sabato 29 maggio 2010

Il PM che negò il sequestro e la perquisizione a carico di Danilo Restivo: Vita di magistrati e forse anche di massoni

Una cosa era certa sin dai primi giorni della scomparsa di Elisa Claps: la magistratura potentina non aveva agito con professionalità. Già solo per questo il magistrato che decise di non procedere al sequestro degli indumenti macchiati di sangue che Restivo indossava a poche ore dal delitto Claps avrebbe dovuto essere chiamato a render conto. Non condannato e nemmeno imputato, ma spiegare, giustificare, dire cosa gli era passato per la mente quando aveva negato la perquisizione a casa di Danilo Restivo, almeno questo sarebbe stato doveroso e, forse, inevitabile. Nulla fu fatto nulla fu domandato. Adesso che il martoriato corpo di Elisa ci ha parlato, questo è ancora più urgente. La Procura di Salerno non la pensa così, almeno tanto si evince dalle dichiarazioni e dagli atti posti in essere. Pare che nemmeno si siano procurati il nome di “quel” magistrato, nemmeno abbiano sentito dal questore Grimaldi chi gli negò l’ok. Nessuno ritiene che “quel” magistrato debba essere chiamato a spiegare. Eppure quelle carenze, quelle omissioni, meritano lo straccio di una risposta. Occorre eliminare i se ed i ma. E non si tratta di dietrologie ma dell’esatto opposto. Se nessuno risponde a domande ineludibili, nasce il pantano delle ipotesi. Non è sopportabile l’idea che una diversa gestione del caso Claps avrebbe potuto impedire altri delitti. Non è verosimile che i tabulati telefonici delle utenze Genovese-Cannizzaro relative agli anni 1994-1999, nelle disponibilità dei PM di Salerno Rosa Volpe da un decennio,  non raccontino di relazioni e frequentazioni significative del contesto in cui si svolgevano le indagini e non solo per il caso Claps. C'era la vicenda Gianfredi-Santarsiero, i due coniugi trucidati davanti ai loro figli. C’erano i procedimenti penali di Salerno in cui i coniugi Cannizzaro erano indagati ed anche parti offese. Sarebbe arrivata (2005) l'inchiesta sui brogli elettorali di Scanzano (Mt) con un carico di anomalie e sospetti così rilevanti da comportare autorevoli e decisivi interventi. Specie quando “dottoressa” sembrò non accorgersi delle ipotesi di responsabilità in capo all'avv. Nuccio Labriola e per questo (dice una relazione degli ispettori ministeriali) ottenne in contropartita la nomina a consulente della commissione antimafia per intercessione del (allora) Sen. Emilio Nicola Buccico (“maestro” di Nuccio Labriola, per usare le parole dello stesso apprendista “allievo”). Tutte storie gelatinose di una Lucania che si scopre crocevia dei delitti irrisolti per le gravi carenze investigative dei “soliti” magistrati. Una regione in cui non basta che il Procuratore Capo (G. Chieco) tratti affari immobiliari con indagati dalla “sua” Procura per allontanarlo dall’ufficio e nemmeno che si faccia accompagnare nelle visite per lo shopping personale da membri delle forze dell'ordine, si tratti di una stampante o di una villa al mare. Non è sufficiente che un PM (Annunziata Cazzetta) emetta un mandato di perquisizione scrivendo testualmente: finchè da ultimo, con l'articolo pubblicato sul nr. del 7.7.2007, sfidavano l'avv. Buccico ad uno scontro fisico con l'uso di armi, scrivendo: "... E no, caro strenuo difensore, la battaglia deve essere ad anni pari. Coraggio, almeno per una volta, una sfida medioevale. Un cavallo a testa, una lancia e via, per allontanarlo dalla magistratura e nemmeno per allontanarlo da una qualche responsabilità che comporti un corretta comprensione dell’italiano scritto. Assistiamo ad una strenua difesa della casta, ad un oltraggio all’evidenza, alla pretesa di annichilire la ragione prima ed oltre che gli uomini. Per nostra fortuna, la realtà è portatrice di evidenze tali da imporsi comunque. Il corpo di Elisa, diciassette anni dopo la morte, ci parla. Così aveva detto il Prof. Francesco Introna, consulente della Procura di Salerno. Ebbene, occorre che anche qualche corpo vivo inizi a parlare. Cominciando dal PM di quelle prime ore e proseguendo con la D.ssa Felicia Genovese, il Dr. Grimaldi (questore di Potenza quando fu uccisa Elisa) e quanti, con silenzi ed omissioni, hanno causato danni gravissimi allo stesso Danilo Restivo, alla Giustizia ed alle numerose vittime che hanno pagato per quella che appare coma un vero e proprio favoreggiamento delle condotte criminose. Non lo ha detto nessuno, nemmeno quei magistrati di Salerno che hanno tenuto l’inchiesta “Claps” per anni ed hanno avuto bisogno che parlasse un morto e che intervenisse la magistratura inglese per compiere qualche timido, incerto, parziale e tardivo passo. Vita di magistrati e forse anche di massoni. Nulla di male o di indecoroso a vestire un grembiulino e aspirare al cavalierato Kadosch. Ma cosa c’è di male a chiedersi come mai tanti protagonisti delle vicende lucane e qualche magistrato campano condividono affiliazioni di squadra e compasso? Henry John Woodcock, PM a Potenza (a quell’epoca) chiese a tutte le Prefetture d’Italia l’elenco degli affiliati alle Logge (è lì che si devono depositare perché l’associazione non sia segreta e, quindi, contra legem). Nessuna rispose e nessuno si azzardò a riproporre domande simili o (persino) concernenti l’episodio. I magistrati affiliati alla massoneria sono tenuti a dichiararlo, qualcuno può curarsi di verificare che l’abbiano fatto? Magari prima che un'apposita legge lo vieti!

sabato 15 maggio 2010

“Le mani in pasta… ed anche altrove”


Quell'area di via Cererie era, originariamente, proprietà di Giovanni Fragasso ed era adibita a cava di pietra. Infatti, Giovanni e suo figlio Vito erano costruttori di strade e quella cava serviva a produrre il materiale edile per questa attività. Nel 1913 Francesca Fragasso, figlia diciottenne di Giovanni, sposa Giovanni Padula che insieme al padre Giacinto è il fondatore della importante industria agroalimentare materana che prende il loro nome.


