corso dell’incontro del 28 settembre, fu il Cirafici a sollecitarmi di comprendere su cosa vertesse il procedimento di cui alla richiesta di intestatario, in particolare mi sollecitava di informarmi se il dottore Bruni, che lui sapeva essere titolare del procedimento penale in questione, avesse avanzato la richiesta quale Sostituto della Procura di Crotone, ovvero quale Sostituto applicato alla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro. Non solo, voleva altresì sapere se il Genchi fosse consulente tecnico di Bruni nell’ambito del presente procedimento penale.”
Piccolo particolare: ma vi rendete conto, cari lettori, che c’è chi accusa Genchi di essere il burattinaio del Grande Fratello italiano grazie alla mole di lavoro e alle informazioni acquisite nel corso degli anni? Anche qui delle due l’una: o Genchi è davvero il burattinaio del Grande Fratello (o Grande Muratore?) e allora ci troviamo di fronte a uno scontro tra poteri occulti oppure è uno dei pezzi di quello Stato onesto che dà la caccia a chi cerca di avvelenare il cuore dello Stato e le sue arterie vitali. Tertium non datur.
BRUNI: dicono di lui
Intercettato dalla Procura di Crotone il 1° ottobre alle 19.24 in una telefonata di 5 minuti e 29 secondi con una tal Maria Paola che le chiede verosimilmente conto di come procede l’iter per il suo incarico presso i servizi segreti, Grazioli – che a quanto si apprende dalla lettura dell’ordinanza a pagina 52 teme anche e molto per la sua incolumità fisica - risponde cosi: “ma eh, sono qua adesso stiamo vedendo è ... è passato tutto praticamente in maniera positiva, l'unica cosa che mi tiene diciamo così in standby ma parziale perchè è passato tutto è quello stronzo per il quale poi martedì sono stato convocato”.
Lo stronzo che lo ha convocato, secondo Bruni è…proprio Bruni stesso. Ma via sior Grazioli non si dovrebbero dire certe cose di pac-man! Averne di stronzi così anche nei giornali, nella Gdf, nei Carabinieri, nel Parlamento e nelle Istituzioni tutte!
CICCHITTO FURIOSO
Ora, lettori curiosi come delfini, vi chiederete: ma sto cacchio di Genchi è davvero consulente della Procura di Crotone?
Certo che lo è diventato. Ora non sta certo a me giudicare questa scelta. Io registro fatti. Punto.
E’ un fatto che Genchi sia indagato per abuso d’ufficio e violazione della privacy nell’ambito delle attività svolte. E’ un fatto che si attende la decisione della Procura della Repubblica di Roma: rinvio a giudizio o archiviazione.
E’ un fatto è che a scagliarsi per primo contro questa nomina è stato, con una puntuale dichiarazione alle agenzie di stampa, Fabrizio Cicchitto, presidente dei deputati del Pdl. Ecco ciò che ha registrato il Corriere della Sera il 10 dicembre a pagina 22: “Incredibile che Genchi ritorni in piena attività dopo che si è accertato di quanti telefoni si è occupato nel passato, dall’antimafia all’ambasciata americana, a quelli del ministero dell’Interno, ai servizi segreti. Qualcuno ci deve spiegare in modo convincente e serio come è possibile che un appartenente alla Polizia di Stato abbia potuto per molti anni avere come attività del tutto privata quella di essere proprietario e gestore di una società specializzata nella rivelazione dei tracciati telefonici”.
Ed è fantastico il titolo di Libero del 12 dicembre: “Nessuno è sicuro! I pm riassumono lo spione Genchi”. A oggi, ore 9 del 20 dicembre 2009, sul sito online del giornale diretto da Maurizio Belpietro non c‘è nessun commento a questo articolo.
Mi verrebbe voglia di lasciarne uno, anzi due. Anzi tre.
Il primo, storico: “Fabrizio Cicchitto, fascicolo n.945, tessera P2 2232, data di iscrizione 12 dicembre 1980”.
Il secondo, qualunquista: “Mi chiamo Roberto Galullo, sono un cittadino italiano e non ho paura alcuna di essere intercettato. Sono una persona pulita e onesta. Che mi intercettino anche quando dormo. Io mi sento sicuro. Anzi se mi intercettano mi sento ancor più sicuro!”.
Magari anche un terzo messaggio, utopistico: “Ma quante coincidenze e quanti intrecci tra le due inchieste di De Magistris e Bruni tra gli stessi identici protagonisti: massoneria, servizi segreti, uomini dello Stato, politici, compagnie telefoniche”. E aggiungerei: “Indagate cari magistrati, indagate, scavate fino in fondo e siate liberi di provare e riscontare quello che affermate, ponete sul tavolo le vostre accuse. Andate dritti al cuore dello Stato e fatelo pulsare, se le vostre accuse sono provate, prima che qualcun altro lo fermi per sempre”.
Viva l’Italia e Buone Feste
roberto.galullo@lsole24ore.com

giovedì 24 dicembre 2009

Maritati & C.: “liberammo Bari”. Adesso chi ci libererà da loro?



Destini incrociati di due inchieste bistrattate: “Speranza” versus “Toghe Lucane”


L'inchiesta “Speranza” (31 imputati) e l'inchiesta “Toghe Lucane” (34 indagati) hanno molto in comune, oltre al numero degli indagati che quasi quasi coincide. Entrambe ipotizzano una vasta rete di corruttela fra imprenditori, politici, magistrati e delinquenza comune e non. Entrambe sembrano destinate a finire in un nulla di fatto. Tutti assolti in appello (tranne Francesco Cavallari che aveva scelto il patteggiamento) quelli di “Speranza”. Tutti in attesa che si pronunci il Gip sulla richiesta di archiviazione tombale, per “Toghe Lucane”. Uno dei PM che aveva condotto le indagini nell'inchiesta “Speranza”, Alberto Maritati, difende il suo operato: “può anche succedere che l'accusa venga rovesciata con una sentenza di assoluzione, ma non per questo si deve pensare che il pm sia stato un cieco persecutore”. Anche il Procuratore Capo, Giuseppe Chieco, difende l'operato della Procura di cui ha la responsabilità, criticando quello del dr Luigi de Magistris dopo che gli indagati da quest'ultimo – nel “filone” Marinagri, troncone rilevante del “Toghe Lucane, sono stati assolti. Nel processo “Speranza”, “non si deve pensare che il pm sia un cieco persecutore. I provvedimenti cautelari da noi richiesti sono passati al vaglio di tre giudici: il gip, il Tribunale del Riesame e la Cassazione”, così parla Alberto Maritati. Nel procedimento “Toghe Lucane-Marinagri” il provvedimento (cautelare) del sequestro del cantiere è stato confermato dal Gip, dal Riesame, dalla Cassazione e, per altre due volte, nuovamente dal Gip. Ma De Magistris viene dipinto come un “cattivo magistrato”. Nel procedimento penale “Toghe Lucane” il pensiero infamante è obbligatorio. “Di regola il pm che svolge le indagini è lo stesso che sostiene l'accusa anche nel dibattimento e, a certe condizioni, anche in appello. I pm non hanno seguito il procedimento fino alla conclusione... e il processo è stato spezzettato in tanti tronconi: questo secondo me ne ha decretato la fine”. Così parla Maritati del processo “Speranza” e non si sbaglia. Per “Toghe Lucane” è lo stesso. Il primo pm (Luigi de Magistris) viene sottratto all'inchiesta; gli subentra Vincenzo Capomolla che spezzetta “Toghe Lucane” in tanti tronconi. Nel momento topico del processo anche Capomolla evapora. Arriva Cianfrini che in pochi minuti valuta quintali di atti giudiziari e chiede l'assoluzione. Gabriella Reillo, Gup dalle indiscusse capacità valutative, assolve. “Quell'inchiesta ha liberato Bari da una cappa... Cavallari controllava la città. Così come ha detto egli stesso a noi e come ha detto a voi (Corriere del Mezzogiorno, ndr) nell'intervista conferma di aver distribuito 4 miliardi di lire ai politici e non solo”; sempre Maritati che parla apertis verbis. Anche per “Toghe Lucane” emergeva la “cappa” o, come scrisse De Magistris, “l'associazione per delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari, alla truffa aggravata ai danni dello Stato ed al disastro doloso”. Che Bari si sia liberata da quella cappa, alla luce delle recenti inchieste sulla sanità pugliese, appare affatto certo. Come accade in Basilicata, dove gli indagati da De Magistris (in buona parte) occupano ancora i posti di comando e controllo. Se non che, a guardare tutto, si scopre che Giuseppe Chieco, oggi fra gli indagati in “Toghe Lucane” è stato fra i PM dell'inchiesta “Speranza” insieme con Maritati. Che Chieco e Maritati furono indagati per abuso d'ufficio in una inchiesta tenuta dalla Procura di Potenza da cui vennero prosciolti grazie alle improvvide dichiarazioni rese loro (che strano) proprio da Francesco Cavallari. Era il 12 febbraio 1996, in Procura a Bari, presenti Chieco, Maritati e Cavallari. Ma Cavallari nega e si scopre che in quello stesso giorno, a quella stessa ora, Cavallari Francesco veniva interrogato a Potenza. Carte false, Chieco e Maritati vennero salvati da carte false autoprodotte. “Liberammo Bari” dice Maritati, ma chi ci libererà da loro?


p.s. Qualcuno chieda ad Alberto Maritati, perché la quota parte dei 4 miliardi finita nelle tasche di Massimo D'Alema finì con la prescrizione e come mai egli decise di candidarsi proprio nel partito di Max e come fu che, eletto alle suppletive, D'Alema lo volle immediatamente sottosegretario nel I e II governo di cui era Presidente del Consiglio. Qualcuno chieda a Maritati perché non indagò Alberto Tedesco, indicato fra i percettori di una quota consistente dei “soliti” 4 miliardi; come oggi risulta indagato per analoghe operazioni poste in essere da assessore della giunta “Vendola”. Qualcuno chieda a Maritati come fa a sostenere lo sguardo dei parenti di quel magistrato coperto da accuse infamanti ma poi assolto per non aver commesso il fatto. Qualcuno gli chieda perché, ancora oggi, non sente vergogna ogni qualvolta ne richiama la memoria, tradendolo anche da morto, come di un magistrato colpevole di inqualificabili (ma inesistenti) reati.

mercoledì 23 dicembre 2009

Marinagri: la sentenza di assoluzione è viziata da "nullità relativa"?

