lunedì 2 novembre 2009

L'indipendenza del magistrato


Soggetti solo alla Legge, così la Costituzione della Repubblica Italiana definisce l'organigramma funzionale dei magistrati. Questa semplice ma efficace statuizione è stata declinata secondo due direttrici fondamentali: indipendenza esterna (quella rispetto agli altri poteri, enti e articolazioni amministrative dello Stato) e indipendenza interna (riferendosi alla gerarchia funzionale propria della magistratura stessa). L'indipendenza esterna, almeno per adesso non sembra correre seri pericoli. I tentativi di minarla e limitarla sono tuttora in atto, basti considerare le recenti dichiarazioni (minacce?) di riforma della giustizia non già per eliminarne le evidenti e anacronistiche incrostazioni limitanti ma quale clava incombente per ridurla a zerbino del potere politico. Ma tali posizioni appaiono talmente e smaccatamente incostituzionali da essere efficacemente contrastate tanto nel campo politico quanto in quello giudiziale. Molto più grave è la situazione della indipendenza interna. I recenti accadimenti e le decisioni del CSM, insieme con la preoccupante (quasi) unanimità delle componenti politico parlamentari, mostrano la subordinazione dei magistrati ad altri magistrati; al punto che l'esercizio delle funzioni giudiziarie e finanche l'obbedienza ai dettami costituzionali in materia di obbligatorietà dell'azione penale, vengono limitati (in alcuni casi del tutto impediti) usando quelle funzioni di controllo e autogoverno originariamente concepite per garantire l'esatto contrario. Il CSM e la funzione gerarchica di controllo interna alla magistratura, in poche parole, sono state concepite dall'assemblea costituente (recependo in toto la tradizione dal Diritto Romano fino a quella più “moderna”) per tutelare il cittadino e l'esercizio della Giustizia da quel magistrato che le avesse creato ostacolo, che ne avesse impedito o ritardato il cammino, che avesse posto in essere comportamenti antigiuridici se non proprio criminali. Persino l'azione incolpevole (senza reato e senza intenzione) del magistrato che avesse causato turbamento e sospetto di parzialità diviene legittimamente (opportunamente) motivo di allontanamento dalla funzione e/o dal luogo d'esercizio della funzione giudiziaria. Nei fatti, purtroppo, riscontriamo l'esatto opposto. Luigi de Magistris, Luigi Apicella, Gabriella Nuzzi, Dionigio Verasani (e tanti altri che sarebbe lungo menzionare), vengono trasferiti ad altre funzioni, altra sede e, addirittura, puniti con perdita dell'anzianità (Nuzzi e Apicella) per aver posto in essere provvedimenti e/o procedimenti giudiziari perfettamente conformi al dettato legislativo e procedurale vigente (cosa confermata in tutti i gradi di giudizio esperiti). Cosa se ne deve dedurre o, meglio, cosa si può fare in difesa di queste libertà fondamentali? L'Associazione Nazionale Magistrati ha mostrato di coltivare strabicamente gli interessi della categoria, nei casi citati ha sposato le tesi e condiviso le azioni contro i suoi stessi iscritti. Ed ecco sorgere (finalmente) una pubblica petizione in cui alcuni magistrati chiedono rispetto e ripristino dell'indipendenza “interna” violata. Sarà sufficiente? Può un cannibale essere chiamato a condannare l'antropofagia? Occorre qualcosa in più. Appare indispensabile che i magistrati si costituiscano in associazioni indipendenti e alternative all'ANM e questo non appaia come una divisione. Poiché la divisione c'è già ed è netta. Da una parte i magistrati che credono ancora nella possibilità di essere indipendenti e quelli che vi hanno rinunciato. Intanto, sarà utile ed educativo vedere quanti vorranno esporsi pubblicamente sottoscrivendo l'appello (www.firmiamo.it/appellocassazione)

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