domenica 22 febbraio 2009

De Magistris, ultimo atto?

Nuova iniziativa disciplinare nei confronti dell’ex pm di Catanzaro, oggi giudice a Napoli, Luigi De Magistris, nell’ambito del nebuloso caso Genchi, una volta di più innescato dalla collaborativa magistratura di Catanzaro. Una trovata come un’altra, ma che,a differenza dalle prime, è tutto fuorché il fatidico fulmine a ciel sereno. Se la logica non è un’opinione, infatti,per quanti coltivano un sano gusto del ragionamento, si tratta della banale non-notizia del cane che morde l’uomo e non mangia il suo simile o, non di rado, socio.

Di recente, proprio su queste colonne, ci eravamo misurati con un’ampia e spassionata lettura di questo speciale affaire di Stato. Che,tuttavia, non sembra interessare più di tanto quel che resta di un’opinione pubblica in tutt’altre faccende affaccendata, drammaticamente in bilico fra le opzioni del vegetare o del morire e perciò comprensibilmente distratta. Con la consolante esclusione di qualche celebre pensatoio, liberatorio e compassionevole, di molti patriottici bar dello sport o di fastose canzonette plebiscitarie.

In quell’occasione, si ricorderà, la ricostruzione analitica delle complessive dinamiche fattuali (e valoriali) aveva generato uno spazio per conseguenti conclusioni predittive – non solo previsive – degli sviluppi odierni. Sappiamo. Dalle pregresse risultanze investigative dell’AG di Salerno nei riguardi del De Magistris - avvalorate, il mese scorso, da un’ulteriore istanza di archiviazione di una notitia criminis a suo carico - che la sua attività a Catanzaro si era snodata nella rigorosa osservanza di leggi e regolamenti. A dispetto, prima, dell’arbitraria estromissione del magistrato dai suoi compiti d’istituto in Calabria e - pour cause - del successivo, e non meno arbitrario, trasloco in altra sede.

Sappiamo, inoltre, di un’Ag, quella di Salerno, incorsa nei fulmini dello Stato (di diritto. O di rovescio?) perché rea di avere profanato, con furia iconoclasta, l’acropoli repubblicana, i vertiginosi santuari di un potere senz’altra ambizione, se non quella di essere lasciato in pace. E in vita, con alimentazione laica e naturale, come si conviene, non bigotta e forzosa.

Sappiamo, infine, che l’improba fatica delle istituzioni di controllo e autogoverno avrebbe rischiato di risolversi in un nulla di fatto o, peggio, in un boomerang, se si fosse trascurato di applicare un congruo assioma di chiusura, corollario indispensabile per la quadratura del cerchio.

Tornare a De Magistris, imperativo categorico, se anche etico non rileva, per un ultimo delicatissimo adempimento: le rifiniture. Dopo la normalizzazione della Procura salernitana (nesso pentole/coperchi a parte) in merito ai procedimenti che lo costituiscono parte lesa, l’interessato dev’essere rimasto in trepida attesa di verità e giustizia. A dissuaderlo, del resto, altri avevano già provato, vanamente.

Prima, rispettabili settori del Parlamento della Repubblica nata dall’antifascismo e dalla Resistenza - lontani ricordi – e, dopo, l’unione nazionale dei penalisti - un pilastro della giurisdizione - disgraziatamente afflitta da peculiari forme di ipoacusia, dislessia e strabismo, se vogliamo dar credito alla Procura di Roma in riferimento al caso Di Pietro-Presidente della Repubblica.

Sennonché, in ordine a ogni eventuale devianza di De Magistris a Catanzaro, la competenza appartiene sempre a Salerno – che noia! Dove gli uffici sembrano… inagibili,a giudicare dai precisi esiti investigativi - confermati da organi giudicanti – fin qui maturati. Palla al centro dunque, è giocoforza, a Roma, sede disciplinare, la sola percorribile. Ed ecco il punto vero, senza impropri stupori: si tratta della normale esigenza di uniformità dello Stato al teorema di completezza, classicamente.