Assolti 4 dei 34 indagati, ma è tutto da rifare!
Se n'è parlato molto in Basilicata e pochissimo in Italia. Nulla ha detto Luigi de Magistris che sa più di tutti (forse). Ci riferiamo alla conclusione cui è giunto il GUP di Catanzaro su uno dei rivoli dell'inchiesta Toghe Lucane. Quello che direttamente chiamava in Tribunale Vincenzo e Marco Vitale, Nicolino Lopatriello e Felice Vicenconte. Sono stati assolti in un'udienza insolita in cui il Pubblico Ministero Alberto Cianfarini, smentendo la posizione della Procura della Repubblica che rappresentava, ha chiesto l'assoluzione per tutti gli imputati ed il Presidente dell'Ufficio del Giudice per le Indagini e l'Udienza Preliminare, Gabriella Reillo, l'ha concessa: Nel Nome del Popolo Italiano, così è scritto. Una situazione talmente paradossale che lo stesso imputato Lopatriello ha commentato col suo avvocato: “è una comica”. Se lo dice lui!


Il puzzle del PM Vincenzo Capomolla
Il Procedimento Penale recava il numero 2488, era stato ricavato (per stralcio) dal 3750 (Toghe Lucane) ed inserito nel 2888 (sempre stralciato dal 3750) insieme con altri stralci, riunioni e separazioni. È il lavoro svolto dal Dr. Vincenzo Capomolla che fra tutte queste operazioni non sembra raccapezzarsi più. Infatti per (quel che resta) del procedimento 3750/03 manda avvisi plurimi con descrizioni diverse: il caos. Il 1° luglio 2009 lo identifica come “Chieco + altri”; il 26 agosto 2009 diventa “Granese + altri”; il 24 novembre 2009 (sino a tutt'oggi) è “Tufano + altri”. Col cambiare delle sintetiche indicazioni degli imputati, Capomolla cambia anche la sostanza delle parti offese. Il procedimento in cui Vitale, Viceconte e Lopatriello sono andati assolti oggi non si chiama più così, il numero è cambiato in corso d'opera tanto che gli atti nel fascicolo del Gup che li ha assolti recano ancora stampato “in epigrafe” il numero 2488. La modifica è stata eseguita con penna a biro blu: quando? Le “persone offese” nel procedimento 2488 hanno ricevuto la comunicazione della fissazione dell'udienza preliminare? La Suprema Corte di Cassazione e le indicazioni guida del CSM sono chiarissime. Le prime fanno giurisprudenza: il mancato avviso alle persone offese viola il diritto alla difesa impedendo il contraddittorio. La chiamano “nullità relativa”, nel senso che per diventare effettiva occorre che le “parti offese” ricorrano in Cassazione. Questo, dice la Suprema Corte di Cassazione. Ed i signori politici, i signori magistrati, i signori parlamentari europei, i signori procuratori di Matera, i signori Sostituti Procuratori di Salerno cosa dicono? Nulla, come se costruire un intero villaggio turistico nella foce di un fiume fosse la cosa più naturale del mondo. Come se escludere dal contraddittorio le uniche voci non condizionabili fosse la quintessenza del diritto. Altro che “l'ennesimo flop di Luigi de Magistris”, l'inchiesta Toghe Lucane è ancora tutta lì da giudicare. Il vero flop è dell'amministrazione della giustizia che lascia il PM Vincenzo Capomolla che ha smontato un puzzle di duecentomila pagine in una stanza della Procura di Catanzaro e non sa da che parte iniziare per rimontarlo. Vedremo quando fisseranno l'udienza per discutere le opposizioni alla maxi archiviazione richiesta dall'ineffabile PM crotonese. Sempre che non faccia capolino qualche magistrato di Salerno, che ne avrebbe ben donde. (Filippo de Lubac)

venerdì 18 dicembre 2009

CSM-NAPOLITANO: Toghe Indegne, quanto tempo ancora?

Tutta l'attenzione viene assorbita da vicende gravissime (violenza contro il Presidente del Consiglio), così accade che le "scoperte" del caso "Why Not" e del procedimento penale "Toghe Lucane" restino relegate su poche testate giornalistiche: fondamentale contributo all'informazione di un'Italia in cui il Diritto e la Legalità sembrano perdere ogni giorno senso e dignità. Il Presidente Napolitano, il vice.presidente Mancino, il Presidente Palamara eccetera non hanno nulla da dire?


Caso Wind, volevano fermare i pm di Why Not

Pietro Orsatti (da www.terranews.it)
INCHIESTA. Proseguono le rivelazioni sul responsabile della security del gestore telefonico. Negli atti i rapporti con Tavaroli e Mancini dei servizi.
L’obiettivo era smontare Why Not. Questo emerge dalle rivelazioni relative all’inchiesta Wind condotta dalla procura di Crotone, titolare il pm Pierpalo Bruni. L’indagine ha portato all’esecuzione degli arresti domiciliari per il capo della Security del gestore telefonico Salvatore Cirafici, e coinvolge anche il maggiore dei carabinieri Enrico Maria Grazioli, uomo di fiducia di Cirafici e che proprio da questi veniva avvisato di essere indagato e intercettato. Per capire cosa è davvero accaduto nell’ufficio riservato della Security Wind dove arrivavano tutte le richieste dell’autorità giudiziaria bisogna analizzare anche alcune persone non indagate, fra le quali emerge il commercialista Giuseppe Carchivi «soggetto capace di intessere, macchinare, architettare, mantenere unito e garantire una fitta rete amicale con personaggi di indubbia levatura - dichiara il maggiore Grazioli - sia privatistiche che pubblico istituzionale ».


Carchivi, secondo gli accertamenti, era in contatto telefonico proprio con il maggiore dei Carabinieri, che, ricordiamolo, fino a pochi mesi prima aveva ricoperto l’incarico di comandante del Nucleo Investigativo di Catanzaro, occupandosi anche delle inchieste condotte dall’ex pm Luigi De Magistris, “Poseidone” e “Why Not”. Le intercettazioni raccontano come Carchivi avesse messo in contatto Grazioli con il parlamentare Pdl Giancarlo Pittelli, all’epoca uno dei principali indagati delle due inchieste catanzaresi. I due si incontrarono anche a Roma, per scambiarsi informazioni sulle indagini cui lo stesso Grazioli aveva preso parte e che vedevano interessati Pittelli, oltre ad altri soggetti come il Presidente della Regione, Chiaravalloti Giuseppe.


Il maggiore Grazioli, interrogato dal pm Bruni, descrive uno scenario inquietante: «Ritengo che Pittelli e Carchivi volessero utilizzarmi come strumento per colpire appartenenti alle istituzioni che, secondo un loro distorto giudizio, compivano e compiono attività investigativa nei confronti di soggetti a loro vicini». Sempre Grazioli racconta che Cirafici lo sollecitava ad informarlo «se il dottore Bruni avesse avanzato la richiesta (d’indagine ndr). Non solo, voleva altresì sapere se il Genchi fosse consulente tecnico di Bruni nell’ambito del presente procedimento penale». Ecco qui, come era prevedibile, la paura che oltre alle carte ereditate da De Magistris, il pm Bruni si potesse avvalere proprio di quel consulente che era stato uno dei protagonisti nell’inchiesta Why Not, Gioacchino Genchi.


Cirafici, sempre secondo Grazioli, era preoccupato del fatto che nel corso dell’indagine Why not erano emersi contatti con alcuni uomini delle istituzioni. Nello stesso periodo Genchi, infatti, segnalava al pm Bruni che proprio Cirafici era in contatto, tra gli altri, con gli uomini della security Telecom Fabio Ghioni e Luciano Tavaroli, e con Marco Mancini del servizio segreto militare. è in questo snodo delle indagini che emerge il legame diretto con l’altra “centrale informativa”, quella messa in piedi da Tavaroli in Telecom. «Il timore paventato da Cirafici - racconta agli inquirenti Grazioli - era determinato dal fatto che aveva, a cagione del suo ruolo presso la Wind, la disponibilità di schede telefoniche non intestate e non riconducibili ad alcuno; erano quindi delle schede “coperte”». Schede che Cirafici aveva «date per l’uso - aggiunge - anche a soggetti ricoprenti ruoli istituzionali di primo piano». I nomi di questi “soggetti istituzionali” è ancora riservato.


La paura del consulente del pm, Genchi, e il continuo informarsi sia con Grazioli che con altri di come stesse andando l’inchiesta Why Not: sono questi i fattori che fanno concentrare i sospetti della procura su Cirafici. «So che è andato anche in Procura a chiedere informazioni – prosegue Grazioli - ma non mi ha chiesto di accompagnarlo perché sapeva già a chi rivolgersi ». Quando la procura giunge a individuare una scheda fantasma usata dallo stesso responsabile della sicurezza, Cirafici non ha più dubbi e, rivolgendosi a Grazioli, afferma:«Bruni va fermato». Quando poi Grazioli viene e interrogato per la prima volta dal pm di Crotone, l’uomo della Wind lo convoca e cerca di intimidirlo per spingerlo a ritrattare. Ma ormai Bruni è andato avanti e la situazione, nel giro di poche settimane, precipita. A questo punto lunedì scorso giunge inevitabilmente l’ordinanza del Gip per la misura cautelare nei suoi confronti: arresti domiciliari.

lunedì 14 dicembre 2009

de Magistris: Toghe Lucane con la "d" minuscola?

