mercoledì 29 luglio 2009

Nicola Mancino, l'attacco immeritato e la solidarietà del CSM

Il Signor Nicola Mancino, parlamentare e vice-presidente del CSM, uomo politico di lungo corso con rilevanti ruoli di responsabilità istituzionale, pietisce solidarietà a destra ed a manca e la riceve: da destra, da manca e persino dallo stesso CSM. Così può continuare a esporre l'immagine di un servo fedele dello Stato evitando di affrontare la realtà e le domande cui avrebbe il dovere (e non la facoltà) di rispondere. Per guardare sotto la faccia incartapecorita e la facciata tinteggiata a nuovo dai vari solidali (che in alcuni casi sarebbe opportuno definire sodali) è sufficiente conoscere due fatti:

1) Quando (nel 92 dopo due mesi dalla tragica morte di Giovanni Falcone) Nicola Mancino venne nominato Ministro degli Interni, ricevette la visita di Paolo Borsellino. Magistrato che aveva preso il posto di Giovanni Falcone. Borsellino da quell'incontro uscì in lacrime ma il signor Nicola Mancino non se ne ricorda. Anzi, dice di più, afferma che non conosceva Paolo Borsellino. Possiamo credere che il Ministro degli Interni italiano non conoscesse il magistrato che più di ogni altro aveva collaborato con Giovanni Falcone, che ne aveva ereditato le funzioni, che era al centro delle attenzioni di tutta l'Italia, anche della mafia? Mancino ha mentito per anni, continua a mentire e, vergognosamente, continua a godere dell'avallo di tante alte figure politiche, istituzionali e della magistratura;

2) Quando, pressato dalle contraddizioni insite nella incredibile pantomima di cui al punto che precede, il signor Nicola Mancino ha dovuto ammettere che sì, forse potrebbe anche aver incontrato Paolo Borsellino, l'ha fatto con una delle più infelici (e indicative) espressioni lessicali che si siano mai sentite: "probabilmente sarà venuto ad omaggiarmi". L'idea stessa che Paolo Borsellino, fedele servitore dello Stato e delle Istituzioni che ha pagato con una morte tragica e violenta una condotta morale e professionale integerrima, possa essere andato ad "omaggiare" il signor Mancino è fastidiosa. Ma che un simile vocabolario sia stato utilizzato dal signor Mancino è ributtante. Attribuire al magistrato più esposto d'Italia (morirà dilaniato dal tritolo pochi giorni dopo averlo "omaggiato"), anche solo in via ipotetica, l'intento di "omaggiarlo" è l'atto più arrogante e protervo che Mancino potesse commettere.

In questi giorni viene a galla quella melma di cui, per anni, abbiamo sentito il tanfo. Ci dicevano che erano congetture, frutto di fantasie perverse, complottismo. Una puzza nauseabonda che pretendevano fosse solo una sorta di autosuggestione. Ma adesso non è più così, qualcuno inizia a parlare, qualcosa di rilevante è già formalizzato negli atti giudiziari di Why Not, Poseidone, Toghe Lucane. Utveggio non è più solo un nome misterioso ed i mandanti della strage di Via D'Amelio e di Capaci non sono solo i mafiosi con la coppola e l'affiliazione rituale. La melma viene a galla e non basteranno le solidarietà, i piagnistei, le sparate d'orgoglio di facce bronzee a trattenerla dove è stata sin'ora. Intanto, ricordiamo a Mancino un impegno assunto solennemente: "se anche solo un sospetto dovesse avanzarsi sulla mia persona mi farò da parte". Quelli avanzati sono ben più che sospetti, sia leale signor Mancino, almeno una volta nella vita, sia leale con se stesso e con gli italiani. Il Signore gliene renderà merito. (di Nicola Piccenna)

Cosa pensano Athur Schopenhauer, Giorgio Hegel e qualcun altro del CSM, di Capomolla e di Toghe Lucane

Nell'opera “Il mondo come volontà e rappresentazione”, Arthur Schopenhauer (Danzica, 22.02.1788 – Francoforte sul Meno, 21.09.1860) sostiene che l'esegesi (della realtà) è frutto della “mia volontà” di rappresentazione e pertanto anche gli atti processuali (le valutazioni) devono obbedire all'intenzione del filologo (colui che interpreta). Schopenhauer, inoltre, si premura d'indicare la soluzione per evitare soggettivismi interpretativi nel momento in cui affida alla “non volontà” (noluntas) l'obbligo di “non volere” ai fini di una oggettività docimologica (valutativa). Corre l'obbligo rilevare che la scuola Eleatica (sorta nella città di Elea o Velio, oggi Paestum) di Parmenide, affermava che “l'essere è, e non può non essere”: ciò implica che l'esegesi non deve limitarsi alla superficie fenomenica della realtà ma deve cogliere la sostanza (sub-stantia), come dice Aristotele, ciò che sta sotto, la base, il fondamento. L'operazione posta in essere dal PM Vincenzo Capomolla che ha frammentato il procedimento penale “Toghe Lucane” per crearne nuove aggregazioni frutto della “sua volontà” ma avulse dalla sub-stantia dei fatti reato, elude l'indirizzo filologico, prim'ancora che quello giuridico-procedimentale, creando una frattura tra il fondamento (l'origine) e il resto della struttura (l'impianto di singoli procedimenti ri-costruiti in maniera avulsa dalle basi). Ma quella di Capomolla non è una filologia esclusiva. Da qualche anno, in diverse Procure, presso la Suprema Corte di Cassazione e persino in seno al CSM l'orientamento filologico predominante sembra conformarsi ad una continua separazione della parte dal tutto. Come se la valutazione del “particolare”, della particella, potesse fornire indicazioni sull'insieme. Ma appare sempre più chiaramente che è proprio l'impossibilità di ricostruire l'immagine globale a determinare l'estrema parcellizzazione operativa. Si opera, quindi, in spregio verso il concetto greco uno-molteplice, ripreso da Giorgio Hegel (1770 – 1831), il quale nelle filosofia del diritto, ben nota a coloro che hanno studiato il diritto e la giurisprudenza senza eccezione per il Dr. Vincenzo Capomolla, sostiene l'intima connessione tra materia e forma, tra l'uno ed il molteplice, pena la morte dell'essere. “Se venisse distrutto un granello di polvere, rovinerebbe l'intero universo” (Hegel). Spinoza, portoghese, ebreo di nascita, afferma nella sua grande opera l'Etica: “Ordo et connexio rerum idem est ac ordo et connexio idearum” (l'ordine e la connessione delle cose coincide (corrisponde) con l'ordine e la connessione delle idee). In pratica non è corretto connettere le idee (cioè desumere l'opportunità di archiviare Toghe Lucane) dopo aver manipolato l'ordine e la connessione degli atti giudiziari (smontati e rimontati in antitesi con la “noluntas” ma chiaramente con una “voluntas” di cui non si sa fino a che punto sia etero-proveniente). Hegel, esponente di spicco dell'idealismo logico tedesco, ha celebrato col suo pan-logismo l'apologia della filosofia nella quale s'incarna il concetto di Stato ed i magistrati devono, almeno sul piano professionale, far tesoro di quanto detto poiché è difficilmente contestabile che il diritto nasca dalla filosofia. Peccato che il Pm abbia ignorato il diritto naturale, che ha in sé il concetto di logica, così come sostiene il behaviorismo (comportamento) in riferimento alle azioni degli uomini e degli animali. L'operato di Capomolla, di Nicola Mancino e di tutto il CSM nelle note vicende “De Magistris”, “Apicella- Nuzzi-Verasani”, hanno tradito sul piano ontologico il concetto di essere, eludendo la Legge che differisce dal Diritto fondante lo Stato. (di Nico Pignatone da "Il Resto" del 29.07.2009)