Occorre esercitare sul nostro un’energica (e sinergica) moral suasion, fargli perdere di vista e separarlo da ciò che non è essenziale, che è ormai superato. Come la inopinata attività pre-incriminatrice dell’Ag campana, ora in quarantena, dopo il tempestivo intervento risolutore delle istituzioni. Che non contempla la realtà – un dettaglio – ma il profilo e l’ombra della realtà, privi di tutti gli accenti della verità.

Un destino davvero singolare: né magistrato, né cittadino con diritto alla Giustizia. Come il PD: né governo, né opposizione. Quasi un contrappasso. Tant’è, il fine giustifica i mezzi: ameno leitmotiv nazional-popolare, bussola di quanti, senza aver mai letto un solo rigo di Machiavelli, ne praticano la grottesca parodia. Non sono i mezzi adeguati che finiscono per giustificare i fini, come, con ingenua superficialità ermeneutica, credeva – e raccomandava – F.De Sanctis.

Il governo della lingua e, soprattutto, della coscienza non rientra nel novero dei saperi privilegiati. Eppure,se la nostra rappresentanza nazionale non fosse tanto lenta e rissosa, quante criticità si potrebbero appianare con la castrazione, chimica o chirurgica, ad libitum! Anche verso certi magistrati, ostinatamente ribelli all’unica vera norma sovrana e non scritta del bel paese. Giunti a questo punto, tuttavia, l’ANM dovrebbe almeno sciogliere la suspence e decidersi: sono “pagine chiuse” o ancora aperte? I faraoni costruirono le piramidi per essere ricordati. Per la Storia. Le forze sane della nazione, nel consesso delle democrazie occidentali e in una gloriosa prospettiva storica, optarono per la lotta contro la tirannide nazifascista e l’eccidio degli uomini giusti. Non si accettano pentiti. Questa volta.

Prof.Giuseppe Panissidi - Università della Calabria

domenica 15 febbraio 2009

Le criticabili posizioni del COPASIR, di Rutelli e di molti altri

Le criticabili posizioni del COPASIR, di Rutelli e di molti altri. Ovvero perché è utile conoscere il “Principio di Peter”
- Laurence J. Peter (September 16, 1919 - January 12, 1990) -

