mercoledì 15 dicembre 2010

BUONGIORNO

Buongiorno è il giorno in cui si attende qualcosa, il giorno che ci accoglie con l'aria tersa e profumata. Buongiorno è il giorno in cui si aspetta qualcuno, quello in cui si dà inizio al viaggio. Buongiorno è il saluto che anticipa la fatica quotidiana, l'augurio per un esame da superare. Buongiorno è l'uomo di fronte al reale quando lo investe con energia positiva. Buongiorno è l'auspicio per i giovani lucani che studiano nelle università e per quelli che cercano lavoro. Buongiorno è la coscienza di quanti lavorano lontano da casa, la speranza di tanti che il lavoro lo cercano. Buongiorno è quello di una terra ricca di risorse anche se i suoi abitanti non ne ricavano alcun beneficio. Buongiorno è la nascita di un figlio, buongiorno è l'incontro con un amico. Buongiorno è una lettera dall'Argentina, i saluti dal Canada, il vaglia dalla Germania. Buongiorno è la stretta di mano di chi parte, l'abbraccio di chi torna. Buongiorno è l'inizio del lavoro quotidiano, il ripetersi di un incontro leale. Buongiorno è l'amico che non tornerà e quello con cui ricordarlo. Buongiorno è la promessa del giorno già tutta dentro l'alba appena accennata. Buongiorno sono i soliti volti, sempre gli stessi e sempre diversi che scandiscono la nostra vita. Buongiorno è il figlio al primo giorno di scuola, buongiorno è il figlio all'esame di laurea. Buongiorno è la vita dignitosa dei nostri nonni, la laboriosità dei nostri padri. Buongiorno è la pazienza della nostre madri, la saggezza delle nostre nonne. Buongiorno è la tenacia dei nostri imprenditori, il coraggio dei nostri figli. Buongiorno è il giuramento di Ippocrate, l'amore al lavoro dei nostri artigiani. Buongiorno e l'inizio di questo giornale. Cari amici e cari avversari, incontri occasionali e vecchie amicizie, buongiorno a tutti. (www.buongiornoitalia.info

sabato 23 ottobre 2010

Libertà di stampa: 15 uomini sulla cassa del morto


Al momento (ore 20:10 del 22/10/2010) sono diciannove i commenti al pensiero di Carlo Vulpio (http://www.carlovulpio.it/) sulla vicenda che vede coinvolto Giacomo Amadori (giornalista di Panorama) e Fabio Diani (appuntato della GdF in servizio a Pavia). Una vicenda emblematica di un'Italia che, quanto a democrazia, ha toccato un livello così infimo da dubitare che si possa mai risalire. Un giornalista pubblica notizie vere, di pubblico interesse, con un linguaggio consono e per questo viene indagato. Gli organi di stampa e televisione, l'ordine dei giornalisti, le penne illustri ed soloni di ogni occasione tacciono o, al limite, biascicano qualcosa. Poi ci sono i faziosi di ogni colore che, quando si accorgono di appartenere allo schieramento avverso (oggi a Panorama, ieri a Repubblica), danno addosso al malcapitato. La libertà di stampa è sacra quando incassi due milioni di euro all'anno o cinquantamila a puntata o tremila al mese, un delitto quando ad esercitarla è un malcapitato ostile a chi ti paga, poco o tanto che sia.

Capita così che i commenti al pensiero di Carlo Vulpio, irriducibile sostenitore del “liberi tutti”, siano solo 19. Nel mondo della rete, nell'era della globalizzazione, solo in 15 (alcuni sono intervenuti più volte) hanno voluto esprimersi sul tema delicatissimo della libertà di stampa che è poi il tema della libertà tout court. 15 uomini sulla cassa del morto. Filippo de Lubac

venerdì 8 ottobre 2010

Lucianetti, Marcegaglia e le toghe... lucane e non!

A me questa perquisizione disposta dai pm napoletani Piscitelli e Woodcock a casa e negli uffici dei giornalisti Sallusti e Porro non piace per niente. Per due motivi.

Il primo.
Cosa vuol dire applicare il reato di "violenza privata in concorso" per un presunto "dossier" o "campagna di stampa" che "il Giornale" si sarebbe apprestato a pubblicare (condizionale futuro)?
Mi sembra tanto uno di quei "pre-reati" di cui si occupano gli investigatori della "pre-crimine" nel film Minority Report, con Tom Cruise. Insomma, un reato che semplicemente non esiste.
Senza considerare che, come ricorda il collega Franco Abruzzo, "la Corte di Strasburgo ha imposto l'alt alle perquisizioni nelle redazioni a tutela delle fonti dei giornalisti e i giudici hanno l'obbligo di rispettare le sentenze del Tribunale dei diritti dell'uomo".
Ma - dicono i pm e la " presunta vittima" del reato, Emma Marcegaglia, presidentessa di Confindustria -, la conversazione telefonica intercettata tra Porro e Arpisella (portavoce della Marcegaglia) dimostrerebbe l'intento di "coartare la volontà" della Marcegaglia, per indurla a più miti considerazioni sull'operato del governo guidato da Silvio, fratello di Paolo Berlusconi, editore de "il Giornale".
Anche in questo caso, può esserci d'aiuto un film. "Guardie e ladri", con Totò (il ladro) e Aldo Fabrizi (la guardia). "Vieni qui o ti sparo", dice Fabrizi a Totò. "Non puoi sparare se non per legittima difesa - replica Totò -, e poiché io non offendo..." . E Fabrizi: "Allora io sparo in aria, a scopo intimidatorio". Totò: "E bravo. Io però non mi intimido...".
Ecco, anche a voler tutto concedere, Marcegaglia poteva rispondere come Totò: "Non mi intimido", "la mia volontà non si coarta". Che poi è la predica che vien fatta tutti i giorni agli imprenditori affinché non si pieghino a pagare il pizzo, al punto da minacciare di espellere dagli organismi associativi di categoria quelli che cedono.
Marcegaglia invece era così "coartata" da far chiamare l'altro fratello di Silvio, Fedele Confalonieri, affinché intervenisse sul direttore editoriale Feltri per sistemare un po' le cose: cioè evitare la pubblicazione di articoli che per lei potessero rivelarsi scomodi (chiamateli pure dossier o come vi pare, la sostanza non cambia). Ma questo, signori miei, si chiama bavaglio alla libertà di stampa. Non ha alcuna importanza chi pubblica una certa notizia, quando la pubblica e per quale altro fine (anche biasimevole) la pubblichi. Ciò che conta è che la notizia (la cui pubblicazione rispetti le norme vigenti, ovvio) sia vera.
Di quali notizie vere potesse aver timore la Marcegaglia, per la propria immagine e per quella del suo gruppo imprenditoriale, ci fornisce un assaggio il bravo Vittorio Malagutti sul "Fatto Quotidiano", ricordando gravi storie di smaltimento di rifiuti e di condanne subìte dagli stretti congiunti della signora Emma. Ma, appunto, si tratta di un assaggio.
Un'inchiesta giornalistica (dossier?) un po' più approfondita farebbe capire meglio perché Marcegaglia e gli altri potenti, tutti i potenti, temono la libertà di stampa. Che non esiste allo stato puro e in via assoluta, intendiamoci, ma è tutt'al più una libertà relativa, e purtuttavia, anche se presente in "modiche quantità", è una libertà che spaventa.
Facciamo un esempio che è di stretta attualità, ma che un po' tutti fingono di non vedere e che potrebbe far drizzare le antenne tanto ai "segugi" de "il Giornale" quanto a quelli del FQ (e sempre che Woodcock e Piscitelli non ravvisino anche in questo mio esempio un intento di "coartare").
Marcegaglia sostiene che Nicola Vendola è tra i migliori governatori d'Italia. Domanda del bravo giornalista: perché lo dice? Risposta del bravo direttore: andiamo a vedere, sguinzagliamo un cronista sveglio in giro per la Puglia e forse ne capiremo il motivo: tra inceneritori e contratti ventennali per discariche, alcune delle quali realizzate persino su laghi di acqua potabile che alimentano l'80 per cento della rete idrica salentina (Corigliano d'Otranto) e importanti siti neolitici (Spinazzola), il gruppo Marcegaglia non può che essere riconoscente per i decenni a venire nei confronti di Vendola. Il quale infatti è diventato un "intoccabile" per la stampa e la tv, di destra e di sinistra: nessuno che gli faccia mai una domanda seria che sia una.
Non so se i "dossier" de il Giornale avrebbero riguardato (condizionale futuro) queste storie. Se non è così, peccato. Ma si fa sempre in tempo. Se non su "il Giornale", sul FQ, o su qualunque altra testata. Anche su "Chi" e "Novella 2000", perché no? Le shampiste leggono, se incrociano articoli scritti bene.

Veniamo al secondo motivo.
Questa perquisizione e questo "reato" non mi piacciono anche perché avvicina molto Woodcock e Piscitelli a Chieco e Cazzetta, il procuratore e il pm di Matera che nel 2007, assieme al gip Onorati, formularono il seguente fantasmagorico capo di imputazione: "associazione a delinquere finalizzata alla diffamazione a mezzo stampa con concorso morale esterno".
Un reato inventato, che non esiste nei codici e che infatti non è mai stato applicato nella storia d'Italia, ma che ha comportato non solo perquisizioni di casa e ufficio, sequestri di pc, cd e documenti di lavoro per nulla segreti, ma che ha consentito - grazie alla contestazione del reato associativo - di mettere sotto controllo i telefoni di quattro giornalisti (tra i quali il sottoscritto) e di un capitano dei carabinieri.
In quella circostanza furono proprio Feltri e Sallusti, che dirigevano Libero, a pubblicare a puntate le nostre intercettazioni (parlo di intercettazioni private, che dovevano essere distrutte perché non costituenti reato, né pertinenti al presunto reato). Non si scandalizzò nessuno. Né Feltri, né Sallusti, né le direzioni e i comitati di redazione del mio o di altri giornali (eppure, era la prima volta che un intero giornale veniva "ufficialmente" intercettato) e nemmeno l'Ordine dei giornalisti e la Federazione della stampa che oggi accennano a una timida reazione. A me, non è restato altro da fare che agire in giudizio contro Libero. Ma proprio per questo oggi difendo Feltri e Sallusti e penso che i pm napoletani sbaglino.
Quale vicenda meglio di questa può dimostrare la necessità che un un principio, se lo si ritiene sacro - e la libertà di stampa lo è -, va difeso sempre? Anche e soprattutto quando riguarda chi ti ha "maltrattato" calpestando ieri i princìpi che invoca per sé oggi?
Dirò di più. Così magari qualcuno può cogliere l'occasione per organizzare un dibattito in tv sull'argomento (magari con noialtri "associati a delinquere", Feltri, Woodcock, Vendola e Marcegaglia).
Per noi, gli "associati delinquere", il termine ultimo per la conclusione delle indagini, prorogato tre volte, è scaduto a gennaio 2009. Ebbene, quando qualche settimana fa abbiamo inoltrato istanza al procuratore generale di Potenza, Lucianetti, affinché ci venisse detto se fossimo da prosciogliere o da rinviare a giudizio, la risposta è stata un'altra perla giuridica.
E' vero - ha risposto il pg - che il termine ultimo per le indagini è scaduto da quasi due anni. Ma le indagini restano aperte perché il "caso è complesso" (una presunta diffamazione!) e, in ogni caso, gli atti compiuti dopo quel termine "sono inutilizzabili". In altre parole, se in tutto questo tempo hanno continuato a "monitorarci" e se verosimilmente continueranno a farlo - per sapere chi siamo e da dove veniamo e con chi parliamo e come la pensiamo e cosa facciamo - non dovremo preoccuparci. Tanto gli atti da gennaio all'infinito sono inutilizzabili.
Eh, no. Non va bene. Urge programma tv che affronti la questione e spieghi al grande pubblico. Mi vanno bene anche Floris e Paragone. O una finestra nel tg di Mentana, a La7. Certo, da Fazio o da Vespa, oppure a Matrix, sarebbe già un altro share. Se proprio insiste, però, sceglierò Santoro. (di Carlo Vulpio su http://carlovulpio.wordpress.com/2010/10/08/la-volonta-della-marcegaglia-coartata-come-dicono-i-pm-dal-timore-di-dossier-su-discariche-e-inceneritori-di-vendola-e-una-enormita-somiglia-al-pre-crimine-di-minority-report-e-alla/)

martedì 3 agosto 2010

Ma come parlano (e agiscono) questi c.d. magistrati?