martedì 28 luglio 2009

I tifosi di Vincenzo Capomolla

È come per il calcio o almeno così vorrebbero farci credere. Ciascuno è libero di scegliersi una squadra, quale che sia la divisione in cui milita, e sostenerne i destini con la propria incondizionata e fedele azione di supporto: striscioni, proclami e persino qualche insulto. Quanno ce vo', ce vo'. Fa niente che il tema sia più serio, fa niente che siano in gioco i destini del Mezzogiorno se non proprio dell'Italia. Così succede nelle cronache (che non hanno nemmeno una parola di cronaca) sull'inchiesta Toghe Lucane già tenuta da Luigi de Magistris ed oggi nelle mani di Vincenzo Capomolla. Colleghi illustri dal lunghissimo pedigree dicono la loro, fanno il tifo per Capomolla. Riportano le conclusioni cui è giunto il PM nella sua richiesta d'archiviazione come se si trattasse di una sentenza della Suprema Corte di Cassazione. Senza nulla documentare, senza fornire cioè l'indispensabile corredo d'informazioni che consentirebbe al lettore di farsi un'idea concreta dell'operato del magistrato. Facciamo un solo esempio, ma potremmo ripetere l'esercizio per ogni affermazione del Dr. Capomolla pedissequamente sposata dagli stimati colleghi. Scrivono: “Cannizzaro, ad esempio, era accusato di frequentazioni con Giuseppe Gianfredi, esponente di spicco della criminalità organizzata. Tutto finito nel nulla. Per il pm Capomolla, infatti, non può valere per tutti l’assunto generalizzato della partecipazione all’associazione per delinquere se non è dimostrato, oltre che il reato, anche il collegamento fra chi l’ha commesso”. Non scrivono che Giuseppe Gianfredi venne ucciso a colpi di lupara insieme con sua moglie in pieno giorno. Era in macchina e sui sedili posteriori erano seduti i loro due figli, di otto e dieci anni. Le indagini sull'omicidio vennero condotte dal PM antimafia Felicia Genovese e solo dopo diversi giorni, su testimonianza di un impaurito poliziotto, si venne a sapere che Michele Cannizzaro (marito della D.ssa Felicia Genovese) era stato a casa di Gianfredi la sera prima dell'omicidio. Quando un dichiarante disse che il rapporto fra Cannizzaro e Gianfedi era profondo e datato, Cannizzaro e sua moglie lo querelarono. Ma il dichiarante aveva indicato un cospicuo giro di denaro, aveva indicato le banche coinvolte e le date delle transazioni. Tutto verificato, le cifre corrispondevano ed anche i periodi. L'omicidio Gianfredi è rimasto senza colpevoli. Ai sospetti componenti del “gruppo di fuoco” non vennero nemmeno fatti gli esami di rito, se non dopo molto tempo quando erano privi di significato ed utilità. E, a proposito di collegamenti, nemmeno citano i giornalisti, che i carabinieri di un paesino della Calabria relazionarono formalmente di un incontro fra Michele Cannizzaro ed una teoria di mafiosi pluripregiudicati delle “famiglie” più in vista della 'ndrangheta calabrese. Allora, signore e signori, giudicate pure l'operato del Dr. Capomolla, ne avete qualche elemento in più. Ma, prim'ancora, valutate bene con quale fine certa stampa propone ipotesi fantasiose spacciandole per acclarate verità. (Filippo de Lubac)

domenica 26 luglio 2009

L'impianto di “Toghe Lucane” appare quanto mai solido; nonostante Capomolla

Magistrati smemorati e contraddizioni documentali di cui il Dr. Vincenzo Capomolla si disinteressa. Fosse stato per lui, nemmeno per Hermann Wilhelm Göring (trascritto anche Goering) vi sarebbero stati elementi idonei a sostenerne l'accusa nel processo di Norimberga. Ma Capomolla non era ancora nato, il processo si tenne e Göring venne condannato a morte (si suicidò in carcere con una fiala di cianuro). Il paragone non appaia forzato. Sul piano giuridico, l'operazione posta in essere dal Dr. Vincenzo Capomolla è aberrante. Altrettanto grave che nessuno prenda provvedimenti in materia

Al termine delle indagini preliminari, la procedura vuole che il Pubblico Ministero si pronunci chiedendo l'archiviazione oppure il rinvio a giudizio per gli indagati. È persino inutile spiegare la ratio di una simile incombenza procedurale. Di solito la richiesta d'archiviazione viene motivata con argomentazioni che spiegano l'insussistenza del reato oppure con l'impossibilità di sostenere l'accusa in giudizio: quella che, più comprensibilmente, possiamo sintetizzare con “insufficienza di prove”. Quest'ultimo è il caso della maggior parte delle archiviazioni chieste dal PM Vincenzo Capomolla nel procedimento penale cosiddetto “Toghe Lucane”. Per giungere alla “impossibilità di sostenere l'accusa in giudizio”, il PM si è premurato di disaggregare e riaggregare i procedimenti penali, badando bene di perdere qualcosa per strada. Ma, oltre a questa che gli anglofoni definirebbero una “best practice”, il magistrato ha anche acquisito gli interrogatori degli indagati. Bisogna usare il termine “acquisito” perché, leggendoli, si ha l'impressione che gli interrogati facciano tutto da sé, domanda, risposte, commenti e persino ironia. L'avv. Emilio Nicola Buccico arriva ad irridere lo stesso PM Capomolla quando gli dichiara papale papale:
“I magistrati, tutti – non lo so se lei sia una eccezione – fanno esposti. È una cosa da malati mentali”.
Se non lo sa Buccico, figurarsi se lo sappiamo noi. Certo è che raramente è dato assistere ad un interrogatorio in cui il magistrato consente all'indagato simili affermazioni denigranti l'intera magistratura senza nemmeno accennare ad un ammonimento. Piuttosto, a beneficio dei neofiti dei procedimenti giudiziari e di quanti i preoccupano che Toghe Lucane finirà in una bolla di sapone, dagli atti depostati dal PM Luigi de Magistris (nonostante Capomolla) emergono migliaia di pagine di evidenze documentali e di testimonianze autorevoli che sarà impossibile convincere il Gip della mancanza degli elementi per sostenere l'accusa in giudizio. Gli stessi indagati, che hanno riempito centinaia di pagine di dichiarazioni e migliaia di pagine di documenti allegati per discolparsi da quanto era emerso durante le indagini preliminari, confermano l'esistenza di una mole di indizi, prove e documenti tali per cu l'unico organismo deputato alla valutazione di siffatto impianto procedurale è proprio il Tribunale. Stupisce che magistrati esperti (indagati per gavissimi reati in Toghe Lucane) abbiano fornito per sé stessi una difesa “nel merito”; aspetto tipico del giudizio davanti al Tribunale piuttosto che della valutazione del Giudice per le Indagini Preliminari. Come è possibile che la testimonianza del Dr. Colella, magistrato che ha denunciato le pressioni ed i tentativi di condizionarlo da parte del Proc. Capo Dr. Giuseppe Chieco, non sia sufficiente a sostenere l'accusa in giudizio contro lo stesso Chieco? Come è possibile che Capomolla ritenga di chiedere il rinvio a giudizio per Vincenzo e Marco Vitale con il sindaco di Policoro, Nicolino Lopatriello, per gli abusi ed i reati relativi alla realizzazione della città lagunare “Marinagri”, e mandare in archivio la pratica per Giuseppe Chieco e Paola Morelli che quello stesso procedimento avevano archiviato ignorando le informative della Polizia Giudiziaria e dei Periti d'Ufficio? Innumerevoli le contraddizioni (anche documentali) nelle dichiarazioni rese dagli indagati al Dr. Vincenzo Capomolla che non rileva nemmeno le evidenti contraddizioni che emergono nell'ambito del singolo interrogatorio. Fra tutte, solo per dare un esempio facilmente comprensibile, l'autorizzazione concessa dal Dr. Giuseppe Chieco il 30 gennaio 2007 all'accesso e copia di un documento “riservato” richiesto da Vincenzo Vitale. Il 27 gennaio di quello stesso anno (solo tre giorni prima) Giuseppe Chieco aveva saputo di essere coindagato col signor Vincenzo Vitale di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari. Nella richiesta, peraltro riguardante un documento redatto dai Carabinieri di Policoro e strettamente inerente il procedimento penale che li vedeva (Chieco e Vitale) “associati per delinquere con la finalità della corruzione in atti giudiziari”, Vitale scrive di essere già stato autorizzato all'accesso nel marzo del 2006: Chieco autorizza. Ma, un rapido controllo ed ecco emergere un documento proprio del marzo 2006 in cui si nega, per motivi di riservatezza, la conoscenza e l'accesso a quegli atti. Inutile dire che il diniego era a firma del Dr. Giuseppe Chieco.

