lunedì 30 novembre 2009

COSA (CHI) TUTELA S. E. IL PRESIDENTE NAPOLITANO?

Scendono in campo proprio tutti. S.E. il Presidente Napolitano, come in altre occasioni relativamente recenti, scende in campo. Non lo fa per difendere la Costituzione, ma per conservare uno "status quo" ormai indifendibile. Quando firmò il "lodo Alfano", promulgò una Legge incostituzionale e non per un sottile cavillo valutabile solo da finissime menti avvezze alla giurisprudenza costituzionale. Per un concetto così fondante e basilare che ignorarlo significa chiudere gli occhi, tapparsi la bocca e, a nostro avviso, turarsi persino il naso. I cittadini sono uguali (per ora) davanti alla Legge ed allora è lapalissiano che quando una Legge stabilisce per 4 italiani un percorso giudiziario diverso, questa norma viola l'assunto costituzionale di cui innanzi. Lo capiscono anche i bambini ma S.E. Napolitano no, lui tenta addirittura di giustificare la boutade (così merita di essere definita) che recava il nome del Ministro Angelino Alfano (anche il Ministro in materia di Costituzione non sembra molto ferrato). Tramontata una Legge ecco tutti al lavoro per trovare altre vie "impunitatis". Arriva (sempre dal Signor Ministro Alfano) la proposta del "Processo Breve", clamoroso falso lessicale per ingannare il popolo della televisione, della pubblicità e delle lotterie televisive e dei "gratta e vinci". Per nascondere la verità di un provvedimento che prevede un'altra aberrazione costituzionale: la negazione del processo. Invece della persecuzione dei reati (obbligatorietà dell'azione penale, così leggiamo nella Costituzione Italiana) si propone la cancellazione dei processi: una Legge ordinaria cancellerebbe una disposizione della Costituzione (altro nobile parto della mente eccelsa del Ministro della Giustizia). Talmente evidente che neanche un Presidente poco attento potrà promulgare un siffatto provvedimento che già si corre in soccorso del Cavaliere. Lo fanno con accezioni diverse ma col medesimo "risultato" perseguito Bersani (Pd) e Casini (UdC) quando premettono che il ritiro della proposta sul "processo breve" spalancherà le porte della modifica della Costituzione per mettere Berlusconi al di sopra della Legge. Propongono un baratto fra una Legge che non potrebbe mai essere promulgata con la modifica della Costituzione che non dovrebbe mai essere accettata: non si modifica la Costituzione per evitare il giusto processo ad un solo cittadino! Dice Angelino Alfano che la Legge “ammazza processi”, cancellerebbe solo l'1% delle cause in corso. Ma allora a cosa serve fare una Legge se il 99% dei processi è già “breve”? Parole in libertà, è evidente che le contraddizioni si intrecciano ad ogni tentativo (maldestro) di raggiro della pubblica opinione. S.E. Napolitano, torna in soccorso, e invita tutti a moderare i toni, ad essere collaborativi. Si stanno stravolgendo i principi costituzionali, maggioranza e opposizioni (tranne qualche mosca bianca) inciuciano per difendere una casta delegittimata dai fatti e invisa al popolo, e S.E. il Presidente invita a parlare a toni bassi, magari a non parlare affatto. Assurdo! Vige un principio enunciato dalla Suprema Corte di Cassazione secondo cui più è alto e delicato l'incarico ricoperto da un rappresentante e/o da un funzionario dello Stato, più forti e decisi devono essere i toni della legittima critica (anche questa tutelata dalla Costituzione). Anche qui S.E. Napolitano dimostra scarsa attenzione o troppa attenzione (per altri versi). Le ultime dichiarazioni del cosiddetto Premier e del suo codazzo di parlamentari, avvocati-parlamentari, giornalisti-avvocati e nominati vari, sulle accuse di partecipazione esterna ad associazioni mafiose segnalano l'ultima e, forse, definitiva frontiera della battaglia politico-giudiziaria in atto. Se Berlusconi fosse indagato per reati di mafia, e non lo si può sapere perché le norme vigenti vietano di comunicare queste tipologie di reato, non ci sarebbero "lodi" e "accordi" o "Leggi" percorribili per evitargli di rispondere davanti ai giudici come qualsiasi altro cittadino italiano. Resterebbe solo la "possibilità" di una svolta autoritaria, un ulteriore abbassamento del livello di democrazia. Questa è la cifra esatta delle questioni in ballo. Davvero S.E. Napolitano pensa che si possano affrontare a bassa voce e con spirito collaborativo? Esattamente quanto sostenne ai tempi della Primavera di Praga, quando la palese negazione dei diritti civili fu giudicata una questione "interna" di un Paese straniero. Proprio come oggi la democrazia in Italia viene ritenuta una questione "interna" alla casta dei politici. MA, CARO ED ECCELLENTISSIMO NAPOLITANO, LA TUA GENERAZIONE HA FATTO IL SUO TEMPO (ED I SUOI DANNI).