Di fronte a certe facce e a certi crani si fatica a non riabilitare Cesare Lombroso. C’era proprio bisogno delle telefonate con Pasquale Lombardi (in arte “Pasquali’”) per trasferire il giudice Alfonso Marra (per gli amici “Fofò”)? Non bastava il suo riporto asfaltato a rastrelliera? Poi uno legge le sue dichiarazioni e capisce che, anche senza guardarlo o intercettarlo, bastava intervistarlo per capire tutto. Incontrando al bar un cronista di Libero, Marra s’è giustificato testualmente così: “Lombardi stava lingua in bocca con tutti”. Ma come parla il presidente della Corte d’appello di Milano, preferito mesi fa a un concorrente più titolato dal Csm dei Mancino e Carbone? “Quando iniziano a chiedere favori io li caccio – si vanta Marra – quando propongono sotterfugi, cose strane io dico: andatevene”. Cioè: qualcuno gli ha chiesto favori, sotterfugi e cose strane, cioè reati, e lui non ha mai sporto denuncia? Un altro giudice intercettato con la P3, Umberto Marconi, ammette candidamente sul Riformista l’amicizia con Ernesto Sica (quello del dossier anti-Caldoro) e col condannato Arcangelo Martino (quello che un anno fa confermò la balla di Berlusconi sul padre di Noemi autista di Bettino Craxi): “Una leggerezza… Sapevo che erano personaggi pericolosi, ho sopravvalutato le mie capacità di frequentarli senza venire coinvolto nei loro affari… Martino vantava aderenze a Roma, in particolare con Berlusconi. Per fare un favore a Sica lo chiamai per sincerarmi che potesse davvero fare qualcosa per Ernesto… A Roma c’è gente che mi vuol male: un parlamentare Pdl mi odia a morte, ha l’abitudine di distruggere chi gli fa del bene. Quando seppi che Mastella voleva candidarlo gli dissi: ‘Sei pazzo?’. Questa persona ha sempre avuto rapporti coi servizi…”. Possibile che un alto magistrato parli così? Possibile che il Csm non trovi di meglio che spostare questi soggetti da un posto all’altro per “incompatibilità ambientale”, anziché spedirli a casa? Marconi non è un quivis de populo: è stato per vent’anni capo della corrente Unicost, ai vertici dell’ Anm e addirittura nel Csm dove – a colpi di aderenze – ha sistemato centinaia di giudici e ora presiede la Corte d’appello di Salerno. Cioè: è la più alta autorità giudiziaria della città da cui il Csm dei Mancino e Carbone (ma anche di Napolitano) ha cacciato i pm Apicella, Verasani e Nuzzi perchè avevano osato scoprire che, a Catanzaro, c’era una cricca di magistrati corrotti che perseguitava De Magistris. Ora tutti si scandalizzano, si meravigliano, s’indignano. Pure il segretario dell’Anm Giuseppe Cascini: “Le indagini degli ultimi mesi dimostrano che esiste una questione morale grave e seria, da ultimo abbiamo visto che anche la magistratura e persino il Csm sono coinvolti in casi di inquinamento e malaffare”. Da ultimo? Cascini è lo stesso che non solo non difese, ma attaccò i tre pm salernitani perchè – orrore – avevano perquisito i colleghi calabresi inquisiti con un’ordinanza “troppo lunga”. Mai una parola sui colleghi calabresi inquisiti che il Csm dei Mancino e Carbone (ma anche di Napolitano) ha lasciato al loro posto. Nemmeno Caliendo e Martone erano dei passanti: sono stati addirittura presidenti dell’Anm, il sindacato delle toghe. Si saranno guastati “da ultimo” o sono sempre stati così? E che faceva la magistratura associata, a parte plaudire alla cacciata degli onesti? Miller e Gargani lavorano da anni al ministero cooptati dai vari Castelli, Mastella e Alfano, noti distruttori della Giustizia. Carbone era fino all’altro giorno (o forse è ancora) il candidato di Berlusconi alla presidenza della Consob. La malapolitica li premia per la cristallina indipendenza o per il motivo opposto? È un caso se Al Fano e Al Nano che han sempre insultato i migliori magistrati d’Italia ora difendono quelli del giro P3? Se i politici che frequentavano il pregiudicato Carboni non hanno alibi, ne hanno pochi anche i magistrati che ora cadono dal pero. Come i commentatori che seguitano a menarla con la separazione dei pm dai giudici anziché dei magistrati dai politici...

Nota del redattore: a chi non riesce a capire perché mi oppongo con tanta fermezza all’attuale andazzo italico insisto nel rispondere che non è per moralismo o legalitarismo o giustizialismo ma per semplice spirito di sopravvivenza o, se si vuole esser più crudi, per evidente egoismo dato che a scuola prima e sul lavoro poi sono stato indotto a fare cose bene e non a costruire finzioni o partecipare al gioco della vita con carte truccate; così mi ritrovo oggi a non poter, anche volendo, cambiare metodo, con l’aggravante che la criminologia e le scienze affini sono in palese contraddizione con ogni forma di alterata obiettivazione e mendace comunicazione della realtà e con tutte le i seducenti e suggestive modificazioni (illusorie ed ingannevoli, anche se al momento tranquillizzanti) delle corrette percezioni dei fatti, fino alla loro soppressione e scomparsa... [Prof. Cosimo Loré]

venerdì 23 luglio 2010

È così semplice distinguere una toga indegna da un magistrato che compie il proprio dovere!

Le toghe non sono tutte nere come sostiene (oggi) qualche giornalista e nemmeno tutte rosse come sosteneva (ieri) qualcun altro. E la cosa si ripete per gli avvocati, i salumieri, i giornalisti ed i ciabattini. Sostenere il contrario equivale a rivendicare l'intangibilità della categoria ed è questa l'ultima spiaggia cui si ricorre oggi che il sistema giudiziario italiano viene scosso dalle fondamenta. Non sono tutti corrotti o collusi. Qualcuno allo scoperto e molti di più con eccessiva timidezza, tanto da rasentare la pavidità, hanno tenuta accesa la fiamma della legalità. È la notte e di notte tutte le toghe sono nere, dice Facci. È vero, ma egli con molti altri non ha certo contribuito ad illuminare la “scena”. Si rileggano gli atti delle inchieste “Why Not”, “Poseidone” e, soprattutto, gli atti dell'inchiesta “Toghe Lucane” e, immodestamente, si abbia il buon gusto di rileggere il contenuto di questo blog (http://toghelucane.blogspot.com/2010/05/lanalisi-e-le-inevitabili-conseguenze.html ). La luce è sempre stata accesa e le toghe nere sono state facilmente distinguibili dalle altre. Come erano già chiare le consorterie che oggi un sospetto afflato moralistico chiama con dispregio “P3”.
L'operato del CSM non è stato solo opaco, condizionato, poco chiaro: è stato criminale e come tale va considerato. Resta solo da vedere se, ricevendo formale denuncia querela il 12 maggio 2010 S.E. Il Procuratore Generale della Suprema Corte di Cassazione abbia proceduto come per legge ad iscrivere i membri del CSM nel registro degli indagati ed aprire il doveroso procedimento penale.
È così semplice distinguere una toga indegna da un magistrato che compie il proprio dovere che sostenere il contrario è un atto di vero e proprio sovvertimento dell'ordinamento democratico.
Cosa si aspetta a chiedere scusa e reintegrare nei loro uffici Gabriella Nuzzi, Dionigio Verasani, Luigi Apicella e Clementina Forleo?

venerdì 2 luglio 2010

Elezioni CSM: voto di scambio?

Il 4 e 5 luglio i magistrati eleggeranno i 16 rappresentanti togati in seno al Consiglio Superiore della Magistratura, quel cosiddetto organo di autogoverno dei magistrati che esprime ipso-iure il concetto di conflitto d'interessi. I magistrati che sono chiamati a controllare (e sanzionare) l'operato dei magistrati costituiscono i due terzi del Consiglio, vengono eletti dai magistrati con un sistema (da poco riformato) che nella sostanza è “pilotato” dalle correnti che già governano dell'Associazione Nazionale Magistrati. Poco cambia se la recente “riforma elettorale”, approvata dal Parlamento Italiano in materia di CSM, consente anche a magistrati indipendenti di competere. Gli eletti saranno i soliti “designati”, si accettano scommesse. Tuttavia non bisogna ignorare che sei intrepidi togati abbiano esposto facce e programmi. Timidamente. Forse troppo.
Milena Balsamo (Giudice del Tribunale di Pisa), che può essere votata fra i giudicanti; Salvatore Cantàro (Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Roma), che può essere votato fra i pubblici ministeri; Fernanda Cervetti (Consigliere della Corte di Appello di Torino) che può essere votata fra i giudicanti; Edoardo Cilenti (Consigliere della Corte di Appello di Napoli - Sezione Lavoro), che può essere votato fra i giudicanti; Si sono aggiunti Paolo Corder e Carlo Fucci, che appartengono ad una corrente (Unità per la Costituzione) e non avendo ottenuto la candidatura “intra-menia” hanno optato per l'indipendenza (temporanea).
Il dato più rilevante è un altro, non si riesce a conoscere i nomi dei candidati dalle “correnti”. O, perlomeno, non è semplice ai non addetti ai lavori. Già questo potrebbe essere un servizio reso dai candidati indipendenti alla cittadinanza italiana che viene tenuta “fuori” dalla vicenda elettorale come se la composizione del CSM fosse una questione privata fra magistrati. Non è così, ovviamente, come si comprende da poche considerazioni. Supponiamo che un magistrato che sta indagando su altri magistrati (ex art. 11 C.P.P.) sia candidato per la “quota P.M.”. I suoi indagati, esprimendosi attraverso il voto, sono del tutto liberi o avvertono un qualche condizionamento? Se il primo nella sezione dove votano i secondi non dovesse vedersi riconosciuto alcun voto, sarebbe del tutto sereno quando tornerà al suo lavoro di PM? Un ultimo esempio. Se un magistrato PM si occupa di alcune decine di procedimenti penali che vedono denunciati altri magistrati (sempre i soliti due o tre) ben identificati e, invece che iscriverli nel registro degli indagati, procede contro ignoti; credete davvero che quei soliti (ed i loro amici e sodali) possano votare serenamente per un diverso candidato al CSM? Ebbene sarebbe molto più semplice (ed anche doveroso) che si conoscessero gli aspiranti Consiglieri Superiori affinché si potesse spiegare agli italiani che la pratica del voto di scambio non è prerogativa della bistrattata politica ma di ogni circostanza in cui l'espressione della volontà personale determina posizionamenti redditizi e fondamentali nell'ambito della Res Pubblica. Ovviamente, pur non potendo svolgere il tema in termini preventivi, nulla impedirà di effettuare le considerazioni a consuntivo. Almeno gli eletti dovranno pur essere noti, prima o poi!