Premessa
Berlusconi l'ha detto chiaro. Se poi si fa finta di non sentire, è un'altra cosa. Violante l'ha capito benissimo e con il suo fare da vecchia volpe (direi vecchio comunista ma temo di urtare la sua suscettibilità) ha abbozzato una domanda retorica al Ministro della Giustizia, Angelino Alfano: “ma allora volete sostenere che i membri della Consulta (Corte Costituzionale) decidano in base all'appartenenza politica e non nel rispetto delle Leggi e della Costituzione”? Già pregustava (forse) una risposta affermativa che gli avrebbe consentito di stracciarsi le vesti e gridare alla violazione della “Religione dello Stato”. Quella fede propria di quanti pur di non credere in un Dio fattosi carne, preferiscono credere in un libro erto a proprio Dio, anzi meglio, a Dio di tutti che ampia e sopravanza le religioni includendole e banalizzandole nell'unica fede laicista. "la Costituzione". Ma Alfano, che di Leggi incostituzionali, scelte discutibili e dichiarazioni illogiche non è scarso, questa volta non ha abboccato e Violante ha guardato gli altri ospiti di “Porta a Porta” come il prete guarda i fedeli quando gli rispondono “Amen” subito dopo la formula “... nei secoli dei secoli”. Proprio quello che bisognava fosse detto. I fedeli sono attenti!
Il problema
Il vero problema è che Berlusconi, fuori dalle ipocrisie (ha detto anche questo), sul punto ha ragione. La magistratura è preda della politica, delle correnti, dello scambio di favori, dei conflitti d'interesse. Non è una questione di destra, sinistra o centro. Perché Anedda (membro CSM in quota AN-PdL) vota sempre contro le “risoluzioni” scomode per la sua parte politica? È che il sistema è marcio ed i pesi e contrappesi di cui spesso si sente parlare sono una baggianata. Non sono le formule che possono garantire alcunché. Non è che la Costituzione andava bene quarant'anni fa ed oggi è superata. Il fatto è che quarant'anni fra gli uomini delle istituzioni prevaleva il senso del “bene comune”, l'abitudine di render conto ad una coscienza civile. Adesso a prevalere è il senso del bene personale, quello che entra o esce dal proprio portafoglio. Non ci sono riforme che tengano, non ci sono modifiche che bastino. Bisogna rinnovare gli uomini, l'intera classe dirigente; ammesso che ve ne sia una nuova alle porte. Tutto questo potrebbe essere liquidato come un discorso, parole da un pulpito affatto prestigioso e quindi trascurabile. Ed ecco la necessità di fornire elementi concreti, sicché nessuno potrà dirsi ignaro e ciascuno abbia un sussulto di coscienza.
Affaire Toghe Lucane
Nasce nel 2003, duecentomila pagine d'inchiesta rivelano l'esistenza di una fitta rete di relazioni fra politici, magistrati, avvocati e intraprenditori. Associazione per delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari, alla truffa aggravata, al crollo di costruzioni o altri disastri dolosi. Vi sono intere Procure della Repubblica (Ordinarie e Generali) coinvolte, con magistrati che arrivano ad organizzare false testimonianze in danno di altri magistrati, procuratori che minacciano propri sostituti perché procedano in via informale quando indagano su colletti bianchi di alto bordo. Infine emergono fitti contatti fra i magistrati indagati e autorevoli esponenti della politica e del Ministero di Giustizia in cui si pianificano turbative alle indagini o veri e propri blitz contro i magistrati procedenti. Gli atti dei procedimenti penali “Toghe Lucane”, “Why Not”, “Poseidone” tenuti dalla Procura di Catanzaro e dei procedimenti penali aperti dai Sostituti Procuratori Nuzzi e Verasani a Salerno sono zeppi di evidenze probatorie in tal senso. Elementi che, se non costituiscono alcuna certezza di colpevolezza, sicuramente sono idonei a sostenere un'accusa in giudizio; l'unico ambito in cui propriamente si possono affrontare le emergenze di indagini così delicate e documentate. Ma è proprio il giudizio che scientificamente viene evitato o, meglio, impedito attraverso due passaggi: 1) Sottraendo le indagini tenute a Catanzaro al Dr. Luigi de Magistris (attraverso tutte le tecniche possibili: avocazione per “Poseidone”, affidamento ad altro magistrato per “Why Not”, trasferimento di De Magistris per “Toghe Lucane”); 2) Trasferendo i magistrati salernitani (Gabriella Nuzzi, Dionigio Verasani, Luigi Apicella) che avevano accertato irregolarità ed abusi in capo ai magistrati catanzaresi “eredi” ed artefici dell'espropriazione dei procedimenti di Luigi de Magistris. Gli altri “eredi”, quelli dei procedimenti che furono di Nuzzi e Verasani, non danno segni di particolare vivacità. Quasi vien da pensare che la lezione impartita ai loro ex colleghi (Nuzzi, Verasani, Apicella) sia stata sufficiente. Così anche le ultime (fitte) denunce che segnalano le modalità “in odium legis” con cui il Dr. Vincenzo Capomolla ed altri magistrati lucani e calabresi riaffermano il potere assoluto dello Stato-Antistato, cadono nell'inedia giudiziaria. C'è da meravigliarsi se per tutti i procedimenti penali lo sbocco proposto è l'archiviazione? Con qualche rara eccezione ancor più paradossale. Come nella recente vicenda “Marinagri”: il PM Capomolla chiede il rinvio a giudizio; gli imputati chiedono il rito abbreviato; un nuovo PM (Alberto Cianfarini) che non conosce una virgola del Procedimento Penale, chiede l'assoluzione che viene immediatamente concessa. Il tutto in due ore, liquidando cinque anni d'indagini e decine di migliaia di documenti probatori.
Quella sporca dozzina
Tanti sono coloro che hanno a vario titolo sostenuto le ragioni della legalità e dell'informazione, una sporca dozzina di cittadini, professionisti, giornalisti, esponenti delle forze dell'ordine, politici, magistrati e avvocati. Tutti hanno pagato (e stanno pagando) un prezzo altissimo sul piano personale e professionale. Non si possono affrontare impunemente ministri, magistrati, intraprenditori, politici e gente potente tutti intenti a gestire enormi fette di potere per favorire giganteschi interessi che, dicono le evidenze delle indagini, sono sospetti di gravissime illiceità. Toghe Lucane racconta il “cuore” del sistema e giunge sino al crocevia dei percorsi di potere della nazione italiana. Si arriva al petrolio lucano, alle Logge Massoniche non ufficiali, agli omicidi impuniti per decenni, ai magistrati che passano in politica per meglio consolidare assi di potere pseudo-giudiziario. Nomi, fatti, telefonate che descrivono compiutamente le responsabilità che tengono il Mezzogiorno d'Italia soggiogato e povero a dispetto delle enormi ricchezze presenti e dei fiumi di denaro pubblico (italiano ed europeo) che lo hanno attraversato senza lasciare traccia. Una sporca dozzina di uomini normali che passano per eroi solo perché non chiudono gli occhi e non accettano i consigli “che non si possono rifiutare”. A questi va riconosciuto il più completo lavoro d'analisi e documentazione sul Mezzogiorno d'Italia che mai sia stato rendicontato.
Luigi de Magistris, la punta dell'iceberg
Il ruolo istituzionale di maggior rilievo, indiscutibilmente, l'hanno svolto cinque magistrati: Luigi de Magistris, Gabriella Nuzzi, Dionigio Verasani, Luigi Apicella e Maria Clementina Forleo. Dei primi si è già detto. L'ultima, che merita specifici approfondimenti specie in riferimento all'inchiesta UNIPOL-BNL, ha il torto di non farsi gli affari propri. D'intervenire e documentare una serie di condizioni al contorno che spiegano le manovre fra illustri togati per delegittimare e defenestrare Luigi de Magistris. Anche lei si meriterà le attenzioni disciplinari mirate ad insabbiare le inchieste di cui era a conoscenza e sulle quali avrebbe dovuto pronunciarsi quale Giudice. Indubbiamente il maggior rilievo, in termini di visibilità pubblica, l'ha assunto il Dr. Luigi de Magistris. Non è casuale che, costretto a lasciare l'ordine giudiziario, riceve un riconoscimento plebiscitario allorquando si presenta candidato al Parlamento Europeo. La gente comune coglie in lui una possibilità, un barlume di rinnovata credibilità umana e istituzionale. Siamo a giugno 2009 e tutto sembra spalancare una nuova stagione di partecipazione civica e di affronto del “nodo” giustizia. Ma proprio qui sorgono inaspettate incomprensioni se non proprio difficoltà. Ci si attendeva che l'ampio consenso e la puntuale conoscenza dei meccanismi di governo di un Sud allo stremo, fossero alla base dell'azione politica del Dr. Luigi de Magistris; che egli entrasse nel merito specifico e puntuale, che affrontasse le questioni sostenute in sede giudiziaria nel più ampio e articolato mondo della politica e delle istituzioni. Invece assistiamo a interventi generici, enunciazioni di principio. Come si fa a parlare di politica con la “P” maiuscola quando vengono distrutti gli atti giudiziari (nel senso letterale del termine) di Toghe Lucane da magistrati con la “m” super-minuscola?
De Magistris: convegni e incontri a decine, efficacia zero
Non è mai simpatico avanzare critiche, specie fra persone con cui si condividono parti importanti della propria vita sociale. Ma è indispensabile per quel dovere di lealtà e trasparenza che solo determina il rispetto reciproco vero. Altro sarebbe pura ipocrisia. Così dobbiamo chiedere all'On. Luigi de Magistris, se non sia il caso di abbandonare il tatticismo di schieramento ed affrontare “apertis verbis” i nodi della questione giustizia (con la “g” minuscola) che attanagliano l'Italia e che vedono gravissime responsabilità proprio nello schieramento di quei magistrati “di sinistra” che Violante vorrebbe virtuosi servi della Costituzione ma altro non sono che devoti della religione “Statalista”. Disposti a qualsiasi bassezza (giudiziaria) oggi per costruire una società migliore che nel futuro garantirà equità e benessere a tutti. Ecco, Dr. De Magistris, non vorremmo che i suoi silenzi sulla distruzione delle inchieste e fra tutte Toghe Lucane, altro non fossero se non l'utopico percorso per giungere ad una postazione di potere da cui amministrare con saggezza il “bene comune”. La storia ha già percorso questa strada e ci racconta che è disastrosa. Del resto le responsabilità di autorevoli esponenti dello schieramento di centro-sinistra in cui (legittimamente) ritiene di militare politicamente, non possono essere sottaciute ovvero affrontate in termini generici da Lei che conosce evidenze d'indagine tali da far impallidire anche il più ortodosso degli stalinisti.

sabato 12 dicembre 2009

Marinagri, la beffa del Dr. Cianfarini e “quella sporca dozzina”