domenica 22 novembre 2009

L'impunità eterna per Silvio Berlusconi e l'archiviazione immediata per Romano Prodi

Archiviata la posizione di Romano Prodi nell'inchiesta "Why Not". Nonostante lo sforzo di importanti testate giornalistiche nazionali, la cosa continua a suscitare dubbi o, quantomeno, risolini ironici che non cesseranno mai. Purtroppo. Eppure Romano Prodi aveva il diritto di uscirne senza alcuno strascico se, come dice il GIP di Catanzaro, era estraneo ai reati a suo carico che Luigi de Magistris (all'epoca PM) aveva iscritto nel Registro delle Notizie di Reato tenuto presso la Procura di Catanzaro. C'è il Diritto al "giusto processo" e c'è il diritto alla "definitiva assoluzione". Ma c'è anche il diritto al proscioglimento senza ombre e sospetti, senza quei risolini ironici con cui molti commentano la notizia dell'archiviazione. Una smorfia che pesa più di una condanna, perché è inappellabile. Come ci si può difendere da una risata che sconfina in un ammiccamento? Come se una donna portasse in tribunale qualcuno dicendosi oltraggiata per un occhiolino malizioso: ne risulterebbe un oltraggio ben maggiore, unito agli sberleffi di chiunque fosse lì presente. Il fatto è che quel procedimento penale, venne sottratto al giudice naturale (PM De Magistris) commettendo un abuso. Fatto accertato dai magistrati di Salerno. Poi venne assegnato ad un pool di magistrati (di Catanzaro) che commisero tutta una serie di abusi, sempre rilevati dai PM salernitani, culminando con abusi talmente gravi da essere sanzionati dal pur compiacente Consiglio Superiore della Magistratura con il trasferimento. Decisione confermata persino dalla Suprema Corte di Cassazione che, in quanto a compiacenze verso certe nefandezze giudiziarie, può scrivere trattati enciclopedici. Come se non bastasse, uno dei PM delegati alle indagini su Why Not (appena sottratte con un abuso a de Magistris) chiese ed ottenne di esserne esentato. Scrisse che gli veniva impedito di svolgere le indagini. E venne accontentato. Con queste premesse, poteva l'archiviazione apparire come una decisione presa da un giudice terzo sulla base degli indispensabili elementi probatori pro o contro che fossero? Ma non è solo Romano Prodi a pagare lo scotto di tante leggerezze. Pensate alla legge ponte per garantire l'impunità a Berlusconi nell'attesa che una modifica alla Costituzione Italiana lo immunizzi per l'eternità (giudiziaria, per l'altra non ci sono maggioranze che tengano!). Chi toglierà dalla mente degli italiani che la tiepidezza del PD, con quel popò di giuristi che si ritrova, non sia la controprestazione per il favore fatto a Prodi e (soprattutto) ad eventuali altri personaggi illustri implicati nelle faccende appena indagate da Luigi de Magistris? Basta leggere quanto risulta dagli accertamenti contabili sui movimenti finanziari indagati dal Consulente Tecnico della Procura di Catanzaro. Quel Dr. Sagona che non ha potuto consegnare le risultanze delle sue consulenze semplicemente perché non glielo hanno mai consentito. Fantastico!

martedì 17 novembre 2009

Pierferdy Casini, l'avv. Ghedini e il “Grande Bluff”