lunedì 28 giugno 2010

Tutti contro Brancher: vigliacchi! Le dimissioni deve darle Napolitano

Ce li ha tutti addoso! Povero ministro Brancher, peraltro abbandonato dai suoi stessi “protettori”. Così si consuma un ennesimo paradosso di questa italietta popolata da "vil marrani" pronti a massacrare “un uomo morto”. Non ci vuole un grande coraggio per parlare male di un Ministro della Repubblica come Brancher, per questo tutti lo fanno. Ce ne vorrebbe di più a difenderlo, ovviamente da parte di coloro che l’hanno nominato. Ma questi dovrebbero poi spiegare perché e percome: operazione impossibile. Allora a morte (politica) Brancher. E’ ministro del nulla e tornerà nel nulla. La vera questione è ben altra. Perché non può avvalersi della legge sul “Legittimo Impedimento” il ministro Brancher? La norma non distingue fra ministri “con” portafoglio e ministri “senza” ed è stata promulgata con la firma di quel signore ex PCI che oggi è Presidente della Repubblica. Cosa lamenta Napolitano? Che un cittadino, in virtù dell’essere ministro, si avvalga di una legge dello Stato Italiano fatta ad hoc per i ministri. Singolare! Napolitano, pretende che per un cittadino italiano non debba applicarsi una legge approvata dal Parlamento italiano e promulgata dal Presidente della Repubblica Italiana, cioè da lui stesso. Dovrebbe (Napolitano) e dovrebbero i tanti corvi che circondano Brancher, dolersi di aver approvato e promulgato la legge sul legittimo impedimento, iniqua e incostituzionale, che rende i ministri cittadini super e che adesso mostra esplicitamente il volto dell’involuzione democratica imposta dal Cavaliere per autoproteggersi. Norma, va ricordato, finita per essere accettata da larga parte della politica e delle istituzioni (perché un giorno, magri nemmeno tanto lontano, può essere utile a chiunque "farla franca"). Non è Brancher a doversi dimettere. È Napolitano che deve andare via e con lui quanti hanno permesso un degrado delle guarentigie costituzionali da cui sarà arduo risorgere.

venerdì 18 giugno 2010

Toghe Lucane è ancora aperta e chi sosteneva il contrario diceva cose non vere


L'udienza inizia con qualche ritardo. Maria Rosaria Di Girolamo vorrebbe sapere se l'assenza del PM Capomolla è frutto di una scelta (legittima) del magistrato oppure se deve attenderlo ancora. Ma non si riesce a contattarlo, dicono sia fuori stanza. Si procede ugualmente, senza di lui. Inizia così la prima udienza in cui si discuteranno le quattro opposizioni alla richiesta di archiviazione per il procedimento “Toghe Lucane”. L'inchiesta, avviata da Luigi de Magistris, ipotizzava l'esistenza di una associazione per delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari ed alla truffa aggravata ai danni dello Stato. Coinvolti nomi grossi della politica, della magistratura, delle istituzioni. Gli stessi che avevano gridato al flop (e continuano a ripetere il ritornello) quando Vincenzo Capomolla, subentrato a Luigi de Magistris, aveva ribaltato tutto chiedendo l'archiviazione urbi et orbi. Nell'aula “C”, al piano terra del nuovo Tribunale di Catanzaro, si muovono, si raggruppano, parlottano e commentano: Michele Cannizzaro (Dir. Gen. ASL San Carlo a Potenza), Emilio Nicola Buccico (membro del Consiglio Superiore della Magistratura e successivamente Senatore componente della Commissione Antimafia), Pietro Gentili (Colonnello dei Carabinieri), Marco Vitale, Filippo Bubbico (Presidente Regione Basilicata e successivamente Sottosegretario alle Attività Economiche), Giuseppe Labriola, Felice Viceconte, Michele Vita ciascuno rappresentato da uno o più avvocati. Tutto cessa appena entra il giudice e comincia l'appello. Frasi di circostanza, elenco degli indagati e registrazione delle presenze e dei legali rappresentanti. Ciascuno precisa di avere una delega piuttosto che una nomina, qualcuno è nominato d'ufficio. Emilio Nicola Buccico ha cambiato avvocato e ci tiene a far sapere al Gip ed a tutti i presenti che il precedente, Avv. Frigo, oggi è Consigliere della Corte Costituzionale. La questione è irrilevante e non viene annotata. Risultano “non comparsi”: Vincenzo Tufano (Procuratore Generale a Potenza), Gaetano Bonomi (sostituto Proc. Gen. a Potenza), Felicia Genovese (Sost. Proc. a Potenza), Giuseppe Chieco (Procuratore Capo a Matera), Iside Granese (Presidente Tribunale di Matera), Vincenzo Vitale, Arnaldo Mariotti, Massimo Goti (dirigente Ministero Attività Economiche), Vincenzo Barbieri (Ispettore Ministero della Giustizia), Luisa Fasano (Capo della Squadra Mobile di Potenza), Vito De Filippo (Assessore Giunta della Regione e attualmente Presidente della Regione Basilicata), Elisabetta Spitz (Dirigente Ufficio Catasto), Giuseppe Pepe, Nicolino Lopatriello, Nicola Montesano, Vito Santarsiero (Presidente della Provincia di Potenza, attualmente sindaco di Potenza), Vincenzo Mauro, Massimo Cetola (Generale dei Carabinieri), Emanuele Garelli (Generale dei Carabinieri), Nicola Improta (Colonnello dei Carabinieri), Pietro Giuseppe Polignano (Colonnello dei Carabinieri), Biagio Costanzo. Anche se la D.ssa Felicia Genovese verrà avvistata nei pressi dell'aula di lì a poco. Ma l'udienza è brevissima per difetto di notifica ad alcuni degli indagati. Si proseguirà il 4 ottobre 2010 ed il Gip raccomanda formalmente alla cancelleria di seguire con attenzione le notifiche. “Ognuno dovrà potersi difendere e potrà farlo in tempi congrui”, con questa rassicurazione si chiude un'udienza appena aperta. Non è il caso di anticipare giudizi, nemmeno condanne o assoluzioni. Seguiamo il processo, fin quando la legge ce lo consentirà, e diamone contezza ai lettori. Questa è l'informazione libera. Questo è il lavoro del giornalista. Come si evince, Toghe Lucane è ancora aperta e chi ha detto il contrario diceva cose non vere.
Filippo de Lubac

Avevano detto che Toghe Lucane era chiusa, ma non era vero. I vertici della magistratura lucana (e non solo loro)...


Oggi (18 giugno 2010) si discutono, davanti al Gip di Catanzaro (D.ssa Maria Rosaria Di Girolamo), le opposizioni alla richiesta di archiviazione formulata circa un anno fa per il procedimento penale noto come “Toghe Lucane”. Sono chiamati a difendersi da ipotesi di reato gravissime, alcuni anche dall'associazione per delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari, trenta indagati, molti dei quali appartenenti a strutture apicali dello Stato: Vincenzo Tufano (Procuratore Generale a Potenza), Gaetano Bonomi (sostituto Proc. Gen. a Potenza), Felicia Genovese (Sost. Proc. a Potenza), Michele Cannizzaro (Dir. Gen. ASL San Carlo a Potenza), Giuseppe Chieco (Procuratore Capo a Matera), Iside Granese (Presidente Tribunale di Matera), Emilio Nicola Buccico (membro del Consiglio Superiore della Magistratura e successivamente Senatore componente della Commissione Antimafia), Pietro Gentili (Colonnello dei Carabinieri), Vincenzo Vitale, Marco Vitale, Filippo Bubbico (Presidente Regione Basilicata e successivamente Sottosegretario alle Attività Economiche), Arnaldo Mariotti, Massimo Goti (dirigente Ministero Attività Economiche), Vincenzo Barbieri (Ispettore Ministero della Giustizia), Luisa Fasano (Capo della Squadra Mobile di Potenza), Giuseppe Labriola, Vito De Filippo (Assessore Giunta della Regione e attualmente Presidente della Regione Basilicata), Elisabetta Spitz (Dirigente Ufficio Catasto), Giuseppe Pepe, Felice Viceconte, Nicolino Lopatriello, Nicola Montesano, Michele Vita, Vito Santarsiero (Presidente della Provincia di Potenza, attualmente sindaco di Potenza), Vincenzo Mauro, Massimo Cetola (Generale dei Carabinieri), Emanuele Garelli (Generale dei Carabinieri), Nicola Improta (Colonnello dei Carabinieri), Pietro Giuseppe Polignano (Colonnello dei Carabinieri), Biagio Costanzo. L'inchiesta, come si ricorderà, era condotta dal PM Luigi de Magistris cui era subentrato il Dr. Vincenzo Capomolla a seguito del trasferimento disciplinare disposto dal CSM. Duecentomila pagine in 114 faldoni, testimonianze di magistrati che denunciavano gravissime anomalie nella gestione di diversi procedimenti giudiziari. Riscontri documentali e telefonici. Tutto inutile, secondo Capomolla, a sostenere l'accusa in giudizio. Di diverso avviso alcune delle persone offese che hanno presentato i ricorsi di cui si discuterà oggi davanti al Giudice per le Indagini Preliminari, D.ssa Di Girolamo. Ma, a quanto risulta da notizie interne al Palazzo di Giustizia catanzarese, l'udienza non si terrà per alcuni difetti di notifica. É proprio un peccato che 30 indagati debbano restare ancora con la spada di Damocle del giudizio pendente, ma è altrettanto scorretto che si diano per estranei ad ipotesi criminose su cui ancora deve pronunciarsi il Tribunale. Come se il giudizio fosse scontato, come se 200 mila pagine di atti non ci fossero, come se bastasse una richiesta di archiviazione, come se la giustizia fosse affare privato. Al punto da non dare nemmeno la notizia dell'udienza odierna. Scommettiamo?
Filippo de Lubac

sabato 29 maggio 2010

Il PM che negò il sequestro e la perquisizione a carico di Danilo Restivo: Vita di magistrati e forse anche di massoni