Lo svolgimento dell'udienza preliminare in cui erano imputati i signori Vitale (padre e figlio), il signor Viceconte ed il signor Lopatriello (meglio nota come udienza sul caso “Marinagri”) è davvero singolare, molto singolare. Succede che verso le undici inizia con la difesa degli imputati che chiede di procedere con il rito abbreviato. Il pubblico ministero (Vincenzo Capomolla) non si oppone ed il GUP (Gabriella Reillo) si prende un'ora per decidere. Intorno alle 12.00 accoglie l'istanza e apre il processo secondo la formulazione del “rito abbreviato”. Va via il Dr. Capomolla e viene sostituito, come PM, dal Dr. Alberto Cianfarini che compare dopo breve ricerca fra i magistrati disponibili. Pochi minuti e Cianfarini chiede il proscioglimento degli imputati. Proprio così, la pubblica accusa in un processo istruito dopo mesi d'indagini, centinaia di migliaia di pagine di atti, informative e risultanze investigative d'ogni genere, chiede il proscioglimento degli imputati. È talmente inverosimile che il signor Lopatriello, qualche ora fa, dichiarava in diretta radiofonica (Basilicata Radio Due) di aver commentato con il proprio legale: “ma, avvocato, ci stanno prendendo in giro?”. Infatti è davvero inverosimile che un magistrato si discosti dalla valutazione del proprio collega procuratore senza aver avuto nemmeno il tempo di sfogliare gli atti processuali. Come è inverosimile che un altro magistrato, la D.ssa Gabriella Reillo, decida per il proscioglimento così su due piedi. Allora, signori miei, forse è giunto il momento di tributare il giusto encomio a quella sporca dozzina di magistrati, avvocati, giornalisti e cittadini che hanno difeso il lumicino della legalità nel tifone che spazza i palazzi di giustizia di Basilicata e Calabria. Non ne hanno ricavato che ingiurie, minacce, ritorsioni e sbeffeggiamenti ma hanno dimostrato che la verità, la libertà e la giustizia sono costitutive dell'umano sino al sacrificio personale. Per meno, non varrebbe la pena nemmeno di alzarsi al mattino. L'assoluzione per i 4 imputati, paradossalmente, diventa la prova del favoreggiamento consumato da parte di Reillo, Capomolla e Cianfarini. Una vera e propria associazione per delinquere in vesti togate che offende l'ordinamento giudiziario e irride i cittadini inermi. Restano ancor più evidenti le responsabilità dei magistrati della Procura di Salerno che, informati il 1° luglio 2009 dell'esistenza di un piano articolato mirante all'annichilimento fraudolento dell'inchiesta “Toghe Lucane”, nulla hanno posto in essere per impedire il protrarsi, l'aggravarsi ed il ripetersi delle condotte delittuose che puntualmente si sono protratte, aggravate e ripetute. C'è ancora speranza? Certo, fintanto che resterà una sporca dozzina di uomini liberi e, consentano i lettori, timorati solo di Dio!

venerdì 11 dicembre 2009

Marinagri: milioni di metri cubi di cemento nella foce del fiume Agri che non sussistono


MARINAGRI: Sono stati assolti perché il fatto non sussiste. Lo ha decretato, nel nome del Popolo Italiano, il Giudice per le udienze preliminari del tribunale di Catanzaro Gabriella Reillo, che ha accolto la richiesta di assoluzione avanzata dal pubblico ministero, Alberto Cianfarini. Un altro PM, Vincenzo Capomolla, che aveva “ereditato” il procedimento penale “Toghe Lucane” che fu di Luigi de Magistris, aveva chiesto il rinvio a giudizio per i titolari del villaggio turistico Marinagri di Policoro (Matera), Vincenzo e Marco Vitale; il sindaco di Policoro, Nicolino Lopatriello, ed il dirigente del settore urbanistica dello stesso Comune, Felice Viceconte. Al proscioglimento si è arrivati attraverso alcuni passaggi hanno progressivamente frazionato e depotenziato le originali ipotesi accusatorie che erano gravissime: associazione per delinquere finalizzata alla corruzione semplice, a quella in atti giudiziari (per i Vitale), alla truffa aggravata ai danni dello Stato, al “crollo di costruzioni o altri disastri dolosi”. Fondamentale è stato il ruolo svolto dal PM Capomolla che ha fatto strame dell'inchiesta originaria arrivando a disperderne gli atti in mille rivoli giudiziari. Una sorta omeopatia giudiziaria che ha talmente diluito i fatti delittuosi da renderli praticamente impercettibili. Solo così si può arrivare ad affermare che “il fatto non sussiste”, cioè che un intero villaggio turistico con alberghi, ville, darsena e posti barca, costruito nell'alveo di piena del fiume Agri, “non sussiste”. Eppure è lì, quasi ultimato, proprio dove tutte le norme consultabili dicono che è assolutamente vietato costruire alcunché. Proprio dove la Suprema Corte di Cassazione ha sancito che non poteva essere costruito e nemmeno poteva essere “sanato” con un qualsivoglia provvedimento di magnanima tolleranza italica. Fortuna che la Costituzione Italiana stabilisce il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale e che questo principio si concili con la procedibilità d'ufficio per i reati che, originariamente imputati ai quattro prosciolti, oggi dovrebbero essere “girati” alla D.ssa Gabriella Reillo, al Dr. Alberto Cianfarini e al Dr. Vincenzo Capomolla. Si chiama favoreggiamento ed è perseguibile d'ufficio quando si compie in favore di un'associazione per delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari, alla truffa aggravata ai danni dello Stato, al “crollo di costruzioni o altri disastri dolosi”. Per loro sventura (di Reillo, Cianfarini e Capomolla), la procedibilità d'ufficio supera la tradizionale pigrizia (se non proprio pavidità omertosa) di molti cittadini, magistrati ed operatori variamente qualificati ad intervenire in questi casi. Non ci sarà bisogno nemmeno del sacrificio dei pochi cittadini che passano per coraggiosi solo perché non rinunciano a camminare con la schiena dritta. Questa volta i colleghi magistrati della Procura di Salerno hanno già tutti gli elementi idonei alla bisogna. Dura lex sed lex!

giovedì 10 dicembre 2009

Pd, Pdl, Udeur, Udc, Dc, Psi, Pci pari erano e pari sono

Il cerchio si chiude sugli amici di D'Alema, ma nessuno osa dirlo. Qualche giorno fa, con la solita mirabile sintesi, Milena Gabanelli su “Report” (Rai 3) ha raccontato alcuni fatti che, per inciso, sono anche penalmente rilevanti e tali sono stati ritenuti dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bari. Ipotesi di reato che coinvolgono le alte sfere della politica pugliese con robusti agganci in ambito nazionale. Ipotesi teoriche in cui si raccontano giri pratici di denaro per milioni di milioni di lire, ovvero miliardi di euro, per i più giovani. È il dorato mondo della sanità pugliese e italiana. Dopo aver sviscerato le parentele, i legami e i soldi circolati (insieme ad una polvere bianca che non odora di borotalco), si è giunti alla conclusione. Ma, per chi conosce un minimo di “circostanze al contorno”, è come se mancasse una puntata e... mancava davvero! Il presidente della Puglia, Niki Vendola, ha affermato che lui non sapeva bene quali erano le “relazioni pericolose” di Alberto Tedesco quando lo ha nominato assessore alla sanità nella giunta regionale. Né immaginava che (Tedesco) potesse essere coinvolto in indagini con gravi ipotesi di reato. Di fatto, è come se Vendola avesse detto di essere appena atterrato sulla Terra provenendo dal pianeta Marte. Eh, sì, perché solo su Marte si ignora che Alberto Tedesco era stato tirato in ballo già nei primi anni novanta da Francesco Cavallari. Quel patron delle Cliniche Riunite di Bari che fu al centro di un'intricata inchiesta barese sulla sanità ai tempi di tangentopoli. Secondo Cavallari, Tedesco era il percettore di ingenti somme destinate a foraggiare la politica, lo disse ai magistrati, lo testimoniò durante le udienze ma nessuno indagò. Certo, potrebbe essere anche che Cavallari si sia inventato tutto, ma lo avrebbe dovuto accertare la magistratura (doverosamente). I magistrati della Procura di Bari ai tempi di Cavallari? Eccoli: 1) Alberto Maritati, subito dopo l'inchiesta “Cavallari” entrò in politica. Eletto alle elezioni suppletive, venne nominato sottosegretario nei governi “D'Alema” I e II. Sempre ricandidato ed eletto nelle liste del Pd, oggi è senatore dopo essere stato sottosegretario nell'ultimo governo Prodi. Amico di Luciano Violante e fedelissimo di Massimo D'Alema; 2) Michele Emiliano, chiese ed ottenne il sequestro dei beni di Francesco Cavallari, ma lo eseguì tre mesi dopo la firma del Gip. Anche lui entrato in politica nel Pd. Anche lui vicinissimo a D'Alema. Oggi è sindaco di Bari e vorrebbe candidarsi alla presidenza della Regione Puglia; 3) Giuseppe Scelsi, ancora Sostituto Procuratore a Bari. Titolare di un filone delle inchieste sul malaffare in Puglia; 4) Giuseppe Chieco, Procuratore Capo a Matera. Indagato dalle Procure di Catanzaro e Salerno per corruzione in atti giudiziari in concorso e associazione con diversi altri magistrati. Frequenti i contatti telefonici con Alberto Maritati durante e dopo le perquisizioni a suo carico nell'inchiesta Toghe Lucane per cui oggi è stata formulata richiesta di archiviazione. Maritati e Chieco, in un particolare che risulta ben documentato nell'inchiesta “Toghe Lucane”, relazionarono di aver registrato un colloquio con Francesco Cavallari che valse ad entrambi (insieme con Giuseppe Scelsi) il proscioglimento in un procedimento penale per gravissime ipotesi di reato. Ma lo stesso giorno del colloquio, alla stessa ora, Cavallari sembra (da atti della Procura di Potenza) essere in un altro posto! Allora, lo vogliamo dire, sì o no, che da vent'anni si raccontano alcuni fatti senza chiudere il cerchio? Lo vogliamo dire, che il cerchio si chiude su Massimo D'Alema? Certamente fra i responsabili o comunque i partecipi delle poco chiare complicità politiche dei sistemi “border line” che affliggono l'Italia. Non che sia l'unico, nemmeno che sia il massimo, solo che resta sempre quello in incognito. Quello di cui nessuno parla o, forse, osa parlare. Così il cerchio si chiude.

lunedì 30 novembre 2009

COSA (CHI) TUTELA S. E. IL PRESIDENTE NAPOLITANO?