“Il principio di Peter” anche noto come “Teoria delle piramidi di Peter” è utile per capire o, quantomeno, per fornire una spiegazione scientifica del perché chi comanda – sia esso il tuo diretto superiore oppure il capo di un’azienda, sino al vertice di un Governo - sia spesso un incompetente. La cosa è tranquillizzante, infatti scoperta la causa si aprono le strade per debellare l’epidemia. Cosa quanto mai opportuna visto che, tanto sul lavoro che nella società, possiamo constatare quanto le cose vadano malissimo nonostante i migliori presupposti (a volte anche questi, i presupposti, non sono dei migliori. Ma questa è un’altra storia). Il Dr. Peter spiega come evitare di raggiungere il proprio livello di incompetenza e vivere serenamente, evitando la terribile sindrome di raggiungimento della posizione finale. Come dice Raymond Hull in una mirabile introduzione alla teoria di Peter: una volta che si sia conosciuto il principio di Peter non si può tornare in una condizione di beata ignoranza: “Non sarete più in grado di venerare i vostri superiori e opprimere i vostri sottoposti. Mai più!”. L’enunciazione del “teorema” di Peter è la seguente: “In una gerarchia ogni membro tende a raggiungere il proprio livello di incompetenza”. Con due corollari: “1. Col tempo, ogni posizione tende a essere occupata da un membro che e’ incompetente a svolgere quel lavoro. 2. Il lavoro viene svolto da quei membri che non hanno ancora raggiunto il proprio livello di incompetenza”. Con quest’ampia premessa diventa poi semplice seguire e capire quanto succede in Italia sin nel particolare quotidiano. Veniamo per esempio alla vicenda “Genchi-De Magistris”. Negli ultimi tempi siamo stati subissati di notizie, si noti che non uso il termine specifico “informazioni”, essendo queste ultime oggettive mentre le prime (le notizie) soggettive e quindi opinabili; notizie quindi che, nella citata vicenda possiamo riassumere brevemente: “Genchi aveva effettuato milioni d’intercettazioni”; “un cittadino italiano su dieci è stato intercettato da Genchi”; “fra i 5 ed i 7 milioni di Italiani intercettati dal super perito Gioacchino Genchi”. Ebbene, premesso che il Dr. Genchi non ha mai effettuato intercettazioni, mai, e che quindi si tratta solamente di tabulati telefonici (chi chiama chi; quanto tempo parlano, data della conversazione), oggi apprendiamo da fonte COPASIR (Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica) che i tabulati acquisiti (legittimamente) dal Dr. Genchi sarebbero 1402 e le utenze telefoniche di cui sarebbero stati individuati gli intestatari 392.000. Anche questa non è un’informazione (per il principio di precauzione), viste le bufale precedenti. Adesso il numero degli italiani coinvolti nell’inchiesta affidata al Dr. Genchi sarebbe di uno ogni centocinquanta, così dice COPASIR. Ma, smontata la prima panzana, eccone subito arrivare un’altra. Il presidente del Copasir (On. Francesco Rutelli) afferma che sarebbe in pericolo nientemeno che lo Stato italiano. in quanto fra i tabulati acquisiti ve ne sarebbero alcuni che riguardano il capo (all’epoca) del Sismi (Servizio segreto militare), altri due agenti (che definire segreti sembra quantomeno anacronistico) e alcune utenze intestate alla Presidenza della Repubblica e ad alcuni ministeri. Rutelli afferma di non voler entrare nel merito, ma, aggiunge che la cosa è gravissima. Prendendo sempre per buone le notizie fornite dal noto esponente politico (di cui non è dato sapere quali competenze specifiche abbia maturato per studi o esperienza diretta) e dai suoi colleghi di commissione (di cui sono note le appartenenze massoniche piuttosto che i curricula scientifici e/o professionali) ci chiediamo come si possa ritenere gravissimo il fatto che un magistrato (ed il perito tecnico nominato da questi) faccia le indagini. Dove sia il “vulnus” se, analizzando i contatti tenuti da una persona indagata, si acquisiscono i tabulati dei numeri telefonici con cui vi sono telefonate. E cosa si voglia rimproverare a chi, dopo aver riscontrato i contatti, acquisisca le generalità degli intestatari di quei telefoni. Sarà pur importante verificare chi e quando intrattiene rapporti telefonici con un indagato? Del resto, come si potrebbero rispettare le guarentigie costituzionali senza conoscere i nomi degli intestatari e quindi verificarne l’appartenenza a categorie “protette”? Mentre, infine, per quanto attiene alla sicurezza dello Stato, sarebbe veramente preoccupante uno Stato in cui chi telefona ad un indagato, solo perché usa un’utenza intestata ad un Ministero oppure alla Presidenza della Repubblica, debba essere tenuto fuori da ogni accertamento che, giova ricordarlo a Rutelli ed a tutti noi, viene effettuato innanzitutto a tutela e nell’interesse della persona (sia che si trovi nello stato d’indagato sia che possa essere sospettato di connivenza, collusione o complicità con l’indagato). Ma questo molti non lo possono sapere, il perché lo lasciamo al Dr. Peter. Il problema dell’Italia, ad ogni buon conto, non è questo. Infatti da noi non si applica il “criterio della meritocrazia” per cui fu coniato il Principio di Peter. Nel nostro caso il livello di incompetenza è originario, cioè i posti nella piramide delle istituzionali pubbliche o fintamente privatizzate, vengono assegnati con criteri di appartenenza politica. Come orgogliosamente rivendicano tutti i leader politici quasi che fosse un loro diritto divino. Per cui già in partenza l’assegnazione dei livelli avviene prescindendo dalla competenza. In questo caso lo Stato non potrà funzionare o lo farà secondo livelli di inefficienza esponenziale. Dando origine a quella che potremmo definire una più realistica esposizione del principio di Peter: incompetenza più incompetenza uguale incompetenza. Qualcosa di paragonabile alle conseguenze sinteticamente paventate dal “Motto di Jones”: “Gli amici vanno e vengono, i nemici si accumulano”. Sono i nemici della libertà e della democrazia. Gl’incompetenti che, accumulandosi, hanno azzerato la credibilità delle istituzioni. La richiesta delle manette, che un noto incompetente avanza nelle ultime ore, disvela quanto lungimirante ed utile sia conoscere il Principio di Peter e magari applicarlo. Sarebbe proprio improponibile verificare quali competenze specifiche hanno presidenti, ministri, direttori generali, magistrati, professori, primari, bidelli e spazzini? E ricollocare ciascuno in un ruolo consono alle proprie capacità professionali e/o manuali? Quando alcune aziende private (negli States, ovviamente) sottoposero a questo genere di test i vertici aziendali, furono costrette a mandarne a casa il 90%. Ma in Italia sarebbero anche di più.
Filippo De Lubac