Una cosa era certa sin dai primi giorni della scomparsa di Elisa Claps: la magistratura potentina non aveva agito con professionalità. Già solo per questo il magistrato che decise di non procedere al sequestro degli indumenti macchiati di sangue che Restivo indossava a poche ore dal delitto Claps avrebbe dovuto essere chiamato a render conto. Non condannato e nemmeno imputato, ma spiegare, giustificare, dire cosa gli era passato per la mente quando aveva negato la perquisizione a casa di Danilo Restivo, almeno questo sarebbe stato doveroso e, forse, inevitabile. Nulla fu fatto nulla fu domandato. Adesso che il martoriato corpo di Elisa ci ha parlato, questo è ancora più urgente. La Procura di Salerno non la pensa così, almeno tanto si evince dalle dichiarazioni e dagli atti posti in essere. Pare che nemmeno si siano procurati il nome di “quel” magistrato, nemmeno abbiano sentito dal questore Grimaldi chi gli negò l’ok. Nessuno ritiene che “quel” magistrato debba essere chiamato a spiegare. Eppure quelle carenze, quelle omissioni, meritano lo straccio di una risposta. Occorre eliminare i se ed i ma. E non si tratta di dietrologie ma dell’esatto opposto. Se nessuno risponde a domande ineludibili, nasce il pantano delle ipotesi. Non è sopportabile l’idea che una diversa gestione del caso Claps avrebbe potuto impedire altri delitti. Non è verosimile che i tabulati telefonici delle utenze Genovese-Cannizzaro relative agli anni 1994-1999, nelle disponibilità dei PM di Salerno Rosa Volpe da un decennio,  non raccontino di relazioni e frequentazioni significative del contesto in cui si svolgevano le indagini e non solo per il caso Claps. C'era la vicenda Gianfredi-Santarsiero, i due coniugi trucidati davanti ai loro figli. C’erano i procedimenti penali di Salerno in cui i coniugi Cannizzaro erano indagati ed anche parti offese. Sarebbe arrivata (2005) l'inchiesta sui brogli elettorali di Scanzano (Mt) con un carico di anomalie e sospetti così rilevanti da comportare autorevoli e decisivi interventi. Specie quando “dottoressa” sembrò non accorgersi delle ipotesi di responsabilità in capo all'avv. Nuccio Labriola e per questo (dice una relazione degli ispettori ministeriali) ottenne in contropartita la nomina a consulente della commissione antimafia per intercessione del (allora) Sen. Emilio Nicola Buccico (“maestro” di Nuccio Labriola, per usare le parole dello stesso apprendista “allievo”). Tutte storie gelatinose di una Lucania che si scopre crocevia dei delitti irrisolti per le gravi carenze investigative dei “soliti” magistrati. Una regione in cui non basta che il Procuratore Capo (G. Chieco) tratti affari immobiliari con indagati dalla “sua” Procura per allontanarlo dall’ufficio e nemmeno che si faccia accompagnare nelle visite per lo shopping personale da membri delle forze dell'ordine, si tratti di una stampante o di una villa al mare. Non è sufficiente che un PM (Annunziata Cazzetta) emetta un mandato di perquisizione scrivendo testualmente: finchè da ultimo, con l'articolo pubblicato sul nr. del 7.7.2007, sfidavano l'avv. Buccico ad uno scontro fisico con l'uso di armi, scrivendo: "... E no, caro strenuo difensore, la battaglia deve essere ad anni pari. Coraggio, almeno per una volta, una sfida medioevale. Un cavallo a testa, una lancia e via, per allontanarlo dalla magistratura e nemmeno per allontanarlo da una qualche responsabilità che comporti un corretta comprensione dell’italiano scritto. Assistiamo ad una strenua difesa della casta, ad un oltraggio all’evidenza, alla pretesa di annichilire la ragione prima ed oltre che gli uomini. Per nostra fortuna, la realtà è portatrice di evidenze tali da imporsi comunque. Il corpo di Elisa, diciassette anni dopo la morte, ci parla. Così aveva detto il Prof. Francesco Introna, consulente della Procura di Salerno. Ebbene, occorre che anche qualche corpo vivo inizi a parlare. Cominciando dal PM di quelle prime ore e proseguendo con la D.ssa Felicia Genovese, il Dr. Grimaldi (questore di Potenza quando fu uccisa Elisa) e quanti, con silenzi ed omissioni, hanno causato danni gravissimi allo stesso Danilo Restivo, alla Giustizia ed alle numerose vittime che hanno pagato per quella che appare coma un vero e proprio favoreggiamento delle condotte criminose. Non lo ha detto nessuno, nemmeno quei magistrati di Salerno che hanno tenuto l’inchiesta “Claps” per anni ed hanno avuto bisogno che parlasse un morto e che intervenisse la magistratura inglese per compiere qualche timido, incerto, parziale e tardivo passo. Vita di magistrati e forse anche di massoni. Nulla di male o di indecoroso a vestire un grembiulino e aspirare al cavalierato Kadosch. Ma cosa c’è di male a chiedersi come mai tanti protagonisti delle vicende lucane e qualche magistrato campano condividono affiliazioni di squadra e compasso? Henry John Woodcock, PM a Potenza (a quell’epoca) chiese a tutte le Prefetture d’Italia l’elenco degli affiliati alle Logge (è lì che si devono depositare perché l’associazione non sia segreta e, quindi, contra legem). Nessuna rispose e nessuno si azzardò a riproporre domande simili o (persino) concernenti l’episodio. I magistrati affiliati alla massoneria sono tenuti a dichiararlo, qualcuno può curarsi di verificare che l’abbiano fatto? Magari prima che un'apposita legge lo vieti!

sabato 15 maggio 2010

“Le mani in pasta… ed anche altrove”


Quell'area di via Cererie era, originariamente, proprietà di Giovanni Fragasso ed era adibita a cava di pietra. Infatti, Giovanni e suo figlio Vito erano costruttori di strade e quella cava serviva a produrre il materiale edile per questa attività. Nel 1913 Francesca Fragasso, figlia diciottenne di Giovanni, sposa Giovanni Padula che insieme al padre Giacinto è il fondatore della importante industria agroalimentare materana che prende il loro nome.


Nel 1935, Giovanni Padula acquista un piccolo mulino pastificio delle famiglie Tortorelli Lamacchia in via Lucana, promuovendone la modernizzazione tecnologica che lo porta, nel 1955, ad acquistare la quota restante dell'area di via Cererie dal cognato Vito Fragasso. La costruzione del pastificio inizia in quest'area nel 1962. Il pastificio viene inaugurato il 26 luglio 1963.


La storia del pastificio Padula, come tante semplici vicende della nostra terra, s'inerpica nella trasformazione di una società basata sui valori originati da una tradizione contadina e borghese post-feudale che si scontra con l'insorgente stato unitario nato dalla occupazione Savoiarda. Non è questo il tema che affronteremo, anzi ci occuperemo di tutt'altro. Ma sembrava utile conoscere la semplicità di una storia che è stata sottratta agli originali protagonisti in una girandola turbinosa di accadimenti da cui un dato emerge: la scomparsa della borghesia materana, che aveva saputo costruire intraprese valide e degne di rispetto se non addirittura di ammirazione, sostituita da una classe di faccendieri ancora più abili nel maneggiare denaro che non ha saputo costruire nulla che renda utile o edificante ricordarli.


Dei primi possiamo ancora raccontare del matrimonio tra Francesca Fragasso e Giovanni Padula, dei secondi non varrà nemmeno la pena ricordare i nomi.


“Le mani in pasta… ed anche altrove”
nelle edicole a Matera


Un instant book che riprende le vicende di cronaca degli ultimi anni, datandole puntigliosamente. Sono tante le circostanze che suscitano interesse e, spesso, un'ironia amara che ci risparmia la teoria dell'indignazione e della contumelia che pur, forse, non andrebbe evitata sempre e comunque. Non capita spesso che un gruppo di lavoratori russi, privi di visto adeguato, smontino una intera fabbrica (finanziata con i soldi pubblici arrivati dopo il disastroso terremoto del 1980) e se ne portino i pezzi nella Santa Madre Russia sotto gli sguardi inermi di magistrati, sindacalisti e Finanzieri imbelli. Sconcertante l'espressione del magistrato: “per fortuna non c'era l'aflatossina”, che si affrancava dalla ricerca della ocratossina, sostanza tossica, terafogena e cancerogena, segnalata in una partita di grano giunta anche a Matera. Per giungere al gran finale, quando il Commissario Prefettizio delibera, a pochi giorni dalla scadenza del suo mandato, nuovi orientamenti in materia di destinazione urbanistica. Un affare per centinaia di miliardi di lire, una scelta di straordinaria amministrazione assunta senza averne i poteri?


martedì 11 maggio 2010

L'analisi e le (inevitabili) conseguenze: ecco perché, secondo il c.p.p., il CSM (e non solo) andrebbe iscritto nel registro degli indagati per favoreggiamento dell'associazione per delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari!


Il recente intervento dell'ex magistrato Luigi Apicella (Panorama 13.5.2010), completa o, se preferite, rende elementare un'analisi già formalizzata in diverse sedi. Era stato sospeso dalle funzioni di magistrato e dallo stipendio per decisione del CSM. La colpa quella di aver firmato un atto di perquisizione e sequestro a carico di alcuni magistrati di Catanzaro. “Solo” trasferiti e dichiarati inadatti al compito di Pubblico Ministero, Gabriella Nuzzi e Dionigio Verasani, i due Sostituti Procuratori che quell'atto l'avevano formulato. I tre magistrati stavano indagando su gravissime ipotesi di reato a carico di colleghi delle Procure (Ordinaria e Generale) della Repubblica di Catanzaro in concorso con alti gradi della politica e, avendo chiesto formalmente ed in più fiate l'accesso ad atti costituenti materia d'inchiesta senza riceverli, avevano proceduto come se l'uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge fosse reale e non una mera dichiarazione scritta su una decrepita carta costituzionale. Imperdonabile ingenuità subito deplorata da destra a manca. Persino il Presidente della Repubblica aveva fatto sentire la sua autorevole voce chiedendo di acquisire atti che non poteva (e non doveva) conoscere, salvo precisare che il suo pensiero era diverso. In queste vicende nessuno ammette mai di aver sbagliato, si limitano a precisare che sono gli altri a non aver interpretato correttamente. Sarà! Nemmeno l’abuso del contro-sequestro, atto giudiziario paradossale in cui gli indagati sequestravano il materiale che era stato loro appena sequestrato, nemmeno questo inqualificabile abuso faceva scattare un briciolo di dignità istituzionale tra gli alti “prelati” della religione dello Stato; lorsignori dell’uguaglianza davanti alla legge non ricordano nemmeno l’enunciato. Poi i diversi gradi del giudizio riesame e cassazione avevano confermato i decreti di perquisizione e sequestro firmati da Apicella, Nuzzi e Verasani nel silenzio inerte di CSM, ANM, Napolitano e Ministri vari. Trasferiti e sospesi per atti validi! Infine, i colleghi che ne avevano ereditato i copiosi faldoni in quel di Salerno con l’ultimo atto. Quella recentissima chiusura delle indagini in cui si confermano le gravissime ipotesi di reato a carico dei magistrati “perquisiti” avanzate da Apicella, Nuzzi e Verasani. Almeno adesso ci si sarebbe aspettata l’adozione di una qualche misura di ristoro, non solo delle scuse inutilmente invocate da pochi. Nulla! CSM, ANM, Procuratore della Cassazione, Ministro e Napolitano tacciono e fanno finta di guardare altrove. Ma anche Apicella sbaglia a buttarla in politica con la storia (vera) che chi indaga sulle toghe indegne schierate a sinistra paga prezzi alti. Dice il vero, Apicella, ma sbaglia l’approccio. Egli dovrebbe chiedersi come mai, assodato che il CSM ha determinato dolosamente lo smantellamento delle inchieste Why Not e Poseidone sottraendole al giudice naturale (Luigi de Magistris), i membri della suprema assise che governa la magistratura non siano ancora stati iscritti nel registro degli indagati per favoreggiamento di quella (supposta) associazione per delinquere ipotizzata dai PM di Salerno. Infatti risulta accertato che il trasferimento di Luigi de Magistris prima e quello di Luigi Apicella, Gabriella Nuzzi e Dionigio Verasani, poi, siano avvenuti in spregio alle evidenze probatorie ed ai diritti di difesa e, comunque, abbiano consentito la realizzazione del piano di parcellizzazione e conseguente smantellamento delle inchieste. Buttarla in politica non serve. Serve chiedere il rispetto del Codice di Procedura Penale e dell’obbligo costituzionale dell’azione penale. Anche da parte dei magistrati inquirenti che avendo ben chiara l'ipotesi criminosa non possono ignorare chi l'ha architettata (forse), tollerata (evidentemente) e favorita (con atti e decisioni esplicite). E, siccome la categoria della domanda non appartiene alla procedura penale, occorre ricorrere alla categoria della querela. Potrebbe farlo un qualsiasi cittadino, poiché il vulnus arrecato dal CSM, dal Presidente Napolitano, dall’on. Mancino non colpisce solo Apicella, Nuzzi, Verasani, Forleo, de Magistris ma colpisce tutti gli italiani e l’intero sistema giudiziario. Ma sarebbe un bel segno che a querelare fosse un magistrato, magari in pensione, così, tanto per non essere direttamente esposto a vendette terribili. Oppure, in alternativa, un gruppo di magistrati in servizio, non ne occorrono mille, ne basterebbero anche solo 3, chessò, con qualche ex oggi parlamentare europeo.