Scendono in campo proprio tutti. S.E. il Presidente Napolitano, come in altre occasioni relativamente recenti, scende in campo. Non lo fa per difendere la Costituzione, ma per conservare uno "status quo" ormai indifendibile. Quando firmò il "lodo Alfano", promulgò una Legge incostituzionale e non per un sottile cavillo valutabile solo da finissime menti avvezze alla giurisprudenza costituzionale. Per un concetto così fondante e basilare che ignorarlo significa chiudere gli occhi, tapparsi la bocca e, a nostro avviso, turarsi persino il naso. I cittadini sono uguali (per ora) davanti alla Legge ed allora è lapalissiano che quando una Legge stabilisce per 4 italiani un percorso giudiziario diverso, questa norma viola l'assunto costituzionale di cui innanzi. Lo capiscono anche i bambini ma S.E. Napolitano no, lui tenta addirittura di giustificare la boutade (così merita di essere definita) che recava il nome del Ministro Angelino Alfano (anche il Ministro in materia di Costituzione non sembra molto ferrato). Tramontata una Legge ecco tutti al lavoro per trovare altre vie "impunitatis". Arriva (sempre dal Signor Ministro Alfano) la proposta del "Processo Breve", clamoroso falso lessicale per ingannare il popolo della televisione, della pubblicità e delle lotterie televisive e dei "gratta e vinci". Per nascondere la verità di un provvedimento che prevede un'altra aberrazione costituzionale: la negazione del processo. Invece della persecuzione dei reati (obbligatorietà dell'azione penale, così leggiamo nella Costituzione Italiana) si propone la cancellazione dei processi: una Legge ordinaria cancellerebbe una disposizione della Costituzione (altro nobile parto della mente eccelsa del Ministro della Giustizia). Talmente evidente che neanche un Presidente poco attento potrà promulgare un siffatto provvedimento che già si corre in soccorso del Cavaliere. Lo fanno con accezioni diverse ma col medesimo "risultato" perseguito Bersani (Pd) e Casini (UdC) quando premettono che il ritiro della proposta sul "processo breve" spalancherà le porte della modifica della Costituzione per mettere Berlusconi al di sopra della Legge. Propongono un baratto fra una Legge che non potrebbe mai essere promulgata con la modifica della Costituzione che non dovrebbe mai essere accettata: non si modifica la Costituzione per evitare il giusto processo ad un solo cittadino! Dice Angelino Alfano che la Legge “ammazza processi”, cancellerebbe solo l'1% delle cause in corso. Ma allora a cosa serve fare una Legge se il 99% dei processi è già “breve”? Parole in libertà, è evidente che le contraddizioni si intrecciano ad ogni tentativo (maldestro) di raggiro della pubblica opinione. S.E. Napolitano, torna in soccorso, e invita tutti a moderare i toni, ad essere collaborativi. Si stanno stravolgendo i principi costituzionali, maggioranza e opposizioni (tranne qualche mosca bianca) inciuciano per difendere una casta delegittimata dai fatti e invisa al popolo, e S.E. il Presidente invita a parlare a toni bassi, magari a non parlare affatto. Assurdo! Vige un principio enunciato dalla Suprema Corte di Cassazione secondo cui più è alto e delicato l'incarico ricoperto da un rappresentante e/o da un funzionario dello Stato, più forti e decisi devono essere i toni della legittima critica (anche questa tutelata dalla Costituzione). Anche qui S.E. Napolitano dimostra scarsa attenzione o troppa attenzione (per altri versi). Le ultime dichiarazioni del cosiddetto Premier e del suo codazzo di parlamentari, avvocati-parlamentari, giornalisti-avvocati e nominati vari, sulle accuse di partecipazione esterna ad associazioni mafiose segnalano l'ultima e, forse, definitiva frontiera della battaglia politico-giudiziaria in atto. Se Berlusconi fosse indagato per reati di mafia, e non lo si può sapere perché le norme vigenti vietano di comunicare queste tipologie di reato, non ci sarebbero "lodi" e "accordi" o "Leggi" percorribili per evitargli di rispondere davanti ai giudici come qualsiasi altro cittadino italiano. Resterebbe solo la "possibilità" di una svolta autoritaria, un ulteriore abbassamento del livello di democrazia. Questa è la cifra esatta delle questioni in ballo. Davvero S.E. Napolitano pensa che si possano affrontare a bassa voce e con spirito collaborativo? Esattamente quanto sostenne ai tempi della Primavera di Praga, quando la palese negazione dei diritti civili fu giudicata una questione "interna" di un Paese straniero. Proprio come oggi la democrazia in Italia viene ritenuta una questione "interna" alla casta dei politici. MA, CARO ED ECCELLENTISSIMO NAPOLITANO, LA TUA GENERAZIONE HA FATTO IL SUO TEMPO (ED I SUOI DANNI).

domenica 22 novembre 2009

L'impunità eterna per Silvio Berlusconi e l'archiviazione immediata per Romano Prodi

Archiviata la posizione di Romano Prodi nell'inchiesta "Why Not". Nonostante lo sforzo di importanti testate giornalistiche nazionali, la cosa continua a suscitare dubbi o, quantomeno, risolini ironici che non cesseranno mai. Purtroppo. Eppure Romano Prodi aveva il diritto di uscirne senza alcuno strascico se, come dice il GIP di Catanzaro, era estraneo ai reati a suo carico che Luigi de Magistris (all'epoca PM) aveva iscritto nel Registro delle Notizie di Reato tenuto presso la Procura di Catanzaro. C'è il Diritto al "giusto processo" e c'è il diritto alla "definitiva assoluzione". Ma c'è anche il diritto al proscioglimento senza ombre e sospetti, senza quei risolini ironici con cui molti commentano la notizia dell'archiviazione. Una smorfia che pesa più di una condanna, perché è inappellabile. Come ci si può difendere da una risata che sconfina in un ammiccamento? Come se una donna portasse in tribunale qualcuno dicendosi oltraggiata per un occhiolino malizioso: ne risulterebbe un oltraggio ben maggiore, unito agli sberleffi di chiunque fosse lì presente. Il fatto è che quel procedimento penale, venne sottratto al giudice naturale (PM De Magistris) commettendo un abuso. Fatto accertato dai magistrati di Salerno. Poi venne assegnato ad un pool di magistrati (di Catanzaro) che commisero tutta una serie di abusi, sempre rilevati dai PM salernitani, culminando con abusi talmente gravi da essere sanzionati dal pur compiacente Consiglio Superiore della Magistratura con il trasferimento. Decisione confermata persino dalla Suprema Corte di Cassazione che, in quanto a compiacenze verso certe nefandezze giudiziarie, può scrivere trattati enciclopedici. Come se non bastasse, uno dei PM delegati alle indagini su Why Not (appena sottratte con un abuso a de Magistris) chiese ed ottenne di esserne esentato. Scrisse che gli veniva impedito di svolgere le indagini. E venne accontentato. Con queste premesse, poteva l'archiviazione apparire come una decisione presa da un giudice terzo sulla base degli indispensabili elementi probatori pro o contro che fossero? Ma non è solo Romano Prodi a pagare lo scotto di tante leggerezze. Pensate alla legge ponte per garantire l'impunità a Berlusconi nell'attesa che una modifica alla Costituzione Italiana lo immunizzi per l'eternità (giudiziaria, per l'altra non ci sono maggioranze che tengano!). Chi toglierà dalla mente degli italiani che la tiepidezza del PD, con quel popò di giuristi che si ritrova, non sia la controprestazione per il favore fatto a Prodi e (soprattutto) ad eventuali altri personaggi illustri implicati nelle faccende appena indagate da Luigi de Magistris? Basta leggere quanto risulta dagli accertamenti contabili sui movimenti finanziari indagati dal Consulente Tecnico della Procura di Catanzaro. Quel Dr. Sagona che non ha potuto consegnare le risultanze delle sue consulenze semplicemente perché non glielo hanno mai consentito. Fantastico!

martedì 17 novembre 2009

Pierferdy Casini, l'avv. Ghedini e il “Grande Bluff”

Si sta perdendo tempo, come spesso accade in politica, su una questione che non ha motivo di porsi: il cosiddetto “processo breve”. La proposta di Legge su cui il Presidente del Consiglio avrebbe chiesto di sottoscrivere una sorta di delega in bianco, è un grande bluff. Pierferdinando Casini ci è cascato in pieno o “bluffa” anche lui e rischia di indurre molti parlamentari a lasciare il piatto senza “andare a vedere” un punto che non esiste. Riepiloghiamo i fatti: 1) il Presidente del Consiglio teme di essere condannato nel processo Mills e quindi fra i parlamentari nominati include il suo avvocato personale, Niccolò Ghedini e fra i primi atti del Governo vara il “Lodo Alfano”. Una Legge ordinaria che sospende i processi alle 4 più alte cariche dello Stato; 2) L'avv. Mills viene condannato per corruzione, a corromperlo Silvio Berlusconi per il quale, essendo ricompreso fra le 4 cariche di cui innanzi, il processo viene sospeso; 3) la Consulta Costituzionale annulla il “lodo Alfano”. Berlusconi fa scintille, fulmini e saette, minaccia tutto e tutti; 4) l'On. Avv. Ghedini presenta una proposta di Legge che prescrive i processi: se dal rinvio a giudizio passano due anni senza arrivare ad una condanna, il processo cessa d'esistere e l'indagato la fa franca; 5) Pierferdy Casini propone un patto scellerato: “ridiamo l'impunità al Cavaliere attraverso un Lodo Alfano approvato quale Legge Costituzionale” ed avremo in cambio il ritiro della Legge sul Processo Breve. Sin qui la ricostruzione degli ultimi mesi di acerrime polemiche. In realtà, qualsiasi uomo capace d'intendere e di volere (quindi anche tutti i parlamentari), sa che la proposta Ghedini sul “Processo Breve” è improponibile. Non si riuscirebbe a processare più nessuno e si determinerebbe un nuovo principio che sovverte il fondamento dell'ordinamento giudiziario: "l'incertezza del diritto"; per non dire la certezza del "non Diritto". Questo lo sanno bene Ghedini ed il Ministro Angelino Alfano, lo sanno tutti i magistrati d'Italia, lo sanno tutti gli avvocati italiani. Qualsiasi cittadino, dotato di un briciolo di materia grigia, lo comprende senza difficoltà. Ed è qui la genialità di Berlusconi che prende all'amo la (probabile) buona fede dell'On. Casini. Minacciare una “strage di processi” per far apparire il “Lodo Alfano” (novellato in Legge Costituzionale) come il male minore da contrapporre al “Processo Breve” che di processi segnerebbe la fine improvvisa. Appare chiaro, quindi, che si tratta solo di un bluff, un grande bluff. Nessun giurista, ma anche nessun deputato e nessun senatore voterebbero una Legge che azzera la Giustizia Penale Italiana, che impone la negazione del Diritto e l'affermazione della resa al sopruso ed alla illegalità. Sì, qualche fedelissimo di Berlusconi lo trovi sempre. Qualcuno che non sa fare la "O" nemmeno col bicchiere e che i ventimila euro al mese non li farebbe nemmeno sotto la minaccia delle armi. Ma è proprio sicuro, è certissimo, che una siffatta Legge non avrebbe mai la maggioranza necessaria per essere approvata. E, qualora passasse, troverebbe sempre l'ostacolo Napolitano, che almeno in questo caso dovrebbe essere insormontabile. Ed ecco la genialata, il grande bluff. Presentano in parlamento una Legge impossibile e, facendo leva sui sentimenti più nobili del buon Casini e di quanti sono adusi a decidere senza riflettere, conducono le pecorelle a votare la legge Costituzionale relativa al Lodo Alfano. Perfetto? Quasi. Se Pierferdy otterrà la presidenza della Campania oppure del Lazio alle prossime regionali, vorrà dire che il patto è sottoscritto. Poi basterà sventolare ipotesi di elezioni anticipate per serrare le fila di quei parlamentari che se non fossero "confermati" dal Cavaliere (ma anche da Bersani, da Casini, da Di Pietro e dal ristrettissimo giro dei padroni del parlamento) non avrebbero di che campare, ed il gioco è fatto. O meglio i giocatori sono serviti. Ma, come tutti i bluff, sino all'ultimo resta l'incertezza. Qualcuno potrebbe chiedere di "vedere il punto" e allora per il Cavaliere si farebbe davvero difficile, in quest'anno horribilis che lo ha visto distruggere quanto di buono aveva costruito.