Quei magistrati di Catanzaro che, come Arlecchino, servono due (o più) padroni

Se n'è parlato confusamente nei primi giorni di luglio, alcuni “dandy” nostrani avevano pontificato della fine di “Toghe Lucane” e dei conflitti d'interesse di coloro che, parti offese, non avrebbero avuto diritto a parlarne. Una sorta di garantismo all'ennesima potenza e ad orecchie ed occhi chiusi. Di Toghe Lucane avrebbero diritto a parlarne tutti tranne coloro che, essendo parti offese, hanno più ragioni degli altri a chiedere giustizia. Singolare! Finalmente, comunque, dopo specifiche richieste e i tempi della burocrazia giudiziaria, sono noti i documenti dei procedimenti per cui il PM Vincenzo Capomolla ha chiesto l'archiviazione e confermano in toto le prime evidenze già espresse “a caldo”. Lo spezzettamento del procedimento originariamente gestito dal PM Luigi de Magistris, noto come Toghe Lucane, è suscettibile di critiche talmente severe da meritare attenzioni giudiziarie che vanno ben al di là di quelle, che pur vi saranno, in sede catanzarese. Il fatto non attiene alla confusa storia dei “cretini” di cui riferiva mister Dandy, ma ad una ben più grave vicenda che vede fortemente compromessa la credibilità stessa dell'istituzione giudiziaria. Non siamo di fronte alle libere e personali argomentazioni del magistrato che valuta in scienza e coscienza un procedimento giudiziario a lui affidato, pertanto può decidere di chiederne l'archiviazione piuttosto che il rinvio a giudizio. É, diversamente, il caso del Dr. Vincenzo Capomolla che, smontando il procedimento principale in altri “minori” e rimontando i “minori” in aggregati intermedi, ha perso per strada gli indizi o le prove dei reati contestati. Succede così che le intercettazioni telefoniche in cui Emilio Nicola Buccico promette a Iside Granese il proprio interessamento per garantirle la “copertura” presso il CSM e gli organismi superiori non facciano più parte del procedimento penale creato a bella posta dal PM. Succede che gli atti ed i documenti acquisiti nella perquisizione effettuata a carico di Attilio Caruso non si trovino più nel fascicolo in cui si contestano i reati (ipotizzati) per lo stesso Caruso. E, da Caruso Attilio, avevano trovato le prove che durante la gara per le licenze per la telefonia UMTS, egli trattava la cessione del Consorzio Anthill alla Telecom Italia, pratica vietata integrante il reato di turbativa d'asta. Capita che la registrazione ambientale in cui Emilio Nicola Buccico racconta a Giuseppe Galante di essere a conoscenza dell'esistenza del procedimento a suo carico e di averne parlato con il Dr. Salvatore Murone (magistrato di Catanzaro), sia scomparsa dal fascicolo in cui “resta” indagato Buccico. Addirittura, dei fascicoli originari catalogati, numerati ed indicizzati da De Magistris non sono rimaste nemmeno le copertine, tanto radicale è stata la rivisitazione effettuata da Vincenzo Capomolla. Era possibile una simile operazione? Poteva il magistrato eliminare di fatto gli atti redatti da Luigi de Magistris? Non è certo questa la sede deputata a simili rovelli. Fortunatamente, l'accesso agli atti per cui rinunciammo alle ferie nell'agosto scorso, ci consente di documentare il grave handicap (giudiziario) che Capomolla ha introdotto in “Toghe Lucane” e nei suoi succedanei. A beneficio dei lettori, del Gip, e della Procura competente. Perché sia chiaro a Dandy, a Capomolla ed a tutti gli indagati, che sottrarre le prove (ipotetiche) da un procedimento giudiziario è un reato gravissimo che fra i magistrati di Catanzaro risulta aggravato dalla recidiva. Non dimentichiamo che al Dr. Enzo Jannelli (Procuratore Generale), a Salvatore Curcio (S. Proc.), a Salvatore Murone (Proc. Aggiunto) ed altri (non pochi) loro colleghi, è stato consentito impunemente di contro-sequestrare documenti e prove (ipotetiche) a loro carico oggetto del legittimo sequestro operato da magistrati di Salerno. Il fatto che il CSM, la Procura presso la Suprema Corte di Cassazione e lo stesso Presidente della Repubblica abbiano glissato la vicenda non cambia la rilevanza penale della vicenda anche se, forse, conferma nel convincimento dell'impunità alcuni servitori dello Stato che, come Arlecchino, servono contemporaneamente due (se non più) padroni. (di Nicola Piccenna)