Si sta perdendo tempo, come spesso accade in politica, su una questione che non ha motivo di porsi: il cosiddetto “processo breve”. La proposta di Legge su cui il Presidente del Consiglio avrebbe chiesto di sottoscrivere una sorta di delega in bianco, è un grande bluff. Pierferdinando Casini ci è cascato in pieno o “bluffa” anche lui e rischia di indurre molti parlamentari a lasciare il piatto senza “andare a vedere” un punto che non esiste. Riepiloghiamo i fatti: 1) il Presidente del Consiglio teme di essere condannato nel processo Mills e quindi fra i parlamentari nominati include il suo avvocato personale, Niccolò Ghedini e fra i primi atti del Governo vara il “Lodo Alfano”. Una Legge ordinaria che sospende i processi alle 4 più alte cariche dello Stato; 2) L'avv. Mills viene condannato per corruzione, a corromperlo Silvio Berlusconi per il quale, essendo ricompreso fra le 4 cariche di cui innanzi, il processo viene sospeso; 3) la Consulta Costituzionale annulla il “lodo Alfano”. Berlusconi fa scintille, fulmini e saette, minaccia tutto e tutti; 4) l'On. Avv. Ghedini presenta una proposta di Legge che prescrive i processi: se dal rinvio a giudizio passano due anni senza arrivare ad una condanna, il processo cessa d'esistere e l'indagato la fa franca; 5) Pierferdy Casini propone un patto scellerato: “ridiamo l'impunità al Cavaliere attraverso un Lodo Alfano approvato quale Legge Costituzionale” ed avremo in cambio il ritiro della Legge sul Processo Breve. Sin qui la ricostruzione degli ultimi mesi di acerrime polemiche. In realtà, qualsiasi uomo capace d'intendere e di volere (quindi anche tutti i parlamentari), sa che la proposta Ghedini sul “Processo Breve” è improponibile. Non si riuscirebbe a processare più nessuno e si determinerebbe un nuovo principio che sovverte il fondamento dell'ordinamento giudiziario: "l'incertezza del diritto"; per non dire la certezza del "non Diritto". Questo lo sanno bene Ghedini ed il Ministro Angelino Alfano, lo sanno tutti i magistrati d'Italia, lo sanno tutti gli avvocati italiani. Qualsiasi cittadino, dotato di un briciolo di materia grigia, lo comprende senza difficoltà. Ed è qui la genialità di Berlusconi che prende all'amo la (probabile) buona fede dell'On. Casini. Minacciare una “strage di processi” per far apparire il “Lodo Alfano” (novellato in Legge Costituzionale) come il male minore da contrapporre al “Processo Breve” che di processi segnerebbe la fine improvvisa. Appare chiaro, quindi, che si tratta solo di un bluff, un grande bluff. Nessun giurista, ma anche nessun deputato e nessun senatore voterebbero una Legge che azzera la Giustizia Penale Italiana, che impone la negazione del Diritto e l'affermazione della resa al sopruso ed alla illegalità. Sì, qualche fedelissimo di Berlusconi lo trovi sempre. Qualcuno che non sa fare la "O" nemmeno col bicchiere e che i ventimila euro al mese non li farebbe nemmeno sotto la minaccia delle armi. Ma è proprio sicuro, è certissimo, che una siffatta Legge non avrebbe mai la maggioranza necessaria per essere approvata. E, qualora passasse, troverebbe sempre l'ostacolo Napolitano, che almeno in questo caso dovrebbe essere insormontabile. Ed ecco la genialata, il grande bluff. Presentano in parlamento una Legge impossibile e, facendo leva sui sentimenti più nobili del buon Casini e di quanti sono adusi a decidere senza riflettere, conducono le pecorelle a votare la legge Costituzionale relativa al Lodo Alfano. Perfetto? Quasi. Se Pierferdy otterrà la presidenza della Campania oppure del Lazio alle prossime regionali, vorrà dire che il patto è sottoscritto. Poi basterà sventolare ipotesi di elezioni anticipate per serrare le fila di quei parlamentari che se non fossero "confermati" dal Cavaliere (ma anche da Bersani, da Casini, da Di Pietro e dal ristrettissimo giro dei padroni del parlamento) non avrebbero di che campare, ed il gioco è fatto. O meglio i giocatori sono serviti. Ma, come tutti i bluff, sino all'ultimo resta l'incertezza. Qualcuno potrebbe chiedere di "vedere il punto" e allora per il Cavaliere si farebbe davvero difficile, in quest'anno horribilis che lo ha visto distruggere quanto di buono aveva costruito.