mercoledì 21 aprile 2010

Qualcuno lo deve pur dire


Come spesso accade, nell'Italietta degli ultimi 10-15 anni spessissimo, emergono fatti di tale gravità da documentare l'annichilimento dello Stato di Diritto. Ci era stato dato di assistere, nei primi di dicembre dell'A.D. 2008, all'operato di alcuni magistrati deviati che si erano sottratti al sequestro probatorio in un procedimento penale che li vedeva indagati semplicemente sequestrando a loro volta. Cioè abusando dei poteri loro conferiti perché difendessero e applicassero la Legge, li avevano usati per difendere il loro privato interesse. Qualsiasi altro cittadino, pubblico ufficiale, avvocato, parlamentare o vattelapesca, sottraendo cose e documenti sequestrati dall'Autorità Giudiziaria, se individuato, sarebbe stato arrestato. Loro no, per loro la Legge è più uguale, per loro la Legge coincide con un'opinione: la propria. Sono in molti a condividere siffatto convincimento anticostituzionale, tutti coloro che avendone la responsabilità ed i poteri nulla hanno fatto per interrompere le condotte criminose di LOMBARDI Mariano, MURONE Salvatore, FAVI Dolcino, IANNELLI Enzo, GARBATI Alfredo, DE LORENZO Domenico, CURCIO Salvatore Maria (Magistrati). Nemmeno quei magistrati di Salerno che oggi hanno stigmatizzato condotte criminose di tale gravità da postulare immediate esigenze cautelari. Quelle che la Legge impone quando vi è il rischio dell'inquinamento probatorio e della reiterazione del reato. Dicono, i dottori Maria Chiara Minerva, Rocco Alfano e Antonio Cantarella, Sost.ti Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Salerno, che i nominati “magistrati” si sono associati per delinquere e precisamente per addomesticare le indagini penali a carico di loro stessi e di sodali da cui ricevevano ora denari ora altre utilità. Dicono che lo hanno fatto arrampicandosi sugli specchi, eludendo scientemente il sistema normativo dettato a presidio della competenza per reati nei quali un Magistrato assume la qualità di persona sottoposta ad indagini ovvero di persona offesa o danneggiata, evocando a più riprese istituti processuali diversi ed incoerenti rispetto alla situazione venutasi a determinare e reiteratamente prospettata dall'A.G. funzionalmente competente. Non dicono i salernitani che tutte le massime autorità dello Stato poste a presidio delle garanzie costituzionali hanno taciuto (a volte) oppure hanno parlato difendendo siffatti magistrati e favorendone l'operato criminoso e criminogeno (più spesso). Non dicono, i salernitani, che ancora oggi, per il procedimento penale “Toghe Lucane” è stata intrapresa da subito un'opera di parcellizzazione dell'unitario contesto investigativo senza una piena cognizione degli atti del procedimento. Non dicono che molti degli indagati citati sono attualmente all'opera dove erano allora, con i metodi di allora che sono quelli di oggi. Non dicono i dottori Rocco Alfano eccetera, che hanno archiviato l'indagine a carico di Vincenzo Capomolla, erede di De Magistris in Toghe Lucane, e complice di Curcio, Iannelli, Murone, Favi e chissà quanti altri. Non dicono che l'hanno fatto mentendo su dati documentali presenti in atti e per i quali dovranno rispondere alla Procura di Napoli. Non dicono che i loro colleghi Gabriella Nuzzi, Dionigio Verasani e Luigi Apicella hanno pagato un prezzo professionale altissimo ed oggi si scopre che i “cattivi magistrati” (ma anche cattivi Presidenti della Repubblica, cattivi membri del CSM, cattivi ministri della Giustizia, cattivi Ispettori Ministeriali, cattivi e infedeli avvocati) che li hanno condannati hanno errato, sapendo di sbagliare, volendo sbagliare.
Sono imminenti le elezioni dei membri togati del CSM. Saranno eletti dei magistrati votati da altri magistrati. Mettiamo che un Procuratore titolare di indagini a carico di colleghi si voglia candidare. Peseranno di più i voti degli indagati o quelli dei coraggiosi che hanno subito pur di rispettare la Costituzione? Siamo ad una svolta delicatissima nella storia repubblicana, occorre un grande senso dello Stato ed una enorme stima della propria dignità personale per venirne fuori. Doti di cui riconosciamo alcuni “portatori sani” e che, auspichiamo, risveglino in tanti il fascino umano della libertà, della verità, della bellezza e della giustizia. Qualcuno lo deve pur dire, visto che i più guardano lontano quanto la punta delle proprie scarpe, rimandando sempre al raggiungimento del “gradino successivo” il momento di smettere con i compromessi e le neghittosità.

mercoledì 7 aprile 2010

Felicia, Filomena, Olimpia, Marisa e quella “lieta speranza” che rende la vita più umana

Le notizie si susseguono impetuose ed i commenti quasi le sopravanzano. Il ritrovamento dei poveri resti di Elisa Claps nel sottotetto della chiesa dedicata alla Santissima Trinità in Potenza ha prodotto un evento straordinario: l'attenzione dell'opinione pubblica nazionale su una tragica vicenda umana prima ancora che giudiziaria. Quella che sino a pochi giorni fa era per molti una scomparsa misteriosa, oggi è per tutti un omicidio efferato. Dai familiari di Elisa, stremati ma non vinti dopo diciassette anni di testimonianza civile, dignitosa e non priva di una qualche fierezza, sino agli inquirenti di oggi, senza tralasciare tanti cittadini “comuni”, tutti sono determinati a portare sino in fondo quel diritto/dovere alla verità ed alla giustizia che oggi sembra finalmente raggiungibile. Alcune evidenze arriveranno dai dati autoptici e dai rilievi della polizia scientifica e questo potrebbe disvelare persino l'identità dell'esecutore materiale del tremendo crimine, fondamentale. Altrettanto importanti saranno le domande cui l'unico indagato sarà chiamato a rispondere. Quelle domande che Felicia Genovese, PM all'epoca della scomparsa e per un lungo corso temporale a seguire, non pose all'indagato e poi imputato Danilo Restivo. Altri interrogativi, anche questi mai formulati dal signor PM, non possono più essere posti al prete che quel 12 settembre 1993 celebrò messa prima e dopo l'arrivo di Elisa nella chiesa da cui è uscita cadavere qualche settimana fa. Don Mimì è venuto a mancare da un paio d'anni, portando con sé il segreto di quel 12 settembre iniziato con le celebrazioni della domenica mattina e concluso in un centro termale da cui tornò dopo quattro giorni. Più d'uno ha visto e ascoltato Felicia Genovese interrogare gli imputati nei processi di mafia, incalzarli, metterli alle corde, sfiancarli ed inseguirli sino alla capitolazione. Qualcuno ha assistito agli interrogatori del medesimo magistrato a Danilo Restivo e Don Mimì Sabia. Registrati e ritrasmessi in questi giorni di rinnovato interesse mediatico. Toni pacati, poche domande, accenni di risposta già nella formulazione del quesito. E la conduzione delle indagini? La polizia che aspetta due ore l'autorizzazione per sequestrare i pantaloni ed il giubbotto sporco di sangue di Danilo Restivo quel 12 settembre e quell'ordine di “tornare in centrale” a mani vuote. I tabulati telefonici mai richiesti e mai acquisiti. E tutti gli errori successivi, negli anni e nelle altre indagini? Perché un magistrato esperto e determinato come Felicia Genovese commette tanti errori, perché ignora le piste sulla massoneria deviata suggerite dai carabinieri di Calanna, perché mantiene l'inchiesta sull'omicidio Gianfredi (1997) anche quando compare il coinvolgimento incolpevole di suo marito, perché non iscrive fra gli indagati l'avv. Labriola nell'inchiesta sui brogli elettorali (2005) di Scanzano Jonico? Sono domande che sono state poste da altri magistrati, alcune sono state oggetto di denuncia contro la D.ssa Genovese. Ma restano senza risposta, anche dopo l'archiviazione dei procedimenti penali. Sono domande che oggi più che mai sarebbe opportuno porre alla D.ssa Felicia Genovese e delle cui risposte la famiglia Claps, la famiglia Gianfredi, la famiglia Orioli, le famiglie dell'Associazione Penelope, la Lucania intera hanno diritto. Per riconciliarsi con quella Giustizia che non potrà restituire gli affetti prematuramente scomparsi ma che ha il dovere di individuare e perseguire i colpevoli. “Donna perché piangi?” disse Gesù a Maria di Màgdala e questa, credendolo il custode del giardino in cui era collocato il sepolcro, rispose: “Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo”. Quante volte, quante mamme hanno chiesto solo di sapere dove fosse il corpo del figlio scomparso. Quante volte abbiamo sentito questo grido da mamma Filomena? E adesso che la preghiera è stata esaudita non v'è forse bisogno di qualcosa d'altro per pacificare quel cuore straziato? Gesù rispose a Maria chiamandola per nome: “Maria”. Come a dire sono io la risposta alla morte, alla disperazione. Sono io la promessa della vita eterna. C'è un passaggio nella celebrazione del sacramento del Battesimo che commuove solo a ricordarlo: “Dio onnipotente, che per mezzo del suo Figlio, nato dalla vergine Maria, ha dato alle madri cristiane la lieta speranza della vita eterna per i loro figli, benedica voi mamme qui presenti...”. C'è forse una promessa più grande per una madre? C'è forse una speranza più pacificante? Dobbiamo solo pregare che la grazia della Pasqua raggiunga ogni uomo, che ciascuno si senta chiamare per nome da quel Cristo che solo può aiutarci a portare il peso di tanto dolore nella lieta speranza della vita eterna per i nostri figli, per i nostri cari e persino per i nostri nemici.