martedì 21 luglio 2009

Mancino e l’omicidio Borsellino

Salvatore Borsellino, fratello del magistrato assassinato 17 anni fa, commentando acune notizie sulla nuova inchiesta che ha riaperto le indagini sulla strage di via D’Amelio e nella quale potrebbero essere coinvolti rappresetanti delle istituzioni, aveva detto: “Mio fratello sapeva della trattativa tra la mafia e lo Stato. Era stato informato. E per questo è stato ucciso. La strage di via D’Amelio è una strage di Stato. Pezzi delle istituzioni hanno lavorato per prepararla ed eseguirla. Adesso che la verità sulla strage si avvicina, spero solo che non siano gli storici a doverla scrivere. Bensì i giornalisti. Io tra non molti anni raggiungerò mio fratello Paolo e non so se riuscirò a leggerla sui giornali”. Poi aveva attacca direttamente l’onorevole Nicola Mancino, oggi al Csm: “Mancino dice addirittura che non conosceva mio fratello. Come faceva il neo ministro dell’interno a non conoscere il giudice presente ai funerali di Falcone e che appariva in tutti i tg nazionali? La verità è che da quell’incontro mio fratello uscì sconvolto come testimonia il pentito Gaspare Mutolo”. Massimo Ciancimino, figlio di Vito ex sindaco di Palermo e colluso con la mafia, ha consegnato agli inquirenti alcuni importanti documenti dai quali emergerebbe l’avvio di una trattativa tra Stato e mafia.
Luigi de Magistris, parlamentare europero ed anche lui imbattutosi, quando era magistrato, con l’area grigia che lega affaristi e poltica ha insistito sul tema: “In particolare - ha affermanto - mi chiedo come sia possibile che Nicola Mancino appare lucido quando presiede la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, che ha scritto alcune tra le pagine più buie della storia del Csm, e che ha fermato me ed i magistrati della Procura di Salerno che stavano ricostruendo la nuova P2, in cui comparivano nomi e contesti emersi anche nelle inchieste sulle stragi, mentre perde la memoria quando deve riferire sul contenuto di un incontro così importante avvenuto poco dopo la strage di Capaci e poche ore prima di quella di via D’Amelio”.
Mancino, secondo Borsellino e De Magistris, “ha il dovere morale e giuridico, in virtù delle cariche ricoperte, di rispondere a questa domanda che gli viene rivolta da migliaia di italiani che pretendono verità e giustizia sulle stragi”.
Vorrà a questo punto l’ex ministro rompere la tradizione del silenzio, ormai abituale in Italia, e fornire spiegazioni convincenti?

NOTE A MARGINE DI DUE STRAGI

L'esplosivo impiegato nella strage di Capaci nel 1992 era contenuto da un tubo di drenaggio posto sotto la strada; il diametro di tali tubi generalmente non è superiore a 20-30 cm; data la potenza dell'esplosione - valutabile dai dati allora diffusi - il volume necessario di polvere da mina sarebbe stato tale da rendere insufficiente la capienza del tubo (massa della carica/peso specifico dell'esplosivo); come si potevano inserire e collegare dentro un simile condotto tante e tali cariche (per un volume di centinaia di litri)? Il volume dell'esplosivo doveva essere molto inferiore ed avere una potenza molto superiore. Solo esplosivi prodotti da officine militari o militarizzate – come l'Hexogen (ciclonite, RDX, peso specifico circa 1,8 kg/dm3) – arrivano a tali potenze. Potrebbe essere stata usata una miscela di TNT con polvere di alluminio (o magnesio). Anche questi esplosivi sono prodotti per scopi militari. Questo tipo di esplosivo produce però una intensa nuvola bianca e comunque la velocità di espansione iniziale dei gas tale che nel caso in questione avrebbe frantumato le auto blindate di Falcone e della scorta. Invece l'auto di Falcone è stata sollevata, proiettata, danneggiata ma è rimasta integra, il che porta ad escludere una forte carica di tritolo e induce a ipotizzare quali mezzi usati l’Hexogen e simili.
Sulla esplosione alla stazione di Bologna nel 1980 ancora oggi nella sala d'attesa di II Classe è visibile un piccolo buchetto che sarebbe il "cratere" lasciato da una bomba di circa 100 kg di tetranitroeritrite. La prima riflessione è che 100 kg di tetranitroeritrite (che, ad occhio, equivalgono ad una bomba aerea da 500 libbre), posti al suolo non lasciano un piccolo buco del diametro di 20-30 cm. Come è possibile trasportare dentro un valigia 100 kg di esplosivo più l'innesco? Com'è manovrabile un oggetto simile? Se si caricano in una valigia 4 sacchi di cemento non si riesce poi a trasportarla! L'esplosione è stata enorme e compatibile con una equipollente carica. Pertanto non poteva essere sufficiente solo una carica come quella che ha lasciato il segno sul pavimento. Vi doveva essere una seconda carica, esplosa nello stesso istante, ma posta in un luogo dove non ha lasciato crateri, ad esempio posizionata nei locali del piano superiore (avrebbe sfondato il solaio ma non lasciato "crateri"). Ma chi l'avrebbe potuta mettere? Non certo un terrorista "di passaggio". Tutto troppo strano per cui varrebbe la pena di verificare tutta la documentazione se ancora disponibile e fare calcoli molto più precisi.
Cordialmente
Prof. Cosimo Loré

lunedì 20 luglio 2009

Ich bin ein Berliner. Ovvero, Io sono un Italiano

Ich bin ein Berliner. Ovvero, Io sono un Italiano (licenza poetico-morale). Per la verità, la frase corretta dovrebbe essere “Io sono Italiano”. Ma ci saremmo giocati l'effetto citazione. Io sono Italiano, mai come oggi occorre rinnovare l'orgoglio di questa appartenenza che, di contro, si oppone al preteso orgoglio d'italianità della classe dirigente politica, burocratica, borghese (illuminati e non) ed istituzionale. Quando emergono aspetti non proprio edificanti nel comportamento pubblico e privato dell'homo publicus di turno, ci si affretta a riaffermare l'onore leso degli italiani. Il Presidente Napolitano si affanna a chiedere il silenzio stampa e i maggiorenti ne condividono pensieri e finalità, seguiti dalla Rai che censura le notizie. Ebbene, chiariamolo subito, l'onore degli Italiani non è lì. Non risiede in siffatti figuri che pretendono d'essere l'incarnazione dell'onor di Patria in virtù del consenso elettorale. L'onore degli italiani non si rappresenta per elezione ma per meriti, per evidenza, per legittima dimostrazione di fulgide ed elette virtù. I giudici Falcone e Borsellino erano mai stati eletti in una competizione politica? Mai, eppure nessuno dubita che abbiano tenuto alto l'onore, la credibilità e la dignità dell'istituzione giudiziaria e dell'Italia tutta. In opposto, le avventure sessuali del premier che ricorre al meretricio mostrando problemi di personalità non certo adeguati all'alto incarico ricoperto, non offendono l'Italia, meno ancora gli italiani. Offende e disturba essere associati ad arte a siffatti personaggi. Perché dovrebbe ritenersi offeso un elettore che scopre l'eletto non idoneo a svolgere l'incarico che pur egli ha contribuito ad eleggerlo? Oggi, apprendiamo con sgomento quello che già sapevamo. Oggi ce lo comunicano con i crismi dell'ufficialità, lo dice proprio uno dei protagonisti. Quel Nicola Mancino che aveva sempre sostenuto l'inesistenza della trattativa Stato Italiano versus Mafia. Mancino ha dichiarato che le richieste di Cosa Nostra non sono state accolte anzi, meglio, sono state rimandate al mittente con un secco: “non si tratta”. Allora significa che una trattativa c'è stata, che il “papello” è arrivato. Significa anche che se ne conosce il mittente, altrimenti a chi avrebbero comunicato il “niet”? Ecco che ora è ancora più difficile credere al Mancino che non ricorda di aver incontrato Paolo Borsellino; il giudice di punta della lotta a Cosa Nostra che aveva appena sostituito Giovanni Falcone saltato in aria a Capaci. Il Mancino che dichiara che (al più) Borsellino potrebbe essere andato ad “omaggiarlo” per la nomina a Ministro degli Interni, ma l'episodio gli sfugge “perché non conosceva Borsellino”. Il Mancino che si era detto pronto a lasciare se anche solo un'ombra avesse offuscato la sua onorabilità. Ovviamente non ha lasciato, nemmeno quando in aereo si disse contrariato perché “non riuscite a far fuori De Magistris”. Chiaramente non si riferiva ai metodi di Capaci e Via D'Amelio, quel genere di trattative avevano deciso di rifiutarlo. Meglio usare metodi democratici, non cruenti, senza spargimento di sangue innocente. Uno Stato che tratta con la Mafia, uomini che credono di rappresentare lo Stato Italiano, che dicono di rappresentare lo Stato Italiano, che si ostinano a rappresentare lo Stato Italiano ma che nulla hanno a che vedere con l'Italia e meno ancora con gli Italiani. Ecco, di fronte a tanto scempio, occorre che tutti gli uomini di buona volontà si proclamino, con orgoglio, Italiani. Io sono un Italiano!