giovedì 12 novembre 2009

Dove era arrivato Luigi de Magistris nell'agosto 2008, dove è arrivata la Procura di Catanzaro a novembre 2009

Il primo personaggio ad invocare provvedimenti disciplinari a carico di Luigi de Magistris fu l'allora Procuratore Generale presso la Suprema Corte di Cassazione, Mario Delli Priscoli. Ed ecco qualche interessante notizia, ammesso che ce ne fosse bisogno. Mario Delli Priscoli – ricostruiscono i giudici di Salerno sulla base delle dichiarazioni rese da De Magistris - è padre di Francesco Delli Priscoli, professore universitario già consulente del Consiglio dei Ministri (governo D’Alema); già interessato alle licenze Umts – il sistema che unisce telefonini a servizi internet – per le quali si era scatenata una vera e propria “guerra di lobby” oggetto di investigazione dell’inchiesta Why Not e in parte anche di Toghe Lucane; già professore di informatica, settore sempre al centro del procedimento Why Not e, secondo quanto riportato su internet, presente all’interno di stage insieme alla suddetta CM sistemi, riconducibile alla Bruno Bossio e Antonino Saladino. Tutti e tre, Adamo compreso, indagati da De Magistris. Interrogato dai giudici di Salerno è lo stesso De Magistris a ricordare di aver letto, sempre navigando su internet, “di accertamenti che furono fatti, con riguardo all’omicidio di Simonetta Cesaroni in Roma alla via Poma, anche nei riguardi di Francesco Delli Priscoli. Ho potuto leggere – spiega – che uno dei magistrati che si occupò della vicenda pare (non so quanto letto corrisponda al vero) sia stato il dott. Settembrino Nebbioso (attuale capo di Gabinetto del ministro della Giustizia Alfano e in rapporti stretti con Saladino), che ha poi ricoperto per tanti anni un ruolo apicale all’interno del Ministero della Giustizia e che risulta avere contatti d’interesse con magistrati con riferimento all’inchiesta Toghe Lucane e che se non vado errato, risulta anche tra i nominativi delle persone rinvenute nelle perquisizioni all’indagato Antonio Saladino”. Da accertamenti risulterebbe ancora che l’Università La Sapienza di Roma, presso la quale il prof. Delli Priscoli insegna, ha ottenuto “grazie al suo contributo”, “ingenti finanziamenti pubblici, anche da parte dell’Unione Europea per oltre 8 miliardi di lire”. “Taluni di tali progetti – spiegava ancora De Magistris – mi consta siano stati svolti anche in collaborazione con la società Alenia del gruppo Finmeccanica (nel cui Consiglio di Amministrazione vi era anche Franco Bonferroni, indagato per gravi reati nelle inchieste Poseidone e Why Not)”. Ancora, Delli Priscoli avrebbe insegnato nell’ambito di corsi organizzati dallo stato maggiore della difesa in convenzione con il Cnr (istituto nel quale era impiegato il fratello di Romano Prodi, già indagato in Why Not) e lavorato su progetti in collaborazione con la Deutsche Telecom, società per la quale presta servizio Maurizio Poerio, anche lui personaggio di primo piano nelle inchieste Poseidone e Why Not. Non solo. Il Delli Priscoli avrebbe anche lavorato “presso la società Telespazio, del gruppo Finmeccanica (“una delle principali fonti di finanziamento della società Global Media, il polmone finanziario (anche di illecita natura) dell’Udc”, che partecipa “al progetto Galileo al quale era interessato anche Maurizio Poerio”. Tornando alla telefonia, Francesco Delli Priscoli, era fra i consulenti del Governo (Primo Ministro Giuliano Amato) per la valutazione dei partecipanti alla gara per l'assegnazione delle licenze UMTS. Gara da cui venne “prematuramente” escluso il Consorzio Anthill e che vide l'altrettanto inopportuna ritirata della BLU s.p.a. in cui un ruolo di spicco (all'epoca) era rivestito da Giancarlo Elia Valori. Il ritiro della BLU comportò l'immediata fine dell'asta al rialzo ed un conseguente “mancato introito” per lo Stato Italiano stimato fra i 15 ed i 20 mila miliardi di lire. Proprio dalla dichiarazione di fallimento del Consorzio Anthill per un “imprecisato residuo debito” (così recita la sentenza del Tribunale di Matera – Presidente del Collegio la D.ssa Iside Granese) nasce la denuncia/querela da cui scaturirà l'inchiesta “Toghe Lucane”. Si scoprirà che la D.ssa Granese non poteva “occuparsi” del Consorzio Anthill, la D.ssa Rosa Bia (relatrice) era stata “messa in mora” dal CSM e non poteva occuparsi di Cause Civili a Matera, il Dr. Attilio Caruso (Presidente del Consorzio Anthill e Presidente della Banca Popolare del Materano) aveva avviato trattative per vendere il Consorzio Anthill alla Telecom Italia mentre era in corso la Gara Umts (operazione illegittima ed illecita costituente turbativa d'asta). Risulta sempre più evidente che su “Toghe Lucane” si gioca la partita più importante della storia repubblicana. I diciannove procedimenti penali a carico di alcuni magistrati materani, incardinati presso la Procura di Catanzaro chiariranno molti interrogativi e, forse, qualche antico delitto.

giovedì 5 novembre 2009

Magistrati giacobini: a Matera è iniziato il Termidoro

Cari lettori del blog,
credo sia giunto il momento di affrontare la battaglia finale: quella da cui uno dei contendenti non tornerà più. Domani (6 nov '09) devo comparire davanti al Giudice dell'Udienza Preliminare di Matera che deciderà se rinviarmi a giudizio per diffamazione. La richiesta in tal senso l'ha formulata il Pubblico Ministero in seguito ad una denuncia querela presentata dal senatore Filippo Bubbico. Non entro nel merito, cosa che farò appena il magistrato assumerà una qualsivoglia decisione, perché l'aspetto veramente urgente da affrontare è altro: lo stravolgimento di uno dei cardini del Diritto, la presunzione d'innocenza o, come si dovrebbe dire più correttamente, la presunzione di non colpevolezza. Proprio come accadeva durante il Termidoro (leggi "rivoluzione francese"). Alcuni Pubblici Ministeri della Procura di Matera, dopo aver introdotto nel codice penale nuove fattispecie di reato, hanno deciso di adottare il principio della "presunzione di colpevolezza". Domani, come è già accaduto altre volte, sono chiamato a dimostrare la mia innocenza e/o l'estraneità ai reati e/o l'inesistenza dei fatti reato senza che siano state svolte le indagini. Il fascicolo processuale è desolatamente vuoto, ospita solo la querela del denunciante da cui il PM ha tratto la richiesta di rinvio a giudizio. Se l'accusa sia fondata, se esistano elementi per sostenerla in giudizio, quali siano le contestazioni da cui devo difendermi, sono tutte cose che il PM ritiene accessorie e facoltative. Sono chiamato a dimostrare la mia innocenza senza che vi siano evidenze, testimonianze, documenti che la mettano in dubbio. Senza uno straccio d'indagine. Non è la prima volta che questo accade e, secondo quella che appare come una scelta ordinamentale o "giureconsultuale", non sarà l'ultima. Ma questa volta i signori magistrati si sbagliano. Mi vergogno di essere chiamato in giudizio da siffatti magistrati giacobini e mi vergogno che non si vergognino della loro la pretesa di giudicarmi. E mi vergogno che il Consiglio Superiore della Magistratura ed il Presidente della Repubblica, che ben conoscono le numerose nefandezze giudiziarie commesse da alcuni magistrati della Procura e del Tribunale di Matera, indegni d'indossare ma anche di guardare da debita distanza la "toga", non abbiano mosso un dito. E non già a tutela di Nicola Piccenna, che sa ben tutelarsi da sé e che si avvale di signori avvocati; prima signori e poi avvocati, ma a tutela della credibilità della Giustizia Italiana che in questi casi, come in un tragicomico epilogo, tocca il fondo. Proprio questa vergogna sarà all'origine della resa finale. Neanche il più servo dei componenti il CSM, neanche il meno libero dei politici, nemmeno il meno coraggioso dei Presidenti della Repubblica, possono consentire che lo Stato di Diritto venga umiliato sino a questo punto da alcuni magistrati ormai obnubilati nelle facoltà più indispensabili: l'equilibrio e la terzietà.
Nicola Piccenna
392.4549696