mercoledì 11 febbraio 2009

Scandaloso CSM: le motivazioni del Riesame di Salerno lo smentiscono clamorosamente

Lo sapevamo già, ma la verità prima che essere scritta su un giornale è opportuno che sia vidimata in carta bollata. Così è stato, anzi, era stato. Poiché è dal 9 gennaio 2009 che il Tribunale del Riesame di Salerno aveva respinto le istanze che chiedevano l’annullamento del decreto di perquisizione e sequestro emesso dai Sostituti Procuratori di Salerno, Gabriella Nuzzi e Dionigio Verasani, con l’avallo del loro Procuratore Capo, Luigi Apicella. Per quelle perquisizioni e quei sequestri, i primi due sono stati trasferiti ad altra sede ed altre funzioni. Il terzo, Dr. Luigi Apicella è stato radiato dalla magistratura. Perché? Lo spiegano i consiglieri del CSM in una lunga e articolata ordinanza.
Il “bello” è che le motivazioni su cui si basa la gravissima decisione del CSM vengono sistematicamente smentite dalle argomentazioni del Tribunale del Riesame
In pratica quello che scrive il CSM sarebbe totalmente smentito e (persino) privato di dignità giuridica dal Tribunale del Riesame. Allora ritorna il terribile dubbio: cosa avevano toccato i magistrati salernitani da meritare una così grave e repentina punizione? Alla domanda nessuno si è sentito di rispondere facendo nomi e cognomi, nemmeno le vittime di questo folle degrado della dignità istituzionale. In verità, bisogna comunque dire, che il provvedimento di perquisizione e sequestro che si trova all’origine di tutta questa intricata vicenda è zeppo di nomi, cognomi, ruoli e funzioni dei personaggi eccellenti che, a vario titolo, hanno ruoli che sarebbe inveritiero definire da educande. Basta leggerlo (www.ilresto.info/11.html 2.12.2008) per capire: 1) che non era affatto abnorme ed è assolutamente facile da comprendere anche per i comuni mortali; 2) chi erano i colletti bianchi per cui gli obblighi e le statuizioni costituzionali sono un opzional; 3) qual era l’urgenza di azzerare l’inchiesta e salvare le nefandezze di un sistema giudiziario a credibilità zero. È istituzionale la questione da porre, purché le istituzioni vengano lasciate libere da quanti le occupano indegnamente. Il Presidente della Repubblica non ha ritenuto esistessero i requisiti dell’urgenza per firmare il decreto governativo “salva Eluana”, viceversa aveva ritenuto che esistessero quegli stessi criteri per firmare il “lodo Alfano” che però lo riguardava direttamente (non avrebbe dovuto astenersi da sottoscrivere un provvedimento di cui era personalmente beneficiario?). In entrambi i casi vi sono state vittime (morta Eluana, morta la Costituzione). Vedremo se riterrà urgente intervenire in materia di giustizia disciplinare, essendo il Presidente del CSM, per rimediare al grave vulnus causato dalla ingiusta sanzione ai Dottori Apicella, Nuzzi e Verasani. Gli atti li potrà leggere su internet, evitando di fare richieste in giro.
Filippo De Lubac

domenica 8 febbraio 2009

Della sentenza di trasferimento di Nuzzi, Verasani e Apicella: magistrati!

