mercoledì 21 aprile 2010

Qualcuno lo deve pur dire


Come spesso accade, nell'Italietta degli ultimi 10-15 anni spessissimo, emergono fatti di tale gravità da documentare l'annichilimento dello Stato di Diritto. Ci era stato dato di assistere, nei primi di dicembre dell'A.D. 2008, all'operato di alcuni magistrati deviati che si erano sottratti al sequestro probatorio in un procedimento penale che li vedeva indagati semplicemente sequestrando a loro volta. Cioè abusando dei poteri loro conferiti perché difendessero e applicassero la Legge, li avevano usati per difendere il loro privato interesse. Qualsiasi altro cittadino, pubblico ufficiale, avvocato, parlamentare o vattelapesca, sottraendo cose e documenti sequestrati dall'Autorità Giudiziaria, se individuato, sarebbe stato arrestato. Loro no, per loro la Legge è più uguale, per loro la Legge coincide con un'opinione: la propria. Sono in molti a condividere siffatto convincimento anticostituzionale, tutti coloro che avendone la responsabilità ed i poteri nulla hanno fatto per interrompere le condotte criminose di LOMBARDI Mariano, MURONE Salvatore, FAVI Dolcino, IANNELLI Enzo, GARBATI Alfredo, DE LORENZO Domenico, CURCIO Salvatore Maria (Magistrati). Nemmeno quei magistrati di Salerno che oggi hanno stigmatizzato condotte criminose di tale gravità da postulare immediate esigenze cautelari. Quelle che la Legge impone quando vi è il rischio dell'inquinamento probatorio e della reiterazione del reato. Dicono, i dottori Maria Chiara Minerva, Rocco Alfano e Antonio Cantarella, Sost.ti Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Salerno, che i nominati “magistrati” si sono associati per delinquere e precisamente per addomesticare le indagini penali a carico di loro stessi e di sodali da cui ricevevano ora denari ora altre utilità. Dicono che lo hanno fatto arrampicandosi sugli specchi, eludendo scientemente il sistema normativo dettato a presidio della competenza per reati nei quali un Magistrato assume la qualità di persona sottoposta ad indagini ovvero di persona offesa o danneggiata, evocando a più riprese istituti processuali diversi ed incoerenti rispetto alla situazione venutasi a determinare e reiteratamente prospettata dall'A.G. funzionalmente competente. Non dicono i salernitani che tutte le massime autorità dello Stato poste a presidio delle garanzie costituzionali hanno taciuto (a volte) oppure hanno parlato difendendo siffatti magistrati e favorendone l'operato criminoso e criminogeno (più spesso). Non dicono, i salernitani, che ancora oggi, per il procedimento penale “Toghe Lucane” è stata intrapresa da subito un'opera di parcellizzazione dell'unitario contesto investigativo senza una piena cognizione degli atti del procedimento. Non dicono che molti degli indagati citati sono attualmente all'opera dove erano allora, con i metodi di allora che sono quelli di oggi. Non dicono i dottori Rocco Alfano eccetera, che hanno archiviato l'indagine a carico di Vincenzo Capomolla, erede di De Magistris in Toghe Lucane, e complice di Curcio, Iannelli, Murone, Favi e chissà quanti altri. Non dicono che l'hanno fatto mentendo su dati documentali presenti in atti e per i quali dovranno rispondere alla Procura di Napoli. Non dicono che i loro colleghi Gabriella Nuzzi, Dionigio Verasani e Luigi Apicella hanno pagato un prezzo professionale altissimo ed oggi si scopre che i “cattivi magistrati” (ma anche cattivi Presidenti della Repubblica, cattivi membri del CSM, cattivi ministri della Giustizia, cattivi Ispettori Ministeriali, cattivi e infedeli avvocati) che li hanno condannati hanno errato, sapendo di sbagliare, volendo sbagliare.
Sono imminenti le elezioni dei membri togati del CSM. Saranno eletti dei magistrati votati da altri magistrati. Mettiamo che un Procuratore titolare di indagini a carico di colleghi si voglia candidare. Peseranno di più i voti degli indagati o quelli dei coraggiosi che hanno subito pur di rispettare la Costituzione? Siamo ad una svolta delicatissima nella storia repubblicana, occorre un grande senso dello Stato ed una enorme stima della propria dignità personale per venirne fuori. Doti di cui riconosciamo alcuni “portatori sani” e che, auspichiamo, risveglino in tanti il fascino umano della libertà, della verità, della bellezza e della giustizia. Qualcuno lo deve pur dire, visto che i più guardano lontano quanto la punta delle proprie scarpe, rimandando sempre al raggiungimento del “gradino successivo” il momento di smettere con i compromessi e le neghittosità.

mercoledì 7 aprile 2010

Felicia, Filomena, Olimpia, Marisa e quella “lieta speranza” che rende la vita più umana