lunedì 2 novembre 2009

L'indipendenza del magistrato


Soggetti solo alla Legge, così la Costituzione della Repubblica Italiana definisce l'organigramma funzionale dei magistrati. Questa semplice ma efficace statuizione è stata declinata secondo due direttrici fondamentali: indipendenza esterna (quella rispetto agli altri poteri, enti e articolazioni amministrative dello Stato) e indipendenza interna (riferendosi alla gerarchia funzionale propria della magistratura stessa). L'indipendenza esterna, almeno per adesso non sembra correre seri pericoli. I tentativi di minarla e limitarla sono tuttora in atto, basti considerare le recenti dichiarazioni (minacce?) di riforma della giustizia non già per eliminarne le evidenti e anacronistiche incrostazioni limitanti ma quale clava incombente per ridurla a zerbino del potere politico. Ma tali posizioni appaiono talmente e smaccatamente incostituzionali da essere efficacemente contrastate tanto nel campo politico quanto in quello giudiziale. Molto più grave è la situazione della indipendenza interna. I recenti accadimenti e le decisioni del CSM, insieme con la preoccupante (quasi) unanimità delle componenti politico parlamentari, mostrano la subordinazione dei magistrati ad altri magistrati; al punto che l'esercizio delle funzioni giudiziarie e finanche l'obbedienza ai dettami costituzionali in materia di obbligatorietà dell'azione penale, vengono limitati (in alcuni casi del tutto impediti) usando quelle funzioni di controllo e autogoverno originariamente concepite per garantire l'esatto contrario. Il CSM e la funzione gerarchica di controllo interna alla magistratura, in poche parole, sono state concepite dall'assemblea costituente (recependo in toto la tradizione dal Diritto Romano fino a quella più “moderna”) per tutelare il cittadino e l'esercizio della Giustizia da quel magistrato che le avesse creato ostacolo, che ne avesse impedito o ritardato il cammino, che avesse posto in essere comportamenti antigiuridici se non proprio criminali. Persino l'azione incolpevole (senza reato e senza intenzione) del magistrato che avesse causato turbamento e sospetto di parzialità diviene legittimamente (opportunamente) motivo di allontanamento dalla funzione e/o dal luogo d'esercizio della funzione giudiziaria. Nei fatti, purtroppo, riscontriamo l'esatto opposto. Luigi de Magistris, Luigi Apicella, Gabriella Nuzzi, Dionigio Verasani (e tanti altri che sarebbe lungo menzionare), vengono trasferiti ad altre funzioni, altra sede e, addirittura, puniti con perdita dell'anzianità (Nuzzi e Apicella) per aver posto in essere provvedimenti e/o procedimenti giudiziari perfettamente conformi al dettato legislativo e procedurale vigente (cosa confermata in tutti i gradi di giudizio esperiti). Cosa se ne deve dedurre o, meglio, cosa si può fare in difesa di queste libertà fondamentali? L'Associazione Nazionale Magistrati ha mostrato di coltivare strabicamente gli interessi della categoria, nei casi citati ha sposato le tesi e condiviso le azioni contro i suoi stessi iscritti. Ed ecco sorgere (finalmente) una pubblica petizione in cui alcuni magistrati chiedono rispetto e ripristino dell'indipendenza “interna” violata. Sarà sufficiente? Può un cannibale essere chiamato a condannare l'antropofagia? Occorre qualcosa in più. Appare indispensabile che i magistrati si costituiscano in associazioni indipendenti e alternative all'ANM e questo non appaia come una divisione. Poiché la divisione c'è già ed è netta. Da una parte i magistrati che credono ancora nella possibilità di essere indipendenti e quelli che vi hanno rinunciato. Intanto, sarà utile ed educativo vedere quanti vorranno esporsi pubblicamente sottoscrivendo l'appello (www.firmiamo.it/appellocassazione)

mercoledì 21 ottobre 2009

CSM e la tutela del Dr. Mesiano: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutt’e due in una buca?»

«Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutt’e due in una buca?». Gesù era circondato da falsi maestri, sempre pronti a giudicare e condannare gli altri e incapaci di esaminare se stessi. Alla radice delle loro falsità c’era la presunzione, l’atteggiarsi ipocritamente a maestri e guide senza averne le doti. Dice loro esplicitamente «ciechi e guide di ciechi». «Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non t’accorgi della trave che è nel tuo?» «Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e allora potrai vederci bene nel togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello».
Così accade che il Consiglio Superiore della Magistratura abbia condannato il 19 ottobre scorso i magistrati Gabriella Nuzzi e Dionigio Verasani alla perdita di anzianità ed al definitivo trasferimento ad altra sede ed altre funzioni. Tutto nasce dal provvedimento con cui Nuzzi e Verasani disposero la perquisizione ed il sequestro di materiali e documenti inerenti l'inchiesta che vedeva (e vede) coinvolti i vertici della Procura della Repubblica e della Procura Generale di Salerno, insieme con diversi magistrati di quella città e del distretto giudiziario di Basilicata. Proprio lo stesso provvedimento che tutti i gradi di giudizio cui è stato sottoposto (dal GIP alla Suprema Corte di Cassazione) hanno valutato legittimo, corretto e opportuno (anzi doveroso). Nessuno ha fiatato. Non un magistrato. Non un politico. Non un membro del CSM. Non un membro dell'ANM. Non un illustre costituzionalista. Non il Presidente Napolitano. Ipocriti! Mille volte ipocriti. Adesso che piagnucolano in difesa del Dr. Raimondo Carmelo Mesiano e si inalberano per “l'offesa alla magistratura” e simili alte grida. Ipocriti, mille e mille volte ipocriti! Il Dr. Mesiano non meritava certo il trattamento riservatogli da qualche giornalista al soldo di un noto politico. Non meritava nemmeno che si ironizzasse sui suoi calzini color turchese. Meno ancora è tollerabile la lunga teoria di contumelie che gli sono state indirizzate dai soliti politici schiavi di un seggio parlamentare o ministeriale. Ma come si fa a non vedere la trave piantata nell’occhio del sistema giudiziario italiano con la condanna di Nuzzi e Verasani e, prima, di Luigi de Magistris? E fra gli ipocriti, in prima fila, una certa stampa. Quella dei milioni di lettori e dei contratti pubblicitari faraonici. Quella che rivendica in piazza una presunta libertà perduta, che difende Napolitano anche quando è indifendibile. Quella che dovrebbe svelare “di che lagrime grondi e di che sangue” ed oggi, ipocritamente, si scandalizza per Mesiano ma finge di non conoscere Nuzzi, Verasani e De Magistris. Ipocriti!

sabato 17 ottobre 2009

Gli uomini di buona volontà e la Corte Costituzionale

Come è possibile che la Corte Costituzionale, il supremo garante della Costituzione Repubblicana sia così radicalmente divisa su questioni di “banale” lettura? Il “Lodo Alfano” che stabiliva un trattamento diverso davanti alla Legge per 4 italiani vìola l'articolo 3 della Costituzione, anzi violava. Questo lo capisce chiunque sappia leggere l'italiano. E allora perché 6 giudici su 15 la pensano diversamente? E perché i “6” ci tengono a ribadirlo votando una “mozione di minoranza”? È tutto qui. Il senso delle istituzioni, il rispetto per lo Stato e per la stessa Corte Costituzionale, tutto qui. In questo ostentare una posizione che non è giuridicamente fondata, nemmeno logicamente consistente. Soprattutto istituzionalmente dirompente. È il relativismo istituzionale: porre l'istituzione dopo gli interessi di una parte politica, di un gruppo, di alcuni potenti di turno. Anche legittimi, perbacco! È la dimostrazione che quello che ha rivelato il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, contiene elementi di verità (non è tutta verità, ma quasi). Le scelte, le decisioni, anche quelle più “alte” sono condizionate da amicizie, legami, posizioni che non sono algidamente derivanti da norme, codici, leggi e, meno ancora, da un dichiarato amore per lo Stato e le Istituzioni. Come potrebbe essere diversamente? Potremmo forse pretendere che gli uomini uscissero dalla propria pelle per entrare in uno scafandro amorfo? Almeno si è chiarito un punto fondamentale: non sono le strutture a garantire alcunché. Cosa volete che cambi se i giudici nominati in tal misura dal Parlamento siano preponderanti su quelli nominati dal Presidente della Repubblica o viceversa? Come potremmo sentirci meglio “tutelati” se la composizione del CSM fosse più massicciamente rappresentativa dei partiti piuttosto che delle correnti politico-giudiziarie interne alla magistratura? Non esiste una formula, una composizione strutturale che assicuri in se stessa di sfuggire alle brame invereconde di qualcuno. È una questione di uomini, di questo o quello, di quanto hanno già dimostrato in bene o in male, della capacità di ammettere i propri errori e porvi rimedio. Non esiste l'uomo della provvidenza (che resta un dono divino e, perciò, imprevedibile), ci sono uomini degni di fiducia perché hanno già dato prova di sé. Sono facilmente individuabili, anche a prescindere da quante volte compaiano in TV o scrivano sui giornali. Basta essere un po' meno cinici, un po' meno calcolatori, un po' meno miopi. Se ne trovano in tutti gli schieramenti, partiti, movimenti, associazioni, persino nelle fazioni. Sono pieni di difetti e commettono errori come tutti, ma hanno uno sguardo diverso e non si fa fatica a tributar loro stima e fiducia. Sono quelli de “la rivolta dei buoni”, come li definì un noto giornalista del Corriere della Sera. Sono gli “uomini di buona volontà”, come li chiamò qualcuno degno di fede. È l'unico “movimento” cui ci si può iscrivere senza nemmeno dichiararlo e parteciparvi senza muoversi da casa e sostenerlo facendo semplicemente il proprio mestiere (dovere?).

domenica 11 ottobre 2009

Napolitano ed il relativismo istituzionale: come ai "bei tempi" di Alexander Dubček