All'avvocato bisogna raccontar le cose chiare: a noi tocca poi a imbrogliarle

Et voilà, come un sufflè appena sfornato ecco a voi le motivazioni con cui il CSM giustifica il trasferimento di quattro sostituti e la “radiazione” del Procuratore Capo di Salerno. Le parole sono altisonanti, roboanti, sembra di sentire l’avv. Azzeccagarbugli. A questo punto bisognerebbe ripetere quanto già detto da autorevoli magistrati, giuristi, docenti universitari e via via scendendo sino a giungere ai giornalisti (pochissimi per la verità) che hanno continuato a spiegare, a raccontare a proporre documenti ufficiali di questa triste pagina della giustizia italiana. Non s’illudano i protagonisti, dell’una o dell’altra sponda. Per tutti la storia riserverà il giusto posto, solo che si quieti la tempesta di sabbia che i palloni gonfiati, espirando, stanno causando artatamente. E, fra qualche mese, forse settimana, uno sconosciuto (bravissimo) studente di 2^ B potrà scrivere qualcosa di simile al commento rintracciabile su internet che si riporta di seguito (per brevità).

"Non facciam niente", rispose il dottore, scotendo il capo”. (v.236).
"Se non avete fede in me, non facciam niente. Chi dice le bugie al dottore, vedete figliuolo, è uno sciocco che dirà la verità al giudice. All'avvocato bisogna raccontar le cose chiare: a noi tocca poi a imbrogliarle”. (vv.237-240).
Fra i personaggi minori, se non addirittura di scorcio, è possibile notare l'avvocato dell'iniquità e del vizio, chiamato dai popolani come il dottor Azzeccagarbugli, un nomignolo ben affibbiato che ci dimostra l'indole spregevole dell'individuo. È in effetti, una figura caratteristica, propria del suo tempo, quando la legalità era schiava della prepotenza e del delitto, dei nobili e dei signorotti. Le "gride" erano tante e tutte comminavano pene severissime, per qualsiasi infrazione. Alto, asciutto, pelato, col naso rosso ed una voglia di lampone sul viso, simbolo del suo ripugnante vizio del bere, indossa una toga che funge da veste da camera. Egli è un uomo servile, corrotto, ipocrita, "è la mente che serve di potere" a don Rodrigo e ai suoi bravi, l'uomo di legge, ossequioso coi potenti ed alimentatore dei loro soprusi e delitti, calpesta i suoi doveri di professionista per uccidere la giustizia e la verità, reclamate dalla legge e dalla coscienza umana. Azzeccagarbugli desta ilarità e riprovazione per il suo opportunismo tra le pareti ampie del suo grande studio. Il suo studio,infatti, è una cornice degna del decadimento fisico e morale del personaggio: è uno stanzone, su tre pareti del quale sono appesi i ritratti dei dodici Cesari, tutti rappresentanti del potere assoluto, considerato sacro e inviolabile nel '600; sulla quarta parete è appoggiato un grande scaffale di libri vecchi e polverosi; nel mezzo c’è una tavola gremita di carte alla rinfusa, con tre o quattro seggiole all'intorno, e da una parte un seggiolone a braccioli piuttosto malandato. Egli viene ritratto in particolar modo nel terzo capitolo, mentre discute con Renzo. Poiché ha capito che quest’ultimo, nel raccontargli la sua disavventura matrimoniale, è uno di quei bravacci avvezzi a minacciare i curati, l’ avvocato decaduto tenta di adoperarsi come può a difendere il nuovo cliente. Ma quando apprende la verità, cioè che il prepotente è don Rodrigo, il dottor Azzeccagarbugli s'infuria contro il povero Renzo, e, aggrottando le ciglia e gridando, lo mette alla porta immediatamente, dopo essersi simbolicamente lavato le mani, come un Pilato sicuro di protezione dall'alto. Nei pranzi e nelle feste di don Rodrigo,infatti, lui più florido del solito, brinda e gozzoviglia come un parassita senza scrupoli, caduto nella più ignobile bassezza morale, spesso petulante e ridicola. Quest'avvocato ha una sua psicologia di pavidità malvagia che, in un certo qual modo, si accosta ad un altro personaggio del romanzo: don Abbondio. Colpito dall'inesorabile male della peste muore e, dopo un breve elogio funebre di derisione e di scherno, si viene a conoscenza che è seppellito in una povera fossa comune, senza onori e privilegi. I nemici della giustizia e del popolo vengono puniti da Dio sempre in questo modo. (Stefano F.)