giovedì 18 marzo 2010

Chi ti ha detto che eri nudo? L’origine del moralismo


Che fossero nudi, Adamo ed Eva, è un fatto. Addirittura un fatto costitutivo, erano stati creati così. Da questo dato oggettivo scaturiva un comportamento consequenziale: giravano nudi per il giardino dell’Eden. Così, quando ebbero a nascondersi all’arrivo del Creatore, Dio pose ad Adamo la domanda: “Chi ti ha detto che eri nudo”? Cioè, “da dove nasce il tuo giudizio morale”? Era appena nato il moralismo. La pretesa di possedere l’origine del giudizio: “Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene ed il male”. La pretesa moralistica, il singolo uomo arbitro e fonte della morale (conoscere il bene ed il male), stabilisce la divisione delle divisioni: la frattura fra la morale e l’origine della morale, fra l’uomo ed il creatore dell’uomo, fra la libertà e la natura della libertà. L’interruzione diabolica di questo rapporto (dia-ballo= dividere, separare) avviene stabilendo una nuova sorgente dell’azione: l’uomo da solo decide cosa è opportuno, cosa è lecito e cosa è impudico: “ero nudo e mi sono nascosto”. Il moralismo si mostra come una verità incontrovertibile, oggettiva: davvero erano nudi, tanto che contro il moralismo si fa fatica a trovare argomentazioni consistenti, almeno in prima battuta. Poiché la separazione dell’uomo dalla sua stessa natura (fatto a Sua immagine e somiglianza) lo rende incapace di atti ontologicamente morali. È nell’esperienza, quando si affronta la realtà, che ci si accorge di tutti i limiti di una posizione moralistica. Nascono così i partiti degli “onesti”, i profeti della “pubblica moralità”, le patenti di “uomini perbene”. E chi decide chi è dentro e chi fuori? Apparentemente si demanda ad una teoria di regole. Chi ti ha detto che eri nudo? La tabella tale, il codice etico, lo statuto del partito o dell’associazione, il casellario giudiziale. Invero l’esigenza di giustizia, di verità, di bellezza, in una parola di libertà, è talmente umana, talmente radicata nella natura stessa di ciascuno di noi da emergere insopprimibile anche nella situazione di divisione in cui siamo precipitati quando abbiamo posto a fondamento della vita e dei rapporti il moralismo, la nostra pretesa di incardinare l’origine del giudizio nella nostra personale conoscenza del bene e del male prescindendo dall’esperienza, in una sequenza di regole astratte, di leggi, di assunti. La nostra vera umanità riconosce e desidera aderire alla natura ultima del nostro essere. In pratica, realmente siamo in grado di distinguere il bene dal male solo che ci affidiamo a quello che il cristianesimo chiama il “cuore”: il contraccolpo che suscita in noi l’esperienza, il paragone con la realtà. “Ha mentito, è umano. Ha rubato, è umano. Ma questo non è il vero essere umano. Umano è essere generoso, umano è essere buono, umano è essere un uomo della giustizia e della prudenza vera, della saggezza” (Benedetto XVI). Qualche esempio chiarisce meglio di tanti discorsi. La legge prevedeva che in occasione della Pasqua un condannato a morte ricevesse la grazia. Fra Gesù e Barabba fu scelto il secondo. Dovendo distribuire la propria eredità, un genitore sceglie di fare parti uguali anche se un figlio è immensamente ricco, e l’eredità nulla cambia nella sua condizione, e l’altro assolutamente povero. “L’ingiustizia più grande è dividere in parti uguali fra diversi” (Don Lorenzo Milani). Non è immorale (o morale) l’uomo, lo sono le sue azioni che non vanno giudicate in base ad un decalogo bensì in relazione all’esperienza, al paragone con le esigenze del “cuore”. Così non è umano attribuire la patente di “onesti” ad una lista di candidati scelti sulla base di un certificato del casellario giudiziario allo stesso modo in cui non è umano riconoscere il passpartout a chi “assicura” gli interessi della “mia” parte abusando dell’altra. “Chi ti ha detto che eri nudo”?, questa è la domanda che mette in crisi i moralisti dell’una e dell’altra parte!

domenica 7 marzo 2010

I giudici soggetti solo al Governo, lo dice la Gazzetta Ufficiale

È un vecchio adagio che aleggia nelle aule dei ribunali di tutto il mondo, credo! “Le leggi per alcuni si applicano, per altri si interpretano”. Forse molti di noi ne hanno fatto esperienza diretta, seppur silenziosa e irriferibile pena alti strepiti e stracciamento di purpuree vesti. La consegna del silenzio valeva sino a qualche ora fa. Valeva quando il CSM trasferì ad altra funzione ed altra sede Luigi de Magistris, Gabriella Nuzzi, Dionigio Verasani rei di aver applicato la legge e svolto il proprio lavoro. Valeva quando i magistrati di Catanzaro sequestrarono i documenti relativi alle indagini a loro carico. Si ripresero, intepretando la legge a loro personale vantaggio, quanto era stato loro legittimamente sequestrato applicando la legge. Valeva, quando 700 cittadini di Matera chiesero al CSM di trasferire Vincenzo Tufano e Giuseppe Chieco, due magistrati indagati (e lo sono ancora oggi, in attesa che il Gip di Catanzaro si pronunci sulle diverse istanze di opposizione all’archiviazione delle pendenze loro ascritte) di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari. Valeva quando Clementina Forleo venne trasferita per non aver interpretato la legge a favore di Massimo D’Alema & Compagni (ex PCI) nell’affaire BNL-UNIPOL. Valeva in tanti altri casi, in tutti quelli in cui magistrati, giornalisti, avvocati, politici e cittadini comuni hanno preferito tacere, ignorare, girare il capo, tapparsi le orecchie e turarsi il naso. Non sono i potentati ad avere la responsabilità di questo silenzio omertoso, sono i singoli. Il magistrato, il giornalista, l’avvocato, il politico, il cittadino, ciascuno ha la responsabilità di aver taciuto per indole, per comodo, in verità per viltà. Questo è, anzi era, il dramma. La viltà di molti che ha reso esaltante e persino epico il sacrificio dei pochi magistrati, giornalisti, avvocati, politici e cittadini che non hanno piegato la schiena. Non è una questione di destra o di sinistra, nemmeno di centrismo più o meno ballerino ed opportunista. È una questione di uomini.
Ad ogni buon conto, è una questione risolta. Da oggi, per decreto ministeriale, è sancito che la legge si interpreta e non si applica. Di più, si stabilisce anche che ad interpretare non sono i magistrati, un tempo soggetti solo alla legge. Oggi interpreta il governo ed i magistrati diventano i notai delle interpretazioni governative. Così il capo dello Stato, invocato e silente in questi anni di sfacelo giudiziario ed oggi notaio acquiescente del nuovo corso. I magistrati sono soggetti non più alla legge ma all’interpretazione della stessa. Dettata, per decreto, dal governo in carica.
Finalmente lo potranno dire anche i pavidi, basterà che citino la Gazzetta Ufficiale e nessuno potrà disturbare la loro tranquilla esistenza di sudditi.

martedì 16 febbraio 2010

La Prof.ssa Pontrelli, il Procuratore Chieco e la diffamazione asimmetrica

Slalom giudiziario
“Passerà la vita a difendersi”, questo convincimento esprimeva un magistrato, presidente della regione Calabria, uomo dalle idee chiare circa il destino prossimo del Dr. Luigi de Magistris. Più o meno il destino che sembra dipanarsi per un piccolo gruppo di giornalisti di provincia (e qualche incauto professionista di livello nazionale) che ha avuto l'ardire di raccontare fatti veri, d'interesse pubblico, esprimendosi con linguaggio continente e documentandosi attraverso qualche quintale di atti giudiziari non soggetti a segretezza o riserbo. Va da sé che questo “incerto fato” non proviene dai sortilegi degli dei dell'Olimpo ma da creature meno mitiche e molto prosaiche. Non c'è da lamentarsi, tutt'altro, il Codice di Procedura Penale e più in generale l'ordinamento giudiziario italiano consentono agli indagati/imputati di difendersi in giudizio ed è certamente uno dei sistemi giudiziari più garantisti del mondo democratico occidentale. Così, il 9 febbraio 2010, è iniziata e subito rinviata la discussione sulla presunta diffamazione compiuta ai danni della signora Pontrelli Rosalba, moglie del Procuratore Capo di Matera, Dr. Giuseppe Chieco.

Lamenta, Pontrelli, di essere stata indicata come partecipe della “trattativa per l'acquisto di una casa nel villaggio Marinagri con l'aggravante dell'attribuzione di fatti determinati". Ma è proprio quanto sostiene la Guardia di Finanza di Catanzaro, delegata alle indagini. Cioè si tratta dei fatti determinati e provati attraverso la ricostruzione del “contatto registrato tra l'Ufficio Vendite della Marinagri e la signora Pontrelli Rosalba, moglie del Dr. Chieco Giuseppe, avvenuto il 12.12.2005” e le dichiarazioni del Dr.Chieco, del Mar. GdF Celso e della stessa Pontrelli che raccontano di una visita dei coniugi Chieco-Pontrelli al patron della Marinagri Vincenzo Vitale per prendere visione del progetto. Restarono in attesa che Vitale facesse loro conoscere i prezzi. Insomma, l'interessamento del Dr. Chieco Giuseppe e signora all'acquisto del villino sul mare è confermato da due sottufifciali della Guardia di Finanza (uno in servizio presso il Tribunale di Matera, l'altro a Policoro). Suvvia, signora Pontrelli, cosa c'è di male nel desiderare una villetta a pochi metri dall'acqua con annesso posto barca? Di cosa si lamenta se un giornale racconta fatti che hanno indotto una Procura della Repubblica a disporre la perquisizione personale e degli uffici del procuratore Dr. Giuseppe Chieco, circostanza mai verificatasi nella storia del Palazzo Giudiziario di Matera? Il merito lo lasciamo alle aule del Tribunale, agli avvocati ed ai magistrati perché è proprio giusto che funzioni così. Possiamo solo confermare che tutto quanto è stato pubblicato corrisponde fedelmente alle risultanze documentali e probatorie di un'inchiesta giudiziaria che vede il Dr. Giuseppe Chieco indagato per una quantità di reati gravissimi fra i quali l'associazione per delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari (il PM procedente ha chiesto l'archiviazione e il GIP dovrà all’uopo pronunciarsi fissando l'udienza per discutere diverse opposizioni delle parti offese). Sul metodo ci permettiamo di sollevare alcuni interrogativi che, per la verità, erano già stati sollevati proprio nell'articolo di cui si duole la signora Rosalba Pontrelli. È proprio opportuno, per non dire rituale, che la querela della moglie del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Matera venga trattata da un sostituto procuratore presso la Procura della Repubblica di Matera? È proprio normale che un giudice del Tribunale di Matera si accinga a trattare una causa in cui la parte “offesa” ha il marito che sovrintende funzionalmente al PM che sosterrà l'accusa con l'ufficio a venti metri dall'aula dell'udienza? E se il marito della signora Pontrelli Rosalba, già menzionato Procuratore Giuseppe Chieco, ha dichiarato di trovarsi nello stato di grave inimicizia con uno degli indagati/imputati? Del resto, dovrà pur spiegare il Pubblico Ministero l'asimmetria con cui vede l'ipotesi di reato. Si racconta di una trattativa per l'acquisto di una villa, si racconta del coinvolgimento del Procuratore e della di lui moglie. Si sollevano interrogativi sulla posizione del magistrato la cui Procura della Repubblica indagava il costruttore della villa proprio per quella costruzione. Ebbene come fa ad essere persona offesa la signora Pontrelli e non il magistrato Giuseppe Chieco? Dopo la diffamazione implicita (vicenda kafkiana che coinvolgeva un avvocato del foro di Matera, sempre in conseguenza delle vicende di Marinagri) ecco la diffamazione asimmetrica. Le nuove tipologie di reato perseguite con puntiglio dalla Procura della Repubblica materana. L'asimmetria raggiunge il culmine quando il Pubblico Ministero, nei capi d'imputazione, compie una vera e propria gimcana citando solo parzialmente l'occhiello dell’articolo: "La moglie del Procuratore in trattativa per una casa a Marinagri"; ma l'occhiello continua: “Ci chiediamo se è ancora opportuno mantenere la poltrona”. Non è una domanda sorta nella mente del giornalista. Identico quesito se l'era posto proprio Giuseppe Chieco nel 2007 (un anno prima dell'articolo incriminato) risolvendo il busillis a suo sfavore: “Chiederò di essere trasferito prima che lo faccia il CSM per incompatibilità ambientale”. Pare che ci abbia messo qualche anno e prima di chiedere, in epoca abbastanza recente, di essere trasferito. Deo gratias. 