Toghe Lucane: Capomolla (PM) mischia le carte

Buccico, durante l'interrogatorio, rivolgendosi al PM Vincenzo Capomolla: “I magistrati, tutti – non lo so se lei sia una eccezione – fanno esposti. È una cosa da malati mentali”.
Un lavoro immane, improbo. Quello che s'inizia ad intravedere dell'opera di Vincenzo Capomolla, magistrato e Pubblico Ministero, affidatario del procedimento penale più conosciuto della Procura della Repubblica di Catanzaro: “Toghe Lucane”. Qualche settimana fa, suscitò un certo scalpore la notizia che per la quasi totalità degli indagati, il PM avesse chiesto l'archiviazione. Oggi si comincia ad intravedere con chiarezza come il PM ha operato. Per prima cosa ha mischiato le carte. Il Dr. De Magistris aveva redatto l'atto di chiusura delle indagini che accompagnava duecentomila pagine e alcune centinaia di CD. Vincenzo Capomolla ha smontato tutto, persino le cartelline dei fascicoli, e poi ha rimontato a suo piacimento. Risultato? Il primo è che, chi aveva studiato i fascicoli e gli atti di Toghe Lucane (avendone titolo, s'intende), fatica a ritrovare atti, indizi e prove. Un secondo è che, almeno al primo approccio, le frasi generiche e apodittiche con cui Capomolla sostiene le proprie tesi archiviatorie, risultano difficili da confutare con elementi certi e concreti. Ma è solo questione di tempo, cercando nel mare magnum di documenti, tutto rispunta come per incanto. Mentre, quello che ad oggi risulta mancante, prima o poi rispunterà in qualche faldone creato dal “metodo Capomolla”. Fortunatamente, alcuni avevano già provveduto ad “estrarre” gli atti e le evidenze probatorie fondamentali che, di conseguenza, non potranno risultare introvabili. Poi vi sono atti che sembrano incongruenti. De Magistris scriveva in data 1.8.2008 che avrebbe disposto lo stralcio delle posizioni di tre indagati per chiederne l'archiviazione. Capomolla aggiunge: “nonchè a carico di Granese Iside, Buccico Emilio Nicola, Caruso Attilio, Tufano Vincenzo e Chieco Giuseppe”. Ma del suo personalissimo “nonché”, lascia la paternità a De Magistris. Perché? Dopo aver mischiato il mazzo, Capomolla distribuisce le carte e inizia la partita per la maxi-archiviazione. Nuova partita e nuovo cartaro. Gli interrogatori degli indagati, che durante la gestione De Magistris venivano effettuati in presenza di componenti della Polizia Giudiziaria che avevano condotto le indagini, Capomolla li tiene facendosi assistere dal suo cancelliere-segretario. Degnissima persona che non ha mai condotto un'indagine in vita sua. Il risultato è un monologo in cui l'indagato contesta le accuse raccontando “la sua verità”. Non una sola contestazione, non una sola contraddizione che venga rilevata, nemmeno mai una richiesta di chiarimento. Parlano da Capomolla: Buccico, Chieco, Tufano, Genovese. Mai, dico mai, che venga loro contestata solo una delle decine di contraddizioni in cui incappano. Ma v'è ben di più. Capomolla non mostra nemmeno un sussulto di dignità quando Buccico afferma: “I magistrati, tutti – non lo so se lei sia una eccezione – fanno esposti. È una cosa da malati mentali”. Ora, è pur vero che benevolmente al Dr. Capomolla che era presente alla verbalizzazione, Buccico lascia il beneficio del dubbio, ma è altrettanto evidente che il giudizio dell'imputato sull'intera magistratura è gravissimo: sono tutti malati mentali. Il Dr. Capomolla nulla dice e precisa né per confermare di essere, eventualmente, una eccezione né per difendere il prestigio ed il decoro dei suoi colleghi “malati mentali” (tutti!). Poteva Capomolla disporre liberamente dei faldoni lasciati in “eredità” dal Dr. Luigi de Magistris? Certamente poteva stabilire per quali reati chiedere l'archiviazione e per quali altri no. Ma questo suo operato andrà sottoposto al Gip, sperando che sia anch'esso un'eccezione rispetto a tutti gli altri “malati mentali” di cui si duole Emilio Nicola Buccico.

martedì 7 luglio 2009

L'invito di Napolitano a nascondere i fatti (che definisce polemiche)