Il fatto si è che, se non fosse stato scritto un secolo fa, ci beccheremmo una querela per direttissima. Tanto sono confacenti a persone e fatti realmente esistenti, le vicende mirabilmente raccontate dal Manzoni e sagacemente commentate da Stefano B.

venerdì 6 febbraio 2009

SUMMUM IUS, SUMMA INIURIA

di Giuseppe Panissidi (Ricercatore nell’Università della Calabria)
da Messagero.it del 4 febbraio 2009

E’ ampiamente noto come, da Aristotele a Cicerone, fino all’ambito moderno delle nostre culture e sensibilità, la rigorosa applicazione dei principi del diritto e della giustizia, spinta all’estremo, finisca per rovesciarsi nel suo diretto opposto. Che, non a caso, il sagace Terenzio definisce “malitia”, un lemma assai denso di significati, non solo tecnici. Questo storico assunto, intrinsecamente munito di uno spessore ideale e culturale profondo, può aiutarci a inquadrare correttamente i più recenti sviluppi dell’affaire De Magistris. “La scure del CSM” – secondo la truce metafora mediatica – colpendo energicamente i duellanti di Catanzaro e Salerno, ma soprattutto questi ultimi, ha saputo ristabilire l’ordine infranto della legalità, ossia, in concreto, le prerogative e la credibilità della giurisdizione. Infatti, nelle more della separazione dei pm dall’ordine giudiziario, si è cominciato a separarne qualcuno … dal suo ufficio. “Iniuria” affatto singolare, indubbiamente intrisa di “malitia”, ma del tutto sconnessa dall’estremo rigore giuridico di cui sopra. Ora, ci troviamo fuori dal terreno impervio e defatigante delle opinioni, più o meno fondate e polemiche e faziose. Tralasciamo, per carità di patria, le improvvide esternazioni speculative di un premier, che invoca la “certezza della pena” nella fase procedimentale delle indagini preliminari! Fulgido esempio di cultura della giurisdizione, non solo e non tanto, quanto di percezione e fedeltà allo Stato Costituzionale di diritto! Consideriamo, invece, una fonte meno sospetta e oltremodo istruttiva, quale è la presidenza dell’A.N.M., il sindacato che rappresenta i magistrati, non i pur rispettabili carrettieri. Ebbene, dopo la sospensione del procuratore di Salerno – ad opera di un C.S.M. finalmente unanime, in un paese notoriamente lacerato dai più potenti virus della belligeranza – il rappresentante di quell’associazione ha impartito alla nazione una solenne lezione di diritto e democrazia. E… giurisdizione, appunto. Una lezione memorabile e rivelatrice, anzitutto. Per quel magistrato-delegato-da-magistrati, con i provvedimenti del C.S.M., “la pagina è chiusa”. Il senso del discorso non potrebbe essere più chiaro e confortante. L’intervento dell’organo di autogoverno della magistratura non ha assunto iniziative emergenziali e cautelari, nell’ambito di un procedimento ancora tutto da svolgere e nel quadro delle garanzie previste dall’ordinamento giuridico democratico. Non ha, insomma, scritto la pagina iniziale di un giudizio disciplinare, che (ritualmente) richiede una certa estensione temporale, a scopo preventivo e sul presupposto indefettibile della presunzione di non-colpevolezza. Au contraire, ha istituito una procedura nella quale l’indagine è processo, esito e anche sentenza. A questa “pagina chiusa”, poco meno di una confessione, patentemente ripugna ogni ulteriore commento, ritardati esclusi. Ed è la concreta riprova della segnalata e (largamente) condivisa necessità di un’immediata “certezza della pena”. E la nostra sarebbe una nazione disunita?