Sono passati alcuni giorni dal pronunciamento della Corte Costituzionale sul "Lodo Alfano" e (forse) possiamo guardare dalla giusta distanza l'immagine che ne deriva. E' proprio così, i quadri vanno guardati dalla giusta distanza: se troppo da vicino si colgono solo alcuni particolari, perdendone la visione d'insieme; se troppo da lontano, l'immagine appare sfocata, indefinita, incomprensibile.
Adesso, invece, il quadro dell'Italia nelle sue più alte istituzioni appare in tutta la sua tragica precisione:
1) Qualcuno assicura a Berlusconi che il "Lodo" passerà. Non sulla base del diritto, della legge, della Costituzione ma per via di sollecitazioni, pressioni, inciuci. Berlusconi ci dice anche chi avrebbe dato un siffatta garanzia: Giorgio Napolitano. Che sia vero o meno, per il capo del Governo la prassi è assolutamente "normale", la via praticabile. Che la Corte Costituzionale decida sulla base delle pressioni (vere o presunte) di Napolitano gli va proprio bene: non è la costituzione che si deve tutelare ma gli interessi di un potere. Di un gruppo di potere che dialoga e media con l'altro gruppo di potere. Le Istituzioni della Repubblica sono strumento per amministrare gli interessi di alcuni, non quelli preminenti del Popolo;
2) Tutti sanno che quello che dice Berlusconi è vero, lo sanno perché tutti praticano il relativismo istituzionale e ne godono ampiamente. Quando si è trattato di bloccare le inchieste di Luigi de Magistris, il Presidente Napolitano, il Consiglio Superiore della Magistratura, i governi (Berlusconi, Prodi e Berlusconi) ed i vari Ministri della Giustizia (Castelli, Mastella, Scotti e Alfano), la Suprema Corte di Cassazione, l'Associazione Nazionale Magistrati, i vertici della Procura di Catanzaro e di Potenza, le segreterie di tutti i partiti dell'arco costituzionale (esclusa la sola IdV), hanno calpestato i Codici, le Leggi, la logica e persino il buon senso. "Colleghi dove eravate?" ha scritto un coraggioso magistrato (Gabriella Nuzzi), richiamando le responsabilità di quanti hanno avuto in mano le evidenze probatorie degli abusi commessi con il "visto si proceda" esplicito del Presidente Napolitano. "Colleghi dove siete?", verrebbe da dire oggi dopo quello che abbiamo appreso dalla viva voce del Cavaliere (circa la sensibilità alle pressioni politiche dei Giudici della Corte Costituzionale) e da quella dell'ex ministro Claudio Martelli (circa le trattative Stato-Mafia, che poi in realtà sono Stato-Mafia-Massoneria, stando agli atti giudiziari noti;
3) Il primo ministro è, di fatto, prigioniero di tutti: a) dei suoi alleati di coalizione che potrebbero sfiduciarlo in qualsiasi momento giustificando anche bene la cosa; b) dell'opposizione che potrebbe chiederne la testa su un piatto d'argento viste le abominevoli ammissioni sul piano della correttezza istituzionale e le esplicite "minacce" di rivelare per intero la vicenda "Napolitano"; c) dei giudici del Tribunale di Milano che, condannandolo per la vicenda "Mills", ne decreterebbero la fine politica; d) dei leader degli altri paesi G8, G20, G40 e G-vattelapesca che, potendolo ridicolizzare in qualsiasi occasione per l'affaire "escort", lo tengono, come si suol dire, "per le palle". Un pupazzo, ostaggio di tutti e prigioniero del proprio orgoglio e della terribile solitudine in cui si è ridotto;
4) Il Presidente Napolitano che di fatto (vedi "sparata" a Lagonegro verso un cittadino che gli chiedeva di non firmare la Legge sullo Scudo Fiscale) abdica alle funzioni di custode della Costituzione. Atteggiamento confermato anche in occasione della firma per promulgare il Lodo Alfano. Le scuse addotte e abbracciate da maggioranza ed opposizione (sempre escludendo il prode Di Pietro) sono giuridicamente infondate e umanamente infantili. Del resto, fuor di ipocrisia, un parlamentare che approvò l'intervento russo per soffocare nel sangue la Primavera di Praga, non può cavarsela dicendo di aver sbagliato. Quantomeno dovrebbe riconoscere di non poter aspirare alla tutela del Costituzione di un Paese democratico. I comportamenti tenuti durante l'intera vicenda "De Magistris" e le posizioni assunte durante la "guerra tra le Procure di Salerno e Catanzaro", confermano che dai tempi di Alexander Dubček, Napolitano non è poi cambiato molto. La sensibilità istituzionale e costituzionale, del resto, Napolitano l'aveva dimostrata ignorando di fatto l'appello di 600 cittadini affinchè venissero trasferiti (almeno) due magistrati lucani (Giuseppe Chieco e Vincenzo Tufano) in palese stato d'incompatibilità funzionale ed ambientale per loro stessa esplicita ammissione.
E mentre il relativismo istituzionale consente a ciascun potentato di continuare a sviluppare i propri interessi e la Repubblica affonda:
1) si continua a pompare il petrolio lucano senza che sia mai stato chiarito chi controlla i quantitativi estratti. Si tratta del più grande giacimento continentale d'Europa, forse in grado da solo di ripianare il debito pubblico italiano;
2) si continua ad inquinare il Sud Italia con rifiuti tossico-nocivi e radioattivi, senza preoccuparsi minimamente della rimozione di quelli già scoperti;
3) si finge di non vedere la crisi della proba popolazione meridionale, troppo dignitosa per ammettere di essere ridotta alla fame.
Chi ha orecchie per udire, intenda!

martedì 6 ottobre 2009

Ghedini e l'applicazione personalizzata delle Leggi

L'avvocato Ghedini, parlamentare e difensore (in giudizio) del premier Silvio Berlusconi, ci ha spiegato che la Legge è uguale per tutti. Quello che cambia, a seconda delle persone, è l'applicazione della Legge. Sembra un'affermazione provocatoria ma abbiamo certezza che non sia così, Ghedini parlava sul serio, purtroppo. Questa è l'Italia in cui vorrebbero ci rassegnassimo a vivere, una nazione in cui i giudici applicano le Leggi non in base alle evidenze processuali ma a seconda del nome e del cognome dei giudicati. Nelle sentenze è scritto che vengono assunte "in nome del popolo italiano", ma questo aspetto Ghedini non l'ha ancora affrontato (per ora!)

p.s. Mi chiamo Piccenna Nicola, cosa prevedono per me le norme applicative della Legge?

domenica 4 ottobre 2009

"ce faranno un ber discorso su la Pace e sul Lavoro pe’ quer popolo cojone..."

C'è chi distribuisce salamelecchi a piene mani e chi aggettivi qualificativi. Siffatti "tipi umani" complicano la comprensione dei fatti lasciando spazio alle polemiche strumentali cui assistiamo in queste ore (vedi il "caso Di Pietro" relativamente alle accuse di viltà indirizzate al Presidente Napolitano). Il risultato, se non proprio l'obiettivo, è distrarre, distogliere da quanto accade e da "chi decide cosa".
Veniamo ai fatti, gli aggettivi ciascun ne metta a piacimento.
Il Presidente Napolitano rimbrotta un cittadino di Lagonegro (Basilicata) che gli chiedeva di non firmare la Legge sullo "Scudo Fiscale". Sostiene il Presidente che, se non firmasse, la norma tornerebbe in Parlamento dove verrebbe riapprovata e quindi sarebbe (Napolitano) comunque costretto a firmare a "stretto giro". "Una lezione di diritto costituzionale", l'ha battezzata un giornalista che pare lavori in Basilicata. In pratica, dice Napolitano che la sua firma è una formalità, un atto dovuto e ineluttabile. La domanda sorge spontanea: a cosa serve? Se un atto è dovuto ed ineluttabile, perché perdere tempo? Si potrebbe modificare la Costituzione e prevedere che per promulgare una Legge occorra solo il timbro della Presidenza della Repubblica; dotare il capo del governo di siffatto prodotto autoinchiostrante e, di conseguenza, accelerare l'iter parlamentare che già è abbastanza lungo e farraginoso. Invece, signor Presidente, non è così. Non ancora! La Sua firma garantisce il "controllo di costituzionalità" delle Leggi e la mancata firma diventa un problema serio, molto serio. Con questo non s'intende sostenere le ragioni di chi avrebbe gradito che il Presidente non firmasse, semplicemente si vuole chiarire che firmando si è assunto una responsabilità. Ha effettuato una valutazione. Ha espresso un giudizio. Tutto assolutamente rispettabile, ma sono responsabilità, precise e sottoscritte responsabilità. Come quelle che Napolitano assunse ai tempi della Primavera di Praga e di cui, correttamente, ha fatto pubblicamente ammenda. Come quella che si è assunto promulgando il Lodo Alfano e di cui sarà chiamato a fare ammenda se la Corte Costituzionale dovesse dichiararne l'incostituzionalità. Ma saranno davvero liberi e scevri da illazioni i giudici che il 6 ottobre esprimeranno questo giudizio? Potranno mai esserlo, dopo l'inusitata intromissione degli interessi governativi che l'avvocatura dello Stato ha ficcato come parte integrante del giudizio di costituzionalità? Poi, il Presidente Napolitano, sempre in quel di Rionero, ha espresso un chiaro giudizio sulla classe politica della Basilicata. Rientra nelle prerogative del Capo dello Stato e nei suoi compiti dare il voto agli amministratori locali? Certamente fa parte della libertà di espressione del proprio pensiero. Napolitano pensa che i maggiorenti lucani della politica e dell'amministrazione siano un concentrato di virtù e li indica come esempio urbi et orbi. Forse ignora, monsieur le President, che fino a qualche mese fa il governatore lucano, Vito De Filippo, non sapeva quanto petrolio si estrae dal sottosuolo di Basilicata e quali controlli vengano effettuati su dette estrazioni. Nemmeno mostra di sapere che tutta la valle del Basento è inquinata della chimica degli anni 60/80. Non fa cenno alla commistione d'interessi che porta la TOTAL e distribuire commesse in cambio di tangenti e posti lavoro che vengono poi venduti a padri umiliati e questuanti. Ignora che un deposito di materiali radioattivi scarica in mare l'acqua di raffreddamento delle barre di combustibile atomico esausto, a Rotondella, a 1500 metri dalla spiaggia frequentata dal popolo lucano (e non). Mostra di non sapere che l'amianto della Materit e quello della Ferbona e quello... hanno mietuto decine di vittime ed altre decine ne mieteranno nei prossimi anni. E non credo conosca molte altre questioncelle che fanno della Basilicata una luogo poco salubre e meno ancora gradevole proprio per la presenza di quella osannata "classe dirigente". Però s'inalbera, Napolitano, e reagisce stizzito dispensando lezioni di non so più cosa. Viene in mente Trilussa:

E riuniti fra de loro
senza l’ombra d’un rimorso,
ce faranno un ber discorso
su la Pace e sul Lavoro
pe’ quer popolo cojone
risparmiato dar cannone!