Che si lasci ad un piccolo giornale di provincia l'onere di commentare i grandi eventi che attraversano l'Italia d'oggi è davvero incredibile. Pensatori di illustre scuola e politici sopraffini, autorità istituzionali e vertici dello Stato, sociologi da salotto (anche televisivo) e giornalisti premiati da titoli e cassetta, persino uomini umili e intrinsecamente sani nonché virtuosi sino all'eroismo, tutti ritengono inopportuno intervenire con parole chiare e nette sulle note (comunque note) vicende che hanno sopraffatto Silvio Berlusconi e con lui (prima e dopo, dentro ed oltre) tutto un sistema di potere, di potenti, di uomini persi dietro l'illusione del mondo. Quando il dia-ballo, colui che è menzogna e divisione, mostrò a Gesù tutti i regni del mondo e tutto il potere della terra e tutte le ricchezze e tutte le bellezze offrendogliele ad una sola condizione, che lo adorasse, la risposta fu semplice e immediata. Non ci furono calcoli di real-politik. Cosa ci può essere mai da calcolare quando in ballo c'è una scelta così netta. E la real-politik non avrebbe forse consigliato a migliaia (milioni?) di cristiani di abiurare piuttosto che finire in pasto ai leoni? Poi, nel segreto di qualche catacomba, avrebbero magari continuato i culti cristiani, avrebbero spezzato il pane e pronunciato formule e tutto sarebbe risultato meno duro. Quale ragione politica potrà mai giustificare l'abiura della verità, quale ragione politica potrà mai giustificare il silenzio del giudizio. Forse quella che avrebbe salvato la vita a Thomas Moore (7 febbraio 1478 - 6 luglio 1535) evitando lo scisma degli Anglicani? Non sono ragionamenti riservati ai cristiani, anche se non si può prescindere dal cristianesimo per capire interamente l'uomo ed i suoi desideri più profondi. Certo è difficile parlare di cristianesimo, l'unica religione che ha come presupposto costitutivo la presenza fisica di Cristo nel corpo mistico della Chiesa; che altro non è se non i corpi fisici dei suoi fedeli. È difficile parlare di quello che si può solo incontrare e sperimentare, ammesso che la lampada non venga messa sotto il moggio. Al relativismo etico, ampiamente diffuso fra i cristiani “adulti” alla “Prodi”, adesso si affianca il relativismo politico. Sembra che la permanenza dell'attuale capo del governo sia un fattore determinante della storia al punto da includerla nei famosi valori “non negoziabili”. Berlusconi per debolezze umane, di cui certamente non ha l'esclusiva né il monopolio, ha messo a repentaglio la sicurezza dello Stato. Le accompagnatrici con cui si trastullava, a parte i compensi percepiti e versati da tizio o caio, avrebbero ben potuto essere agenti di servizi segreti di altri paesi; altrimenti dette spie. Sembra possibile che il capo del Governo Italiano porti nel suo letto persone di cui nemmeno conosce le credenziali? Non è questione di privacy è questione di Stato. Berlusconi non è in grado di garantire la padronanza dei propri gesti, atti e comportamenti con la dovuta cautela propria della figura istituzionale che rappresenta. Ora il Presidente Napolitano avrà un bel dire a chiedere che “non vi siano polemiche durante la settimana del G8”, raccomandazione che tutti non possono che condividere. Ma qui non si tratta di polemiche, si tratta di sicurezza dello Stato. Quante escort sono in grado di ricattare Berlusconi, quante sono diventate parlamentari per meriti di letto, quante fotografie ritraggono Silvio in atteggiamenti che denotano aspetti caratteriali bizzarri. Di tutto questo e molto altro non possiamo tacere perché non si tratta di opinioni, divergenze di veduta, strategie o ideologie contrapposte. E se anche tacessero gli italiani (è tutto da dimostrare che un popolo di santi poeti e navigatori stimi ancora Berlusconi che non è nemmeno capace di trovarsi un'amante ma ricorre al meretricio) perché mai dovrebbero farlo gli stranieri? Si pensi, per fare un esempio, agli statunitensi. Hanno messo in croce il loro stesso Presdente Bill Clinton per molto, molto meno. Perché dovrebbero risparmiare il Cavaliere? Solo, eventualmente, per un calcolo politico. Ritorna il solito ragionamento: Berlusconi è ricattabile! (Filippo de Lubac da "Il Resto" del 2.7.2009)