domenica 1 febbraio 2009

"Roma di travertino, vestita di cartone, saluta l'imbianchino, futuro suo padrone" - Trilussa

Apertura dell’anno giudiziario nel distretto di Potenza, che significa anche Matera, Melfi e Lagonegro; in pratica tutta la Basilicata. Il clima è fintamente disteso. Il Presidente della Corte d’Appello, Ferrara, svolge la sua relazione. Una tranquilla disamina di ciò che non va (molto) e di quello che funziona bene (pochissimo). Si è recuperata la serenità, dice, dobbiamo credergli (?) Non un cenno all’inchiesta “Toghe Lucane” che ha squassato il “suo” distretto giudiziario. Tre o quattro toghe rosse alla sua sinistra c’è il Dr. Iannuzzi, testimone e parte offesa nel procedimento “toghe lucane”. Quattro toghe alla sua destra ci sono S.E. il Dr. Vincenzo Tufano (Procuratore Generale) e Gaetano Bonomi (Sostituto Procuratore Generale) che hanno denunciato Iannuzzi per le dichiarazioni rese quale persona informata dei fatti al Dr. De Magistris (ex) PM in “toghe lucane”, dove i due sono indagati di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari. Di fronte al Dr. Ferrara, in prima fila, siede il senatore Filippo Bubbico indagato con Tufano e Bonomi per il medesimo reato e per qualche altra ipotesi criminosa ai danni dello Stato. Al fianco di Bubbico siede Vito de Filippo, Presidente della Giunta Regionale, indagato con Bubbico, Tufano e Bonomi. Associazione per delinquere finalizzata alla truffa aggravata, l’accusa per De Filippo. Di fronte a S.E. Ferrara, gli alti gradi dell’Arma dei Carabinieri di Basilicata. Rappresentano l’istituzione (forse) più amata dai cittadini i cui vertici (Gen. Massimo Cetola, Gen. Emanuele Garelli, col. Nicola Improta e col. Pietro Polignano) sono indagati con Tufano, Bonomi, Bubbico, De Filippo per aver tentato di costringere alcuni ufficiali dei carabinieri loro subalterni a mentire e ritrattare testimonianze rese davanti al procuratore capo di Potenza (all’epoca) Dr. Giuseppe Galante. Poco più dietro i carabinieri, siede Giuseppe Chieco, Procuratore Capo di Matera. Anche lui è indagato di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari in buona compagnia con Tufano, Bonomi, Bubbico, De Filippo, Cetola, Garelli, Improta e Polignano. Sulla destra di Ferrara, a mezza sala, siede Emilio Nicola Buccico, sindaco di Matera, già senatore, già membro del Consiglio Superiore della Magistratura, già “strenuo difensore della legalità” come scrisse di lui la Suprema Corte di Cassazione. Anche Buccico è indagato in “toghe lucane” di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari. In ultima fila, in piedi, l’avvocato Giuseppe Labriola, già presidente dell’ordine forense di Matera, già iscritto nella “lista Cordova” dei massoni lucani. Stesso procedimento e medesime ipotesi di reato del suo “maestro” (così lo definì in una intervista giornalistica) Emilio Nicola Buccico. Ecco, questa era una parte consistente della platea e dello stesso palco da cui parlava Ferrara. E nulla ha detto di un’inchiesta che ha stravolto l’intero mondo giudiziario lucano, circondato com’era dagli indagati. Altrettanto surreale l’atmosfera in cui ha parlato il PG Tufano. “Tutto si sta aggiustando”, dice ad un certo punto e non si capisce cosa intenda. A noi risulta, per esempio, che il sequestro del cantiere Marinagri, atto dell’inchiesta “Toghe Lucane” sia stato confermato in tutti i gradi di