Le notizie si susseguono impetuose ed i commenti quasi le sopravanzano. Il ritrovamento dei poveri resti di Elisa Claps nel sottotetto della chiesa dedicata alla Santissima Trinità in Potenza ha prodotto un evento straordinario: l'attenzione dell'opinione pubblica nazionale su una tragica vicenda umana prima ancora che giudiziaria. Quella che sino a pochi giorni fa era per molti una scomparsa misteriosa, oggi è per tutti un omicidio efferato. Dai familiari di Elisa, stremati ma non vinti dopo diciassette anni di testimonianza civile, dignitosa e non priva di una qualche fierezza, sino agli inquirenti di oggi, senza tralasciare tanti cittadini “comuni”, tutti sono determinati a portare sino in fondo quel diritto/dovere alla verità ed alla giustizia che oggi sembra finalmente raggiungibile. Alcune evidenze arriveranno dai dati autoptici e dai rilievi della polizia scientifica e questo potrebbe disvelare persino l'identità dell'esecutore materiale del tremendo crimine, fondamentale. Altrettanto importanti saranno le domande cui l'unico indagato sarà chiamato a rispondere. Quelle domande che Felicia Genovese, PM all'epoca della scomparsa e per un lungo corso temporale a seguire, non pose all'indagato e poi imputato Danilo Restivo. Altri interrogativi, anche questi mai formulati dal signor PM, non possono più essere posti al prete che quel 12 settembre 1993 celebrò messa prima e dopo l'arrivo di Elisa nella chiesa da cui è uscita cadavere qualche settimana fa. Don Mimì è venuto a mancare da un paio d'anni, portando con sé il segreto di quel 12 settembre iniziato con le celebrazioni della domenica mattina e concluso in un centro termale da cui tornò dopo quattro giorni. Più d'uno ha visto e ascoltato Felicia Genovese interrogare gli imputati nei processi di mafia, incalzarli, metterli alle corde, sfiancarli ed inseguirli sino alla capitolazione. Qualcuno ha assistito agli interrogatori del medesimo magistrato a Danilo Restivo e Don Mimì Sabia. Registrati e ritrasmessi in questi giorni di rinnovato interesse mediatico. Toni pacati, poche domande, accenni di risposta già nella formulazione del quesito. E la conduzione delle indagini? La polizia che aspetta due ore l'autorizzazione per sequestrare i pantaloni ed il giubbotto sporco di sangue di Danilo Restivo quel 12 settembre e quell'ordine di “tornare in centrale” a mani vuote. I tabulati telefonici mai richiesti e mai acquisiti. E tutti gli errori successivi, negli anni e nelle altre indagini? Perché un magistrato esperto e determinato come Felicia Genovese commette tanti errori, perché ignora le piste sulla massoneria deviata suggerite dai carabinieri di Calanna, perché mantiene l'inchiesta sull'omicidio Gianfredi (1997) anche quando compare il coinvolgimento incolpevole di suo marito, perché non iscrive fra gli indagati l'avv. Labriola nell'inchiesta sui brogli elettorali (2005) di Scanzano Jonico? Sono domande che sono state poste da altri magistrati, alcune sono state oggetto di denuncia contro la D.ssa Genovese. Ma restano senza risposta, anche dopo l'archiviazione dei procedimenti penali. Sono domande che oggi più che mai sarebbe opportuno porre alla D.ssa Felicia Genovese e delle cui risposte la famiglia Claps, la famiglia Gianfredi, la famiglia Orioli, le famiglie dell'Associazione Penelope, la Lucania intera hanno diritto. Per riconciliarsi con quella Giustizia che non potrà restituire gli affetti prematuramente scomparsi ma che ha il dovere di individuare e perseguire i colpevoli. “Donna perché piangi?” disse Gesù a Maria di Màgdala e questa, credendolo il custode del giardino in cui era collocato il sepolcro, rispose: “Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo”. Quante volte, quante mamme hanno chiesto solo di sapere dove fosse il corpo del figlio scomparso. Quante volte abbiamo sentito questo grido da mamma Filomena? E adesso che la preghiera è stata esaudita non v'è forse bisogno di qualcosa d'altro per pacificare quel cuore straziato? Gesù rispose a Maria chiamandola per nome: “Maria”. Come a dire sono io la risposta alla morte, alla disperazione. Sono io la promessa della vita eterna. C'è un passaggio nella celebrazione del sacramento del Battesimo che commuove solo a ricordarlo: “Dio onnipotente, che per mezzo del suo Figlio, nato dalla vergine Maria, ha dato alle madri cristiane la lieta speranza della vita eterna per i loro figli, benedica voi mamme qui presenti...”. C'è forse una promessa più grande per una madre? C'è forse una speranza più pacificante? Dobbiamo solo pregare che la grazia della Pasqua raggiunga ogni uomo, che ciascuno si senta chiamare per nome da quel Cristo che solo può aiutarci a portare il peso di tanto dolore nella lieta speranza della vita eterna per i nostri figli, per i nostri cari e persino per i nostri nemici.