sabato 4 luglio 2009

Vincenzo Capomolla: Magistrato

Perché Capomolla ha fatto l'opposto di quanto scriveva la Guardia di Finanza? Perchè ne aveva facoltà!
Inizia da oggi la pubblicazione delle risultanze dell'indagine che la Procura di Catanzaro (sost. Proc. Luigi de Magistris) e la Guardia di Finanza di Catanzaro, polizia giudiziaria delegata dal PM, hanno condotto nell'ambito dell'inchiesta denominata “Toghe Lucane”. È importante che i cittadini della Repubblica Italiana abbiano modo di leggere quali erano le evidenze, i fatti e gli indizi che facevano ritenere plausibile l'ipotesi di una complessa ed articolata associazione per delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari ed alla truffa aggravata ai danni dello Stato Italiano e della Unione Europea. Da qualche giorno, notizie di stampa non smentite dalla Procura di Catanzaro, sostengono che il Dr. Vincenzo Capomolla, attuale responsabile del procedimento penale 3750/03 – Toghe Lucane, avrebbe chiesto l'archiviazione per la quasi totalità degli indagati. Ovviamente, se lo ha fatto ne aveva facoltà e le eventuali ipotesi avverse avranno spazio di essere espresse e vagliate dal Giudice per le Indagini Preliminari in sede di opposizione che le parti offese potranno formulare. Per la rilevanza del caso e per l'interesse certamente non trascurabile di un'opinione pubblica che ha seguito attentamente questa vicenda giudiziaria che, per dimensioni ed estensione è certamente la maggiore di tutta la storia repubblicana, riteniamo dover favorire la massima conoscenza dei fatti e degli atti affinché si realizzi il controllo sull'amministrazione della giustizia proprio in quei passaggi in cui più delicato è il ruolo dei magistrati: quando si trovano a giudicare altri magistrati. Certamente stupisce il contrasto fra quanto dichiaravano i componenti del nucleo investigativo nella premessa di questa “informativa finale” e l'orientamento opposto che ha seguito il Dr. Capomolla nel parcellizzare e frammentare il procedimento in tanti piccoli rivoli giudiziari. Dicevano gli inquirenti: “Le risultanze relative alle investigazioni condotte nell'ambito delle vicende sopra indicate,verranno di seguito riportate, suddivise così come sopra indicato, solo per facilità espositiva, essendo le stesse, per la maggior parte, interconnesse tanto che la loro lettura va ricondotta in un quadro d'insieme”. Esattamente l'opposto di quanto ha fatto Vincenzo Capomolla. Buona lettura! (Filippo de Lubac)
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Proc. Pen. n.3750/03 R.G.n.r., mod.21 cd Toghe Lucane - Informativa di polizia giudiziaria relativa all'esito conclusivo delle indagini.
La presente informativa riepiloga il percorso investigativo seguito in relazione alla ricostruzione delle vicende oggetto di indagine nell'ambito dell'inchiesta denominata “Toghe Lucane” di cui al procedimento penale in oggetto indicato, che risulta essere l'unione di distinti procedimenti penali successivamente riuniti con provvedimento della S.V. ed in particolare i PP.PP. 1800/03, mod.44, 444/05, mod.21, 445/05 e 949/06, mod.21 (già 1812/05, mod.44). Le investigazioni in parola hanno riguardato più vicende rivenienti dallo sviluppo investigativo delle dichiarazioni fornite alla S.V. ed a questa polizia giudiziaria da numerose persone informate sui fatti, nonché dall'esame della copiosissima documentazione acquisita e sequestrata nel corso delle indagini e delle perquisizioni disposte dalla S.V. a carico di diversi soggetti nelle date del 27.02.2007, 07.06.2007 e 17.04.2008.
L'indagine, in particolare, ha trattato le vicende, suddivise per capitoli, come di seguito elencate:
CAPITOLO I: Indagini relative a condotte di magistrati in servizio c/o la Procura della Repubblica ed il Tribunale di Matera.
1.1 – 1.5 Vicenda che - ha visto coinvolta la d.ssa GRANESE Iside, Presidente pro tempore del Tribunale di Matera, il dott. CARUSO Attilio, l'avv. BUCCICO Emilio Nicola e la Banca Popolare del Materano; (dalla pagina 4 alla pagina 110)
1.6 Vicenda Mutina S.r.I.; (dalla pagina 110 alla pagina 111)
1.7 Vicenda GENERAL CAR ZITO nella quale risultano coinvolti il Procuratore della Repubblica di Matera, dott. Giuseppe CHIECO ed il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Potenza, dott. Vincenzo TUFANO; (dalla pagina 111 alla pagina 169)
1.8 Vicenda riguardante il dott. Carlo GAUDIANO e la banca delle cellule staminali, nonché l'avv. Beatrice GENCHI; (dalla pagina 170 alla pagina 198)
CAPITOLO II: lndagini di polizia giudiziaria relative a condotte poste in essere da magistrati in servizio presso la Procura della Repubblica di Potenza e Procura Generale presso la Corte di Appello di Potenza.
2.1. Vicende relative a condotte poste in essere dalla d.ssa GENOVESE Felicia, Procuratore Vicario pro tempore presso la Procura della Repubblica di Potenza, il marito della stessa, dott. CANNIZZARO Michele, l'avv. LABRIOLA Giuseppe e l'avv. BUCCICO Emilio Nicola; (dalla pagina 199 alla pagina 431);
2.2. Vicende- che hanno visto coinvolti il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Potenza, dott. Vincenzo TUFANO, il Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Potenza, dott. Gaetano BONOMI e la dirigente della Squadra Mobile pro tempore presso la Questura di Potenza, d.ssa Luisa FASANO; (dalla pagina 432 alla pagina 549)
2.3. Attività d'indagine relativa alla riconducibilità del Centro Genovese Camillo alla famiglia GENOVESE - CANNIZZARO e rapporti del dott. CANNIZZARO Michele con il mondo politico. (dalla pagina 549 alla pagina 576)
2.4. Vicenda relativa a condotte poste in essere dal Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Potenza, dott. Gaetano Bonomi;
2.4.1. vicenda relativa allo scontro tra la Procura della Repubblica di Potenza e l'Arma del Carabinieri di Potenza; (dalla pagina 577 alla pagina 692)
2.4.2. rapporti tra il Sostituto Procuratore Generale di Potenza, dott Gaetano BONOMI e Dirigenti del Ministero della Giustizia, (dalla pagina 692 alla pagina 709)
2.4.3. vicenda relativa alla partecipazione del Sostituto Procuratore Generale di Potenza, dott. BONOMI Gaetano, al congresso dei Democratici di Sinistra svoltosi a Potenza il 10.06.2006; (dalla pagina 709 alla pagina 712)
2.4.4. rapporti tra il Sostituto Procuratore Generale di Potenza BONOMI e la d.ssa Luisa FASANO, Dirigente pro-tempore della Squadra Mobile presso la Questura di Potenza. (dalla pagina 712 alla pagina 754)
2.5 Esame della documentazione sequestrata al Procuratore Generale di Potenza, dott. Vincenzo TUFANO ed al Sottosegretario di Stato pro tempore, Arch. Filippo BUBBICO a seguito delle perquisizioni eseguite il 07.06.2007; (dalla pagina 754 alla pagina 769)
2.6 Vicenda relativa all'utilizzo improprio dell'utenza di servizio da parte della d.ssa Claudia DE LUCA, PM presso la Procura della Repubblica di Potenza; (dalla pagina 769 alla pagina 783)
2.7 Vicende che hanno visto coinvolto il Procuratore della Repubblica di Potenza, pro tempore, dott. Giuseppe GALANTE. (dalla pagina 784 alla pagina 827)
CAPITOLO III: indagini riguardanti il "Centro Ecologico Turistico integrato Marinagi" e condotte poste in essere da magistrati in servizio presso la Corte di Appello di Potenza
Par. 1 - 6. vicenda denominata "Marinagri" relativa alla realizzazione, anche con ingenti finanziamenti pubblici ammessi ed erogati dal C.I.P.E , del "Centro Turistico Ecologico Integrato Marinagri", attualmente sottoposto o sequestro preventivo a seguito del provvedimento di sequestro preventivo d'urgenza emesso dalla S.V. in data 10.04.2008, eseguito da questa polizia giudiziaria in data 17.04.2008 e convalidato dal G.I.P., dott. Antonio RIZZUTI con provvedimento n.101/08 R.M.R. in data 29.04.2008. In tale vicenda risultano coinvolti VITALE Vincenzo, presidente della Marinagri S.p.a. e delle sue controllate, VITALE Marco progettista e direttore dei lavori per la Marinagri nonché figlio di Vitale Vincenzo e socio della Marinagri, il dott. CHIECO Giuseppe, Procuratore della Repubblica di Matera, la d.ssa MORELLI Paola, Sostituto Procuratore della Repubblica, la d.ssa GENOVESE Felicia, Procuratore Vicario pro tempore presso la Procura della Repubblica di Potenza, il Sen. BUBBICO Filippo, la d.ssa SPITZ Elisabetta, Direttore Generale dell'Agenzia del Demanio di Roma, l'ex Colonnello) dei Carabinieri GENTILI Pietro, il dott. LOPATRIELLO Nicolino, Sindaco di Policoro, Felice VICECONTE, l'Ing. Giuseppe PEPE, il sig. Nicola MONTESANO, l'ing Massimo GOTI e diversi altri funzionari e dirigenti pubblici. (da pag.828 a pag.1179)
Par. 7. Ulteriori attività d'indagine esame della documentazione sequestrata in data 17.04 2008 (dalla pagina 1180 alla pagina 1243)
Le risultanze relative alle investigazioni condotte nell'ambito delle vicende sopra indicate,verranno di seguito riportate, suddivise così come sopra indicato, solo per facilità espositiva, essendo le stesse, per la maggior parte, interconnesse tanto che la loro lettura va ricondotta in un quadro d'insieme
CAPITOLO I: ...(il seguito alla prossima puntata)