giudizio, Cassazione compresa. Ma oggi (31.01.2009) non si parla di fatti, né di atti concreti, né di persone o di magistrati sospettati di gravissimi reati. Oggi si parla di opinioni, ognuno esprime la sua come se si parlasse di punto a croce, qualcosa di mille miglia lontano dal mondo giudiziario lucano. Quello che si dice nell’aula Grippo è una via di mezzo fra una uggiosa giornata londinese ed una novella di Pirandello. Per qualche attimo viene il dubbio di essere su un pianeta extra-solare. E Tufano esprime le sue di opinioni, peraltro reiterate nel tempo. Lo dice egli stesso che sono quattro anni che va ripetendo le stesse cose. Come se nulla fosse accaduto. Come se in quattro anni non fosse cambiato il patrimonio di conoscenze sui magistrati e sui delinquenti dal colletto bianco. Come se non si trovasse a parlare dello stato dell’amministrazione della giustizia in Basilicata in un aula con una decina di suoi sospetti correi in associazione per delinquere per corruzione in atti giudiziari. Come se non fosse inchiodato da telefonate e testimonianze inequivocabili che lo accusano di essere l’organizzatore di un’opera sistematica tesa a delegittimare i suoi stessi sostituti procuratori. S’intercetta troppo, lascia intendere. Colpa di alcuni sostituti, dice. Come se le intercettazioni le disponessero i sostituti che, invece, si limitano a chiederne l’autorizzazione al Gip. Bisognerebbe limitare l’uso di questo strumento perché, tra l’altro, costa troppo. E cosa taglierebbe, l’Eccellenza Ill.ma Dr. Tufano? Non lo dice. Quali sono le intercettazioni di troppo? Forse quelle di Bonomi che parla col generale tale e chiede di convincere il tenente tal’altro a spergiurare? Oppure quelle del generale Sempronio che informa di aver trasferito il tenente Caio “così impara, la prossima volta, chi comanda”? Non entra nel particolare S.E. il Dr. Tufano. Per lui le intercettazioni si misurano a chili. Un chilo è troppo, mezzo chilo va bene. Cosa ci sia dentro non importa, anzi, importa che non si sappia. Attenzione, bisogna scoprire e punire chi divulga le conversazioni telefoniche e, soprattutto, impegnarsi a scoprire chi le rivela. Non importa il loro contenuto, non rileva se vengono pubblicate quando il segreto istruttorio è cessato. Nemmeno ci si pone il problema se si tratta di fatti di specifico interesse pubblico. La Basilicata è ridotta ad un cumulo di sofferenza e precarietà, ma l’immoralità dei politici che pretendono di gestire orti ed orticelli clientelari non si deve conoscere. Le intercettazioni non si devono conoscere, punto e basta. La sua relazione finisce con fragorosi applausi. Buccico è scatenato, batte rapidamente le mani enormi, gli trema la pancia prominente. Per forza, buona parte del pubblico erano suoi correi, in ipotesi, solo in ipotesi. Stessa situazione (identica) presso la Corte d'Appello di Catanzaro. Iannelli, PG trasferito per aver firmato un atto eversivo (sequestro delle presunte prove a suo carico), è stato applaudito dai magistrati presenti. Ecco cosa rappresenta la toga rossa che tutti indossano, è la vergogna per la codardia di chi oppone un vile silenzio alla roboante tracotanza di questi nemici della costituzione. "Roma di travertino, vestita di cartone, saluta l'imbianchino, futuro suo padrone". Trilussa si sbagliò, sbagliano anche coloro che non riescono nemmeno a mantenere le braccia conserte. Per ora!