lunedì 13 aprile 2009

“Libertà vo cercando, ch'è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta” (Dante Alighieri)

Alcune considerazioni o, se preferite, un vademecum per imparare a leggere. Eh sì, abbiate pazienza, ma occorre darsi delle regole: almeno una base di convenzioni elementari per poter comunicare. Succede, infatti, che i più (amici e non già i distanti o quelli che si ritengono nemici) mi abbiano invitato quasi troneggiando a prendere atto che Santoro ad Annozero ha finalmente mostrato il suo vero volto in maniera incontrovertibile; la sua trasmissione sul terremoto d'Abruzzo è (in questi casi il beneficio del dubbio va a farsi benedire) la prova, il processo e la condanna definitiva di un “cattivo giornalista” che al pari dei “cattivi magistrati” di 16 mesi fa (Luigi de Magistris e Clementina Forleo) non merita altro che l'oblio, senza nemmeno appello. Come al solito, alla richiesta di sapere nel dettaglio il perché di un tale giudizio, gli interlocutori del momento non hanno saputo far altro che rimandare ad altri interventi. Loro non sapevano bene quali fossero state le frasi o le opinioni censurabili emerse nel programma Annozero, eccezion fatta per alcune generiche “contestazioni”, tanto generiche da non essere nemmeno riferibili in termini precisi. Viceversa, il giudizio fortemente negativo era praticamente quello espresso (e condiviso “a pelle”) da alcuni pregevoli articolisti dei quotidiani più o meno importanti a livello nazionale. E veniamo alla prima regola della comunicazione: “verificare i fatti”. Ho rivisto pazientemente la trasmissione “incriminata”, avendola già vista in diretta senza notare tutto questo po' po' di “sciacalleria”. Per la verità ero rimasto negativamente impressionato solo dalle vignette di Vauro che, tranne l'ultima, mi sembravano veramente di dubbio gusto. Anche dalla nuova “visione” non scaturivano elementi degni di quel livore giacobino indirizzato da destra e manca al Dr. Santoro. Allora ho analizzato gli “interventi contro”, non pochi fra dichiarazioni, articoli, osservazioni e battutacce, in cui vengono riversati sul conduttore ed il suo staff ogni sorta di appellativi e richieste di punizione che vanno dalla esclusione perpetua dal circo mediatico sino all'impiccagione con scempio del cadavere. Ebbene, provate a fare questo esercizio, nessuno cita una frase, un racconto, un atto compiuto durante la famigerata “puntata”, che sia uno, di cui chiamare a rispondere il buon Michele. Ed ecco la seconda regola della corretta comunicazione: “citare con chiarezza i fatti, gli atti, i documenti che sono alla base delle considerazioni, degli interventi e, perché no, delle critiche”. Diversamente di cosa si discute? Cosa si comunica? Non solo. Come possono fare Santoro & C. a difendersi, se non gli viene formulata un'accusa precisa? È la tecnica tipica del Termidoro, quando i rivoluzionari francesi (forse c'è una qualche affinità col dantesco contrappasso in quello che accade a Michele Santoro) sovvertirono i principi fondamentali del diritto per cui vigeva la presunzione di colpevolezza ed era cura degli accusati dimostrare la propria innocenza. Proprio quello che ha cercato di fare Marco Travaglio (www.beppegrillo.it//2009/04/gli_sciacalli_d/index.html?s=n2009-04-13) con quali risultati? Per quanti avranno la pazienza di leggere l'accorta e puntuale difesa, vi saranno illuminanti scoperte. Una fra tutte, quella che la Prefettura de L'Aquila è stata evacuata dopo la forte scossa delle 23.30 nel massimo riserbo, mentre la popolazione veniva lasciata a dormire e morire nella successiva scossa (fatale per L'Aquila e dintorni) delle 3 e 30, solo quattro ore dopo. Chi chiede giustizia viene bollato come giustizialista, chi segnala gravi responsabilità viene etichettato come sciacallo. Tutti gli altri, quelli che non pongono domande, quelli che non raccontano i fatti ma solo le opinioni dei potenti di turno, quelli sono i migliori. Fulgidi esempi di elette virtù, cioè servi (magari ben pagati, ma questa è un'altra storia)
Filippo de Lubac