giovedì 12 novembre 2009

Dove era arrivato Luigi de Magistris nell'agosto 2008, dove è arrivata la Procura di Catanzaro a novembre 2009

Il primo personaggio ad invocare provvedimenti disciplinari a carico di Luigi de Magistris fu l'allora Procuratore Generale presso la Suprema Corte di Cassazione, Mario Delli Priscoli. Ed ecco qualche interessante notizia, ammesso che ce ne fosse bisogno. Mario Delli Priscoli – ricostruiscono i giudici di Salerno sulla base delle dichiarazioni rese da De Magistris - è padre di Francesco Delli Priscoli, professore universitario già consulente del Consiglio dei Ministri (governo D’Alema); già interessato alle licenze Umts – il sistema che unisce telefonini a servizi internet – per le quali si era scatenata una vera e propria “guerra di lobby” oggetto di investigazione dell’inchiesta Why Not e in parte anche di Toghe Lucane; già professore di informatica, settore sempre al centro del procedimento Why Not e, secondo quanto riportato su internet, presente all’interno di stage insieme alla suddetta CM sistemi, riconducibile alla Bruno Bossio e Antonino Saladino. Tutti e tre, Adamo compreso, indagati da De Magistris. Interrogato dai giudici di Salerno è lo stesso De Magistris a ricordare di aver letto, sempre navigando su internet, “di accertamenti che furono fatti, con riguardo all’omicidio di Simonetta Cesaroni in Roma alla via Poma, anche nei riguardi di Francesco Delli Priscoli. Ho potuto leggere – spiega – che uno dei magistrati che si occupò della vicenda pare (non so quanto letto corrisponda al vero) sia stato il dott. Settembrino Nebbioso (attuale capo di Gabinetto del ministro della Giustizia Alfano e in rapporti stretti con Saladino), che ha poi ricoperto per tanti anni un ruolo apicale all’interno del Ministero della Giustizia e che risulta avere contatti d’interesse con magistrati con riferimento all’inchiesta Toghe Lucane e che se non vado errato, risulta anche tra i nominativi delle persone rinvenute nelle perquisizioni all’indagato Antonio Saladino”. Da accertamenti risulterebbe ancora che l’Università La Sapienza di Roma, presso la quale il prof. Delli Priscoli insegna, ha ottenuto “grazie al suo contributo”, “ingenti finanziamenti pubblici, anche da parte dell’Unione Europea per oltre 8 miliardi di lire”. “Taluni di tali progetti – spiegava ancora De Magistris – mi consta siano stati svolti anche in collaborazione con la società Alenia del gruppo Finmeccanica (nel cui Consiglio di Amministrazione vi era anche Franco Bonferroni, indagato per gravi reati nelle inchieste Poseidone e Why Not)”. Ancora, Delli Priscoli avrebbe insegnato nell’ambito di corsi organizzati dallo stato maggiore della difesa in convenzione con il Cnr (istituto nel quale era impiegato il fratello di Romano Prodi, già indagato in Why Not) e lavorato su progetti in collaborazione con la Deutsche Telecom, società per la quale presta servizio Maurizio Poerio, anche lui personaggio di primo piano nelle inchieste Poseidone e Why Not. Non solo. Il Delli Priscoli avrebbe anche lavorato “presso la società Telespazio, del gruppo Finmeccanica (“una delle principali fonti di finanziamento della società Global Media, il polmone finanziario (anche di illecita natura) dell’Udc”, che partecipa “al progetto Galileo al quale era interessato anche Maurizio Poerio”. Tornando alla telefonia, Francesco Delli Priscoli, era fra i consulenti del Governo (Primo Ministro Giuliano Amato) per la valutazione dei partecipanti alla gara per l'assegnazione delle licenze UMTS. Gara da cui venne “prematuramente” escluso il Consorzio Anthill e che vide l'altrettanto inopportuna ritirata della BLU s.p.a. in cui un ruolo di spicco (all'epoca) era rivestito da Giancarlo Elia Valori. Il ritiro della BLU comportò l'immediata fine dell'asta al rialzo ed un conseguente “mancato introito” per lo Stato Italiano stimato fra i 15 ed i 20 mila miliardi di lire. Proprio dalla dichiarazione di fallimento del Consorzio Anthill per un “imprecisato residuo debito” (così recita la sentenza del Tribunale di Matera – Presidente del Collegio la D.ssa Iside Granese) nasce la denuncia/querela da cui scaturirà l'inchiesta “Toghe Lucane”. Si scoprirà che la D.ssa Granese non poteva “occuparsi” del Consorzio Anthill, la D.ssa Rosa Bia (relatrice) era stata “messa in mora” dal CSM e non poteva occuparsi di Cause Civili a Matera, il Dr. Attilio Caruso (Presidente del Consorzio Anthill e Presidente della Banca Popolare del Materano) aveva avviato trattative per vendere il Consorzio Anthill alla Telecom Italia mentre era in corso la Gara Umts (operazione illegittima ed illecita costituente turbativa d'asta). Risulta sempre più evidente che su “Toghe Lucane” si gioca la partita più importante della storia repubblicana. I diciannove procedimenti penali a carico di alcuni magistrati materani, incardinati presso la Procura di Catanzaro chiariranno molti interrogativi e, forse, qualche antico delitto.

