giovedì 18 marzo 2010

Chi ti ha detto che eri nudo? L’origine del moralismo


Che fossero nudi, Adamo ed Eva, è un fatto. Addirittura un fatto costitutivo, erano stati creati così. Da questo dato oggettivo scaturiva un comportamento consequenziale: giravano nudi per il giardino dell’Eden. Così, quando ebbero a nascondersi all’arrivo del Creatore, Dio pose ad Adamo la domanda: “Chi ti ha detto che eri nudo”? Cioè, “da dove nasce il tuo giudizio morale”? Era appena nato il moralismo. La pretesa di possedere l’origine del giudizio: “Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene ed il male”. La pretesa moralistica, il singolo uomo arbitro e fonte della morale (conoscere il bene ed il male), stabilisce la divisione delle divisioni: la frattura fra la morale e l’origine della morale, fra l’uomo ed il creatore dell’uomo, fra la libertà e la natura della libertà. L’interruzione diabolica di questo rapporto (dia-ballo= dividere, separare) avviene stabilendo una nuova sorgente dell’azione: l’uomo da solo decide cosa è opportuno, cosa è lecito e cosa è impudico: “ero nudo e mi sono nascosto”. Il moralismo si mostra come una verità incontrovertibile, oggettiva: davvero erano nudi, tanto che contro il moralismo si fa fatica a trovare argomentazioni consistenti, almeno in prima battuta. Poiché la separazione dell’uomo dalla sua stessa natura (fatto a Sua immagine e somiglianza) lo rende incapace di atti ontologicamente morali. È nell’esperienza, quando si affronta la realtà, che ci si accorge di tutti i limiti di una posizione moralistica. Nascono così i partiti degli “onesti”, i profeti della “pubblica moralità”, le patenti di “uomini perbene”. E chi decide chi è dentro e chi fuori? Apparentemente si demanda ad una teoria di regole. Chi ti ha detto che eri nudo? La tabella tale, il codice etico, lo statuto del partito o dell’associazione, il casellario giudiziale. Invero l’esigenza di giustizia, di verità, di bellezza, in una parola di libertà, è talmente umana, talmente radicata nella natura stessa di ciascuno di noi da emergere insopprimibile anche nella situazione di divisione in cui siamo precipitati quando abbiamo posto a fondamento della vita e dei rapporti il moralismo, la nostra pretesa di incardinare l’origine del giudizio nella nostra personale conoscenza del bene e del male prescindendo dall’esperienza, in una sequenza di regole astratte, di leggi, di assunti. La nostra vera umanità riconosce e desidera aderire alla natura ultima del nostro essere. In pratica, realmente siamo in grado di distinguere il bene dal male solo che ci affidiamo a quello che il cristianesimo chiama il “cuore”: il contraccolpo che suscita in noi l’esperienza, il paragone con la realtà. “Ha mentito, è umano. Ha rubato, è umano. Ma questo non è il vero essere umano. Umano è essere generoso, umano è essere buono, umano è essere un uomo della giustizia e della prudenza vera, della saggezza” (Benedetto XVI). Qualche esempio chiarisce meglio di tanti discorsi. La legge prevedeva che in occasione della Pasqua un condannato a morte ricevesse la grazia. Fra Gesù e Barabba fu scelto il secondo. Dovendo distribuire la propria eredità, un genitore sceglie di fare parti uguali anche se un figlio è immensamente ricco, e l’eredità nulla cambia nella sua condizione, e l’altro assolutamente povero. “L’ingiustizia più grande è dividere in parti uguali fra diversi” (Don Lorenzo Milani). Non è immorale (o morale) l’uomo, lo sono le sue azioni che non vanno giudicate in base ad un decalogo bensì in relazione all’esperienza, al paragone con le esigenze del “cuore”. Così non è umano attribuire la patente di “onesti” ad una lista di candidati scelti sulla base di un certificato del casellario giudiziario allo stesso modo in cui non è umano riconoscere il passpartout a chi “assicura” gli interessi della “mia” parte abusando dell’altra. “Chi ti ha detto che eri nudo”?, questa è la domanda che mette in crisi i moralisti dell’una e dell’altra parte!

domenica 7 marzo 2010

I giudici soggetti solo al Governo, lo dice la Gazzetta Ufficiale

È un vecchio adagio che aleggia nelle aule dei ribunali di tutto il mondo, credo! “Le leggi per alcuni si applicano, per altri si interpretano”. Forse molti di noi ne hanno fatto esperienza diretta, seppur silenziosa e irriferibile pena alti strepiti e stracciamento di purpuree vesti. La consegna del silenzio valeva sino a qualche ora fa. Valeva quando il CSM trasferì ad altra funzione ed altra sede Luigi de Magistris, Gabriella Nuzzi, Dionigio Verasani rei di aver applicato la legge e svolto il proprio lavoro. Valeva quando i magistrati di Catanzaro sequestrarono i documenti relativi alle indagini a loro carico. Si ripresero, intepretando la legge a loro personale vantaggio, quanto era stato loro legittimamente sequestrato applicando la legge. Valeva, quando 700 cittadini di Matera chiesero al CSM di trasferire Vincenzo Tufano e Giuseppe Chieco, due magistrati indagati (e lo sono ancora oggi, in attesa che il Gip di Catanzaro si pronunci sulle diverse istanze di opposizione all’archiviazione delle pendenze loro ascritte) di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari. Valeva quando Clementina Forleo venne trasferita per non aver interpretato la legge a favore di Massimo D’Alema & Compagni (ex PCI) nell’affaire BNL-UNIPOL. Valeva in tanti altri casi, in tutti quelli in cui magistrati, giornalisti, avvocati, politici e cittadini comuni hanno preferito tacere, ignorare, girare il capo, tapparsi le orecchie e turarsi il naso. Non sono i potentati ad avere la responsabilità di questo silenzio omertoso, sono i singoli. Il magistrato, il giornalista, l’avvocato, il politico, il cittadino, ciascuno ha la responsabilità di aver taciuto per indole, per comodo, in verità per viltà. Questo è, anzi era, il dramma. La viltà di molti che ha reso esaltante e persino epico il sacrificio dei pochi magistrati, giornalisti, avvocati, politici e cittadini che non hanno piegato la schiena. Non è una questione di destra o di sinistra, nemmeno di centrismo più o meno ballerino ed opportunista. È una questione di uomini.
Ad ogni buon conto, è una questione risolta. Da oggi, per decreto ministeriale, è sancito che la legge si interpreta e non si applica. Di più, si stabilisce anche che ad interpretare non sono i magistrati, un tempo soggetti solo alla legge. Oggi interpreta il governo ed i magistrati diventano i notai delle interpretazioni governative. Così il capo dello Stato, invocato e silente in questi anni di sfacelo giudiziario ed oggi notaio acquiescente del nuovo corso. I magistrati sono soggetti non più alla legge ma all’interpretazione della stessa. Dettata, per decreto, dal governo in carica.
Finalmente lo potranno dire anche i pavidi, basterà che citino la Gazzetta Ufficiale e nessuno potrà disturbare la loro tranquilla esistenza di sudditi.