Del merito, seguiranno dettagli, ovviamente! (tratto dal Blog www.attigiudiziari.blogspot.com)

giovedì 28 gennaio 2010

Banche, banchieri, Procure e politica: 120 anni e non sentirli"

Un recente sceneggiato televisivo ha raccontato la storia della Banca Romana. Un intrigo tutto italiano di fine ottocento. Non è dato sapere quanti italiani abbiano seguito quella storia e, di questi, quanti ne abbiano colto l'attualità. Per gli uni e per gli altri anzi, meglio, per tutti gli italiani, proponiamo una brillante sintesi formulata anni addietro dal grande giornalista Lorenzo del Boca e, subito a seguire, la sconcertante corrispondenza (recentissima) intrattenuta fra un cittadino solerte (troppo) alcune Procure della Repubblica (negligenti) ed il Comando Carabinieri (neghittoso) presso la Banca d'Italia (sorniona). Buona lettura e buon riposo


"Se ci sono corrotti e corruttori, la giustizia li colpirà" di Lorenzo del Boca
Gli istituti di credito, in quel 1889, avevano aumentato a sproposito la circolazione di moneta cartacea (oggi diremmo di “bond”, ndr) senza la necessaria copertura e si trovarono esposti con i loro clienti. Il colpo peggiore fu accusato dalla Banca Romana perché era quella che, nella generale irresponsabilità, aveva molto esagerato. Il suo presidente, Bernardo Tanlongo, per amicizie e con puntuali elargizioni, era riuscito a mettere la sordina alle chiacchiere ed a scongiurare lo scandalo. Ma venne il momento in cui non gli fu più possibile rimediare, il governo dovette nominare una commissione d’inchiesta perché controllasse conti e bilanci e incaricò il senatore Giacomo Alvisi di coordinarne i lavori. Subito si scoprì un ammanco di 9 milioni (equivalenti a circa 200 milioni di euro, ndr). Nulla, tuttavia, rispetto alle vere proporzioni dell’ammanco che risulterà essere di circa 70 milioni (attualizzabili in 1,3 miliardi di euro). Le prime comunicazioni, alla fine del giugno 1891, inquietarono i deputati che, spaventati per l’immaginabile contraccolpo sui mercati, chiesero di non sapere e di essere lasciati all’oscuro. Si dettero una giustificazione ipocrita: “Un’inchiesta del genere è utile al governo ma non è utile metterla in pubblico”. ( praticamente identica alla motivazione che si potrebbe definire dello “strepitus interruptus” con cui il CSM archivia il procedimento per il trasferimento d’ufficio del Procuratore Capo di Salerno, Dr. Luigi Apicella, vedi articolo a pagina 3). Il senatore Alvisi, che aveva preparato una relazione dettagliata con tanto di nomi e cognomi, non capì ma si adeguò e venne trovato morto prima che il governo ritenesse conveniente domandargli informazioni più dettagliate. Quell’uomo deve essere stato uno dei pochi che abbia preso sul serio il compito di inquirente affidatogli dal parlamento e, a differenza di troppi colleghi, non si preoccupò di insabbiare i documenti, modificare le dichiarazioni, mascherare l’evidente, truccare le carte. Nel frattempo il governo era finito a Giovanni Giolitti che credette di sbarazzarsi del problema predicando bene e razzolando male. In aula le sue dichiarazioni furono dettate dalla severità più risoluta: “Se ci sono corrotti e corruttori, la mano della giustizia li colpirà”. Ma poi lui stesso nascose sei plichi di documenti. Perché? Giolitti era implicato in modo non del tutto marginale. Personalmente gli addebitavano di aver approfittato della banca facendosi prestare 60 mila lire (1,2 milioni di euro, ndr) che il funzionario dell’istituto bancario, Dr. Cantoni, aveva consegnato al suo segretario. Ma il deputato spiegò di aver utilizzato la cifra per “impegni straordinari sostenuti dal Ministero degli Interni”. La conferma esibita fu la certificazione che, pochi giorni prima della scadenza, il Ministero degli Interni aveva restituito 61.500 lire. Non v’è, purtroppo, traccia dei documenti che dimostravano come erano stati spesi quei fondi. Tentarono di attribuirgli un secondo incasso di 40 (o 50) mila lire. Il postino fu indicato in Pietro Tanlongo (figlio del presidente di Banca Romana) ma questi negò al pari di Giolitti. Erano molto più compromessi gli avversari politici di Giolitti, nonostante grondassero moralismo da tutti i pori. Ed anche gli eroi del Risorgimento non lesinarono incursioni nelle finanze di Banca Romana. Le prime 69.000 lire furono date al deputato Francesco Pais Serra, nobile sardo con trascorsi e simpatie garibaldine. Poi altre 60.000 al Ministro dell’Istruzione, Ferdinando Martini. Non aveva onorato la cambiale neanche Federico Colajanni, deputato di L’Aquila, amico di Depretis. Restava in debito l’Avv. Siracusano Emilio Bufardieci, amico di Crispi, e non aveva pagato il debito l’On. Alessandro Narducci che era amico di tutti e due. Avevano preso soldi Edoardo Arbib e Raffaele Giovagnoli, due dei Mille. Risultavano nell’elenco dei clienti morosi il barone Gennaro di San Donato Sambiase Sanseverino che, non si sa con quanta solerzia, presiedeva la commissione parlamentare incaricata di riformare le banche, ed il segretario della medesima commissione, Ranieri Simonelli, pisano, ex segretario generale del Ministero dell’Agricoltura. Soldi anche per il giornalista Carlo Pancrazi, per il direttore del “Tempo” di Venezia, Roberto Galli. Per Giovanni Nicotera che aveva bisogno di 15.000 lire mensili per la sua “Tribuna”. Il direttore della “Gazzetta Piemontese” di Torino, Luigi Roux, volle invece guadagnare in modo più appropriato: avendo un giornale a disposizione ed essendo stato eletto deputato, si fece conferire l’incarico di addetto stampa del Minisero degli Interni. Obiezioni? Sembrava un parlamento di squattrinati che dovevano indebitarsi per tirare avanti. Gli elenchi dei morosi cominciavano con Avanzini Baldassarre e arrivavano sino a Tecchio Sebastiano, passando per Papa Ulisse e il battagliero Marziale Capo. Morì, fra le tratte inevase, Benedetto Cairoli, ex presidente del Consiglio. Il banchiere Tanlongo venne arrestato il 18 gennaio 1893. Nel processo della primavera 1894, i suoi avvocati invocarono la “ragion di Stato” essendo le irregolarità cagionate dallo stesso governo, il quale era intervenuto per sollecitare prestiti ad alcuni politici e finanziamenti a giornali di area governativa. Tanlongo andò assolto e Giolitti, considerato un faccendiere, un maneggione ed un intrallazzatore senza scrupoli, dovette lasciare la carica di presidente del Consiglio e riparare in Germania. Fu sostituito da Francesco Crispi, avido, ambizioso senza alcuno scrupolo. Le analisi economiche dimostrarono che la Banca Romana gli consegnò illegalmente 718.000 lire (14 milioni di euro) e almeno altrettanto venne elargito per il suo “entourage”



Banche, banchieri, Procure e politica: 120 anni e non sentirli di Nicola Piccenna

Messaggio n. 1 dell'8 gennaio 2010 h 19:04

da: -omissis-@inpspec.gov.it
A: prot.procura.catanzaro@giustiziacert.it, prot.procura.salerno@giustiziacert.it,
prot.pg.catanzaro@giustiziacert.it, prot.pg.salerno@giustiziacert.it,
prot.pg.cassazione@giustiziacert.it

Data : Fri, 8 Jan 2010 19:04:04 +0100
Oggetto: La Procura di Matera trascura, la Banca d'Italia ignora, l'usura prospera

In esclusiva l'informativa della Guardia di Finanza di Matera che sin dal 2008 aveva scoperto e segnalato gravissime anomalie al Procuratore Giuseppe Chieco ed al Sostituto Proc. Anziano Annunziata Cazzetta

La Procura di Matera trascura, la Banca d'Italia ignora, l'usura prospera

Il procedimento è del 2005, la Guardia di Finanza completa gli accertamenti nel 2009 (ma aveva già comunicato irregolarità nel marzo del 2008): "il tasso d'interesse superò il tasso soglia e fu applicato senza soluzione di continuità dal 1.1.1999 al 17.7.2003 (oltre quattro anni); la banca percepì indebitamente la somma di Euro 23.389,64". Signori si tratta di usura. Ma alla Procura di Matera non sembra interessare molto, tanto che il procedimento langue nei cassetti di un qualche magistrato dopo essere passato attraverso quelli del Procuratore Capo (Giuseppe Chieco) e del Sostituto Anziano (Annunziata Cazzetta), entrambi indagati dalle Procure di Catanzaro e Salerno per reati gravissimi compresa l'associazione per delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari. Sempre i finanzieri, richiamando quanto già segnalato nel marzo 2008, fanno notare:"il software gestionale (della banca, ndr) è stato bypassato affinché non segnalasse l'errata attuazione delle condizioni contrattuali". Il resto lo leggerete nel documento originale allegato integralmente. continua... http://attigiudiziari.blogspot.com/2010/01/la-procura-di-matera-trascura-la-banca.html?zx=1f322b963e95f219


RISPOSTA al Messaggio n. 1 del 14 gennaio 2010 h 10:28

da: Comando Banca d'Italia - Comando, 01/14/2010 10:28
a: -omissis-@inpspec.gov.it

Gentile Signor -omissis-,
in merito all'e-mail da lei inoltrata in data 9 gennaio 2010, Le comunico che il Comando Carabinieri Banca d'Italia non è competente in materia essendo altri i compiti istituzionalmente previsti dalla vigente Convenzione tra l'Arma e la Banca d'Italia; pertanto non potrà interessare, come richiesto, l'Ufficio Ispettivo dell'Istituto.
La prego, pertanto, di rivolgersi alla Compagnia Carabinieri di -omissis- località nella quale Lei afferma di dimorare.