giovedì 5 novembre 2009

Magistrati giacobini: a Matera è iniziato il Termidoro

Cari lettori del blog,
credo sia giunto il momento di affrontare la battaglia finale: quella da cui uno dei contendenti non tornerà più. Domani (6 nov '09) devo comparire davanti al Giudice dell'Udienza Preliminare di Matera che deciderà se rinviarmi a giudizio per diffamazione. La richiesta in tal senso l'ha formulata il Pubblico Ministero in seguito ad una denuncia querela presentata dal senatore Filippo Bubbico. Non entro nel merito, cosa che farò appena il magistrato assumerà una qualsivoglia decisione, perché l'aspetto veramente urgente da affrontare è altro: lo stravolgimento di uno dei cardini del Diritto, la presunzione d'innocenza o, come si dovrebbe dire più correttamente, la presunzione di non colpevolezza. Proprio come accadeva durante il Termidoro (leggi "rivoluzione francese"). Alcuni Pubblici Ministeri della Procura di Matera, dopo aver introdotto nel codice penale nuove fattispecie di reato, hanno deciso di adottare il principio della "presunzione di colpevolezza". Domani, come è già accaduto altre volte, sono chiamato a dimostrare la mia innocenza e/o l'estraneità ai reati e/o l'inesistenza dei fatti reato senza che siano state svolte le indagini. Il fascicolo processuale è desolatamente vuoto, ospita solo la querela del denunciante da cui il PM ha tratto la richiesta di rinvio a giudizio. Se l'accusa sia fondata, se esistano elementi per sostenerla in giudizio, quali siano le contestazioni da cui devo difendermi, sono tutte cose che il PM ritiene accessorie e facoltative. Sono chiamato a dimostrare la mia innocenza senza che vi siano evidenze, testimonianze, documenti che la mettano in dubbio. Senza uno straccio d'indagine. Non è la prima volta che questo accade e, secondo quella che appare come una scelta ordinamentale o "giureconsultuale", non sarà l'ultima. Ma questa volta i signori magistrati si sbagliano. Mi vergogno di essere chiamato in giudizio da siffatti magistrati giacobini e mi vergogno che non si vergognino della loro la pretesa di giudicarmi. E mi vergogno che il Consiglio Superiore della Magistratura ed il Presidente della Repubblica, che ben conoscono le numerose nefandezze giudiziarie commesse da alcuni magistrati della Procura e del Tribunale di Matera, indegni d'indossare ma anche di guardare da debita distanza la "toga", non abbiano mosso un dito. E non già a tutela di Nicola Piccenna, che sa ben tutelarsi da sé e che si avvale di signori avvocati; prima signori e poi avvocati, ma a tutela della credibilità della Giustizia Italiana che in questi casi, come in un tragicomico epilogo, tocca il fondo. Proprio questa vergogna sarà all'origine della resa finale. Neanche il più servo dei componenti il CSM, neanche il meno libero dei politici, nemmeno il meno coraggioso dei Presidenti della Repubblica, possono consentire che lo Stato di Diritto venga umiliato sino a questo punto da alcuni magistrati ormai obnubilati nelle facoltà più indispensabili: l'equilibrio e la terzietà.
Nicola Piccenna
392.4549696