venerdì 3 luglio 2009

Spezzatino giudiziario di Vincenzo Capomolla

Quelle toghe di Matera, ma anche Potenza, ma anche Catanzaro, ma anche Salerno...
Comincia con una querela al PM, l'opposizione alle archiviazioni di “Toghe Lucane”
Toghe Lucane, ma anche Calabresi, ma anche Salernitane, ma anche... Insomma toghe italiane. Qualcuno si meraviglia che il dr. Vincenzo Capomolla, sostituto procuratore a Crotone applicato a Catanzaro per prendersi cura del procedimento penale “Toghe Lucane” abbia chiesto l'archiviazione per la maggior parte degli indagati. Oggi, non quando fu chiamato ad assumere l'incarico, possiamo finalmente dirlo: sapevamo che sarebbe finita così; e non ci voleva la scienza infusa per arrivarci. Dopo che un paio di ministri (della cosiddetta Giustizia), un paio di Procuratori Generali presso la Suprema Corte di Cassazione, il Presidente della Repubblica, il vice-Presidente del CSM, ed una pletora di magistrati, avvocati, parlamentari, indagati, associati per delinquere ed anche per altro avevano fatto carte false per trasferire Luigi de Magistris ad altra sede proprio quando stava per definire i rinvii a giudizio di “Toghe Lucane”, beh, era così difficile immaginare che il suo sostituto sarebbe stato scelto con cura affinché risolvesse il problema? A dirlo un anno fa ci avrebbero subissato di querele, oggi è un'evidente ovvietà. Ieri un cittadino si è recato di buonora dal Dr. Capomolla. Da Matera a Catanzaro (300Km) ci vogliono oltre quattr'ore, superando i limiti di velocità ogni volta che la strada lo permette. Il cancelliere preposto agli atti ha subito messo le mani avanti: “il fascicolo non è ancora pronto. Torni appena dopo il ricevimento dell'avviso”. Ma un avviso, con tanto di ampi stralci virgolettati era su tanti giornali. E così insistendo e sollecitando il Procuratore Capo (Dr. Lombardo) in qualche modo l'atto di archiviazione salta fuori. Ecco svelato l'arcano. Capomolla ha spezzettato l'inchiesta in tanti piccoli e piccolissimi stralci, ciascuno con un pezzo delle 200 mila pagine originarie e delle decine di capi d'imputazione. Ed il pezzo che possiamo guardare, piccolo piccolo, è sufficiente per capire tutto il resto anche senza vederlo. Mancano le prove certe del reato, dice Capomolla, si chiede l'archiviazione. Per forza, signor PM, le prove che nel caso specifico sono le conversazioni fra Emilio Nicola Buccico (indagato per associazione per delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari) e Iside Granese (sospettata di far parte della medesima associazione di Buccico) si trovano (forse) in qualche altro pezzettino o stralcio che dir si voglia. Ammesso che, in cotanto spezzatino, non siano andate “smarrite”. Forse sarà sfortunato Capomolla oppure è semplicemente disattento. Dovrebbe aver letto, fra gli atti recenti, che alcune delle parti offese avevano potuto accedere a tutto il fascicolo (quando era ancora un blocco granitico) e quindi saranno in grado di produrre le “prove” mancanti in sede di opposizione alla richiesta archiviazione. Certo è che una associazione per delinquere, quale era quella fra magistrati, politici ed imprenditori ipotizzata in “Toghe Lucane”, può continuare tranquillamente a delinquere proprio perché tanti magistrati di Matera, Potenza, Catanzaro e, perché no, Salerno, continuano ad ignorare persino le denunce formalmente presentate e documentate. Ma anche... (di Filippo de Lubac)

Perché Napolitano chiama “polemiche” il racconto dei fatti?

Che si lasci ad un piccolo giornale di provincia come “Il Resto” l'onere di commentare i grandi eventi che attraversano l'Italia d'oggi è davvero incredibile. Pensatori di illustre scuola e politici sopraffini, autorità istituzionali e vertici dello Stato, sociologi da salotto (anche televisivo) e giornalisti premiati da titoli e cassetta, persino uomini umili e intrinsecamente sani nonché virtuosi sino all'eroismo, tutti ritengono inopportuno intervenire con parole chiare e nette sulle note (comunque note) vicende che hanno sopraffatto Silvio Berlusconi e con lui (prima e dopo, dentro ed oltre) tutto un sistema di potere, di potenti, di uomini persi dietro l'illusione del mondo. Quando il dia-ballo, colui che è menzogna e divisione, mostrò a Gesù tutti i regni del mondo e tutto il potere della terra e tutte le ricchezze e tutte le bellezze offrendogliele ad una sola condizione, che lo adorasse, la risposta fu semplice e immediata. Non ci furono calcoli di real-politik. Cosa ci può essere mai da calcolare quando in ballo c'è una scelta così netta. E la real-politik non avrebbe forse consigliato a migliaia (milioni?) di cristiani di abiurare piuttosto che finire in pasto ai leoni? Poi, nel segreto di qualche catacomba, avrebbero magari continuato i culti cristiani, avrebbero spezzato il pane e pronunciato formule e tutto sarebbe risultato meno duro. Quale ragione politica potrà mai giustificare l'abiura della verità, quale ragione politica potrà mai giustificare il silenzio del giudizio. Forse quella che avrebbe salvato la vita a Thomas Moore (7 febbraio 1478 - 6 luglio 1535) evitando lo scisma degli Anglicani? Non sono ragionamenti riservati ai cristiani, anche se non si può prescindere dal cristianesimo per capire interamente l'uomo ed i suoi desideri più profondi. Certo è difficile parlare di cristianesimo, l'unica religione che ha come presupposto costitutivo la presenza fisica di Cristo nel corpo mistico della Chiesa; che altro non è se non i corpi fisici dei suoi fedeli. È difficile parlare di quello che si può solo incontrare e sperimentare, ammesso che la lampada non venga messa sotto il moggio. Al relativismo etico, ampiamente diffuso fra i cristiani “adulti” alla “Prodi”, adesso si affianca il relativismo politico. Sembra che la permanenza dell'attuale capo del governo sia un fattore determinante della storia al punto da includerla nei famosi valori “non negoziabili”. Berlusconi per debolezze umane, di cui certamente non ha l'esclusiva né il monopolio, ha messo a repentaglio la sicurezza dello Stato. Le accompagnatrici con cui si trastullava, a parte i compensi percepiti e versati da tizio o caio, avrebbero ben potuto essere agenti di servizi segreti di altri paesi; altrimenti dette spie. Sembra possibile che il capo del Governo Italiano porti nel suo letto persone di cui nemmeno conosce le credenziali? Non è questione di privacy è questione di Stato. Berlusconi non è in grado di garantire la padronanza dei propri gesti, atti e comportamenti con la dovuta cautela propria della figura istituzionale che rappresenta. Ora il Presidente Napolitano avrà un bel dire a chiedere che “non vi siano polemiche durante la settimana del G8”, raccomandazione che tutti non possono che condividere. Ma qui non si tratta di polemiche, si tratta di sicurezza dello Stato. Quante escort sono in grado di ricattare Berlusconi, quante sono diventate parlamentari per meriti di letto, quante fotografie ritraggono Silvio in atteggiamenti che denotano aspetti caratteriali bizzarri. Di tutto questo e molto altro non possiamo tacere perché non si tratta di opinioni, divergenze di veduta, strategie o ideologie contrapposte. E se anche tacessero gli italiani (è tutto da dimostrare che un popolo di santi poeti e navigatori stimi ancora Berlusconi che non è nemmeno capace di trovarsi un'amante ma ricorre al meretricio) perché mai dovrebbero farlo gli stranieri? Si pensi, per fare un esempio, agli statunitensi. Hanno messo in croce il loro stesso Presdente Bill Clinton per molto, molto meno. Perché dovrebbero risparmiare il Cavaliere? Solo, eventualmente, per un calcolo politico. Ritorna il solito ragionamento: Berlusconi è ricattabile! (di Filippo de Lubac)