Distinti saluti
Colonnello -omissis-


RISPOSTA alla risposta del Messaggio n. 1 – del 14 gennaio 2010 h 13:29

Re: POSTA CERTIFICATA: Richiesta inviata tramite posta elettronica certificata.
Da: – omissis-@inpspec.gov.it, 01/14/2010 13:29
a: srm24761@pec.carabinieri.it
cc: prot.procura.salerno@giustiziacert.it,
prot.pg.cassazione@giustiziacert.it,
prot.pg.salerno@giustiziacert.it

Egregio Col. -omissis-,
mi scuso per la scarsa conoscenza dei compiti affidati all'ufficio dell'Arma che dirige.
Pensavo, evidentemente errando, che un pubblico ufficiale quando viene a conoscenza di un reato perseguibile d'ufficio fosse in dovere (oltre che in potere) di procedere autonomamente nel dare impulso all'azione penale.
D'altro canto, Lei crede che il Comando dei Carabinieri di -omissis- (luogo in cui confermo di risiedere) abbia fra i suoi compiti quello di avvisare l'Ufficio Ispettorato della Banca d'Italia?
Suvvia, Colonnello -omissis-, Lei che è ad un tiro di schioppo dal cuore pulsante dell'Istituto Bankitalia, non passi la palla ad un remoto comando di provincia.
Consideri, signor Colonnello, che il reato di usura è già di per sé un crimine odioso, se poi viene perseguito da una banca con il favoreggiamento di una Procura della Repubblica diventa spaventoso.
Cordiali Saluti
-omissis-

Dalle ore 13:29 del 14 gennaio 2010: SILENZIO

sabato 9 gennaio 2010

Luigi de Magistris e la scomparsa dei nomi e dei fatti (reato)

C'era una volta il magistrato Luigi de Magistris protagonista di una delle più coraggiose indagini sulla criminalità dei potentati che hanno ridotto il Mezzogiorno d'Italia ad un ammasso d'inquinamento, malaffare, disoccupati e cassintegrati (stipendiati, come dice il Ministro Maroni). Quell'indagine ha documentato in atti giudiziari (grazie al contributo di un manipolo di ufficiali e sottufficiali dei Carabinieri e della Guardia di Finanza) l'esistenza di una rete di relazioni che consentiva di conoscere lo sviluppo delle indagini ed intralciarle. Si va dal piccolo intervento del capo della squadra mobile di Matera (Fucarino), che inverte la sequenza temporale di alcune conversazioni telefoniche intercettate per determinare false ipotesi di reato; all'avocazione illegittima del procedimento penale da parte di Dolcino Favi (Procuratore Generale facente funzioni). Dalle minacce di Giuseppe Chieco (Proc. Capo a Matera) verso un "suo" sostituto, colpevole di voler perquisire l'ufficio di un suo (di Chieco) amico che regala oggetti di valore alla sua (sempre di Chieco) stretta congiunta; all'organizzazione di testimonianze pilotate per danneggiare un noto PM scomodo, artefici Gaetano Bonomi (Sost. Proc. Gen. a Potenza) e un paio di generali dei Carabinieri. Dal PM (Annunziata Cazzetta) che ascolta le conversazioni telefoniche in cui De Magistris dispone indagini e verifiche a suo (Cazzetta) carico ed a carico del GIP (Angelo Onorati) che le autorizza le intercettazioni telefoniche per mesi e forse anni; a Giuseppe Chieco che si fa accompagnare dal comandante della Guardia di Finanza di Policoro quando decide di acquistare la casa al mare. Da Salvatore Curcio e Salvatore Murone (rispettivamente sostituto e procuratore aggiunto a Catanzaro) che ricevono la denuncia contro "Chieco Giuseppe Procuratore Capo presso la Procura della Repubblica di Matera" ed iscrivono il procedimento penale contro ignoti, a Rocco Alfano (sost. proc. a Salerno) che riceve denunce/querele per gravissimi fatti reato e le iscrive nel registro dei "fatti non costituenti notizie di reato". Da Laura Triassi (sost. proc. a Potenza) che riceve una denuncia per fatti e minacce con modalità mafiosa e trasmette il fascicolo alla Procura ordinaria dove vivono i presunti minaccianti; ad Annunziata Cazzetta che riceve un procedimento penale per brogli elettorali alle elezioni regionali del 2005 e a pochi mesi dalle elezioni regionali del 2010 non ha ancora definito il procedimento. Potremmo continuare a lungo, ma non eviteremmo, comunque, di far torto a qualcuno che merita di essere citato in questa disamina delle vergogne. Invece torniamo a Luigi de Magistris che, costretto a lasciare la toga da una serie di provvedimenti disciplinari che definiamo assurdi (per brevità), scese nell'agone politico diventando uno dei parlamentari europei più suffragati d'Italia.
Qualcosa era successo nell'opinione pubblica che, bombardata da un'informazione quasi a senso unico in cui il "de" era dipinto come la quintessenza dell'abuso giudiziario (lo definivano Sua Abnormità), aveva viceversa capito benissimo dove stavano le ragioni e dove gli abusi. Soprattutto, la gente aveva visto in lui una possibilità di riscatto e di ritorno al rispetto delle regole elementari del vivere civile che solo un sistema giudiziario credibile può tutelare. Stimato Dr. Luigi de Magistris, questa è stata la leva del suo successo elettorale e da qui dovrebbe partire per rispondere al mandato di rappresentanza che ha ricevuto. Si capisce che si tratta di un lavoro diverso, di una sfida tutta da conoscere e sviluppare. Ma su un punto non ci dovrebbero essere dubbi, non si può prescindere dalla concretezza. Da quella immediatezza comunicativa che ha consentito di superare la barriera dei media orientati ed essere intellegibile anche dal "normale" cittadino. Una cosa diversa dal pur apprezzabile intervento pubblicato in data 8 gennaio 2010: "La magistratura immobile e complice e il senso dello Stato". E' indispensabile tornare a parlare facendo nomi e cognomi e raccontando fatti e circostanze precise, solo così la gente capisce davvero. La politica con la "P" maiuscola, non può essere la politica delle affermazioni di principio o delle denunce generiche su cui pontificano anche i peggiori lestofanti. Anzi, questi sono i primi. Sarebbe utile dare un giudizio anche sui fatti politicamente scomodi per chi, come Lei, si identifica ideologicamente in uno schieramento, quelli di Bubbico e Maritati, quelli di Cesa e Minniti, quelli del petrolio lucano. Quelli della BNL di D'Alema e Fassino, costati il posto a Clementina Forleo che non ha esitato a scendere nell'agone mediatico pur di affermare le ragioni della democrazia e della Costituzione, evitando proprio al "de" di trovarsi isolato nel momento più delicato delle sue vicende professionali. Tutti indistintamente, come faceva da magistrato, solo che adesso l'elencazione non è finalizzata al rinvio a giudizio bensì all'affronto nelle sedi politiche della questione "giustizia" in tutte le sue accezioni (che poi produce comunque un rinvio, ma il giudizio in questo caso è quello degli elettori). Quale miglior sede della Corte di Giustizia Europea e del Parlamento di Strasburgo per difendere i diritti violati dei magistrati Gabriella Nuzzi, Dionigio Verasani, Luigi Apicella, Clementina Forleo e dei tanti ufficiali trasferiti perché avevano indagato e dei giornalisti perseguitati da decine di querele perché avevano informato?  Diversamente continueremo a dolerci di aver perso un ottimo e coraggioso magistrato, attività per cui l'Italia le deve grande riconoscenza.

p.s. segnalo che una sistematica pubblicazione degli atti giudiziari utili a conoscere cosa accade in Italia è disponibile sul blog: www.attigiudiziari.blogspot.com (nomi, cognomi, fatti e circostanze)

venerdì 8 gennaio 2010

L'arte (grossolana) di ostacolare l'autonomia del Pubblico Ministero

Soggetto solo alla Legge, dice la Costituzione, ma è una bufala. Da qualche tempo, apertamente, i magistrati sono soggetti ad una ben individuata progenie di politici, magistrati e membri del CSM che della Costituzione non conoscono nemmeno i rudimenti (se li conoscessero sarebbe peggio in quanto ne discenderebbe che sono responsabili dolosamente). L'avevamo detto (e scritto) qualche anno fa e non riusciamo a farcene vanto, purtroppo. La notizia pubblicata dai soliti noti (sono così pochi i giornalisti riconoscibili come tali ai neofiti del "mestiere") è chiara: Bruni come de Magistris. Strappato il fascicolo sulla Security Wind(si consiglia la lettura attenta dell'articolo pubblicato da http://www.antimafiaduemila.com/content/view/23644/78/); ma non è una novità.
E' un bel pezzo, ormai, che l'amministrazione della giustizia è nelle mani di alcuni (pochi) magistrati, membri del CSM e politici, tutti accomunati da spregiudicatezza e protervia che riescono a contrastare gli altrettanto pochi magistrati soggetti solo alla Legge grazie al silenzio di tanti magistrati prudenti.
Esistevano già evidenze: 1) nei procedimenti penali tenuti dai PM Gabriella Nuzzi e Dionigio Verasani di Salerno; 2) nelle dichiarazioni rese dal Dr. Bruni (lo stesso cui è stata sottratta l'inchiesta sulla security di Wind, che aveva ereditato l'inchiesta Why Not già del Dr. Luigi de Magistris); 3) in esplicite e documentate denunce presentate alla Procura di Salerno (Dr. Rocco Alfano - sost. proc., Dr. Franco Roberti - proc. capo: gli stessi che hanno "ereditato" i procedimenti penali che già furono di Nuzzi e Verasani); evidenze che mostravano come un'associazione per delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari fosse all'opera per operare lo smantellamento delle inchieste "scomode" e la delegittimazione dei magistrati che le avevano in "gestione" (l'espressione è ripetutamente utilizzata dai magistrati inquirenti e non già d'iniziativa dell'odierno cronista).
Nulla è stato fatto, nemmeno le richieste azioni cautelari che avrebbero interrotto l'iter delittuoso (che si sarebbe in tempo ad interrompere ancora oggi). Come è stato possibile? Per il silenzio dei più. Chi ce lo fa fare, deve pensare quella maggioranza silenziosa e costituzionalmente onesta di onesti impiegati statali che tenta di fare il proprio dovere come se la Repubblica Italiana fosse veramente fondata sul lavoro e se l'amministrazione della Giustizia garantisse i diritti inalienabili scritti nelle Leggi e nella Costituzione. Già, chi glielo fa fare. Ma vale per loro come per ciascuno di noi. Chi ce lo fa fare?
Una certezza: ogni arretramento, ogni silenzio, ogni mancata difesa dei diritti costituzionali è un pizzico di libertà che scompare. Come è accaduto per Toghe Lucane. Il silenzio inerte della Procura di Salerno ha consentito di aggravare gli illeciti denunciati e di commetterne degli altri. Quel silenzio di magistrati certamente onesti, quel ritardo di magistrati certamente inerti, produce molti più danni che le scarcerazioni di Adalgisa Rinardo, la scomparsa dell'accertata usura bancaria operata dalla ben nota Procura di Matera, l'abuso della querela come strumento per ingessare i giornalisti scomodi, l'assoluzione nel processo "Marinagri" senza convocare le parti offese.
Chissà se mai il Procuratore Generale di Salerno (S.E. Lucio Di Pietro) valuterà la possibilità di avocare le inchieste ex Nuzzi-Verasani che languono da quasi un anno nelle mani di 4 o 5 sostituti ed un Procuratore Capo dalle eccellenti doti.