lunedì 2 novembre 2009

L'indipendenza del magistrato


Soggetti solo alla Legge, così la Costituzione della Repubblica Italiana definisce l'organigramma funzionale dei magistrati. Questa semplice ma efficace statuizione è stata declinata secondo due direttrici fondamentali: indipendenza esterna (quella rispetto agli altri poteri, enti e articolazioni amministrative dello Stato) e indipendenza interna (riferendosi alla gerarchia funzionale propria della magistratura stessa). L'indipendenza esterna, almeno per adesso non sembra correre seri pericoli. I tentativi di minarla e limitarla sono tuttora in atto, basti considerare le recenti dichiarazioni (minacce?) di riforma della giustizia non già per eliminarne le evidenti e anacronistiche incrostazioni limitanti ma quale clava incombente per ridurla a zerbino del potere politico. Ma tali posizioni appaiono talmente e smaccatamente incostituzionali da essere efficacemente contrastate tanto nel campo politico quanto in quello giudiziale. Molto più grave è la situazione della indipendenza interna. I recenti accadimenti e le decisioni del CSM, insieme con la preoccupante (quasi) unanimità delle componenti politico parlamentari, mostrano la subordinazione dei magistrati ad altri magistrati; al punto che l'esercizio delle funzioni giudiziarie e finanche l'obbedienza ai dettami costituzionali in materia di obbligatorietà dell'azione penale, vengono limitati (in alcuni casi del tutto impediti) usando quelle funzioni di controllo e autogoverno originariamente concepite per garantire l'esatto contrario. Il CSM e la funzione gerarchica di controllo interna alla magistratura, in poche parole, sono state concepite dall'assemblea costituente (recependo in toto la tradizione dal Diritto Romano fino a quella più “moderna”) per tutelare il cittadino e l'esercizio della Giustizia da quel magistrato che le avesse creato ostacolo, che ne avesse impedito o ritardato il cammino, che avesse posto in essere comportamenti antigiuridici se non proprio criminali. Persino l'azione incolpevole (senza reato e senza intenzione) del magistrato che avesse causato turbamento e sospetto di parzialità diviene legittimamente (opportunamente) motivo di allontanamento dalla funzione e/o dal luogo d'esercizio della funzione giudiziaria. Nei fatti, purtroppo, riscontriamo l'esatto opposto. Luigi de Magistris, Luigi Apicella, Gabriella Nuzzi, Dionigio Verasani (e tanti altri che sarebbe lungo menzionare), vengono trasferiti ad altre funzioni, altra sede e, addirittura, puniti con perdita dell'anzianità (Nuzzi e Apicella) per aver posto in essere provvedimenti e/o procedimenti giudiziari perfettamente conformi al dettato legislativo e procedurale vigente (cosa confermata in tutti i gradi di giudizio esperiti). Cosa se ne deve dedurre o, meglio, cosa si può fare in difesa di queste libertà fondamentali? L'Associazione Nazionale Magistrati ha mostrato di coltivare strabicamente gli interessi della categoria, nei casi citati ha sposato le tesi e condiviso le azioni contro i suoi stessi iscritti. Ed ecco sorgere (finalmente) una pubblica petizione in cui alcuni magistrati chiedono rispetto e ripristino dell'indipendenza “interna” violata. Sarà sufficiente? Può un cannibale essere chiamato a condannare l'antropofagia? Occorre qualcosa in più. Appare indispensabile che i magistrati si costituiscano in associazioni indipendenti e alternative all'ANM e questo non appaia come una divisione. Poiché la divisione c'è già ed è netta. Da una parte i magistrati che credono ancora nella possibilità di essere indipendenti e quelli che vi hanno rinunciato. Intanto, sarà utile ed educativo vedere quanti vorranno esporsi pubblicamente sottoscrivendo l'appello (www.firmiamo.it/appellocassazione)