Nel 1935, Giovanni Padula acquista un piccolo mulino pastificio delle famiglie Tortorelli Lamacchia in via Lucana, promuovendone la modernizzazione tecnologica che lo porta, nel 1955, ad acquistare la quota restante dell'area di via Cererie dal cognato Vito Fragasso. La costruzione del pastificio inizia in quest'area nel 1962. Il pastificio viene inaugurato il 26 luglio 1963.


La storia del pastificio Padula, come tante semplici vicende della nostra terra, s'inerpica nella trasformazione di una società basata sui valori originati da una tradizione contadina e borghese post-feudale che si scontra con l'insorgente stato unitario nato dalla occupazione Savoiarda. Non è questo il tema che affronteremo, anzi ci occuperemo di tutt'altro. Ma sembrava utile conoscere la semplicità di una storia che è stata sottratta agli originali protagonisti in una girandola turbinosa di accadimenti da cui un dato emerge: la scomparsa della borghesia materana, che aveva saputo costruire intraprese valide e degne di rispetto se non addirittura di ammirazione, sostituita da una classe di faccendieri ancora più abili nel maneggiare denaro che non ha saputo costruire nulla che renda utile o edificante ricordarli.


Dei primi possiamo ancora raccontare del matrimonio tra Francesca Fragasso e Giovanni Padula, dei secondi non varrà nemmeno la pena ricordare i nomi.


“Le mani in pasta… ed anche altrove”
nelle edicole a Matera


Un instant book che riprende le vicende di cronaca degli ultimi anni, datandole puntigliosamente. Sono tante le circostanze che suscitano interesse e, spesso, un'ironia amara che ci risparmia la teoria dell'indignazione e della contumelia che pur, forse, non andrebbe evitata sempre e comunque. Non capita spesso che un gruppo di lavoratori russi, privi di visto adeguato, smontino una intera fabbrica (finanziata con i soldi pubblici arrivati dopo il disastroso terremoto del 1980) e se ne portino i pezzi nella Santa Madre Russia sotto gli sguardi inermi di magistrati, sindacalisti e Finanzieri imbelli. Sconcertante l'espressione del magistrato: “per fortuna non c'era l'aflatossina”, che si affrancava dalla ricerca della ocratossina, sostanza tossica, terafogena e cancerogena, segnalata in una partita di grano giunta anche a Matera. Per giungere al gran finale, quando il Commissario Prefettizio delibera, a pochi giorni dalla scadenza del suo mandato, nuovi orientamenti in materia di destinazione urbanistica. Un affare per centinaia di miliardi di lire, una scelta di straordinaria amministrazione assunta senza averne i poteri?


martedì 11 maggio 2010

L'analisi e le (inevitabili) conseguenze: ecco perché, secondo il c.p.p., il CSM (e non solo) andrebbe iscritto nel registro degli indagati per favoreggiamento dell'associazione per delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari!


Il recente intervento dell'ex magistrato Luigi Apicella (Panorama 13.5.2010), completa o, se preferite, rende elementare un'analisi già formalizzata in diverse sedi. Era stato sospeso dalle funzioni di magistrato e dallo stipendio per decisione del CSM. La colpa quella di aver firmato un atto di perquisizione e sequestro a carico di alcuni magistrati di Catanzaro. “Solo” trasferiti e dichiarati inadatti al compito di Pubblico Ministero, Gabriella Nuzzi e Dionigio Verasani, i due Sostituti Procuratori che quell'atto l'avevano formulato. I tre magistrati stavano indagando su gravissime ipotesi di reato a carico di colleghi delle Procure (Ordinaria e Generale) della Repubblica di Catanzaro in concorso con alti gradi della politica e, avendo chiesto formalmente ed in più fiate l'accesso ad atti costituenti materia d'inchiesta senza riceverli, avevano proceduto come se l'uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge fosse reale e non una mera dichiarazione scritta su una decrepita carta costituzionale. Imperdonabile ingenuità subito deplorata da destra a manca. Persino il Presidente della Repubblica aveva fatto sentire la sua autorevole voce chiedendo di acquisire atti che non poteva (e non doveva) conoscere, salvo precisare che il suo pensiero era diverso. In queste vicende nessuno ammette mai di aver sbagliato, si limitano a precisare che sono gli altri a non aver interpretato correttamente. Sarà! Nemmeno l’abuso del contro-sequestro, atto giudiziario paradossale in cui gli indagati sequestravano il materiale che era stato loro appena sequestrato, nemmeno questo inqualificabile abuso faceva scattare un briciolo di dignità istituzionale tra gli alti “prelati” della religione dello Stato; lorsignori dell’uguaglianza davanti alla legge non ricordano nemmeno l’enunciato. Poi i diversi gradi del giudizio riesame e cassazione avevano confermato i decreti di perquisizione e sequestro firmati da Apicella, Nuzzi e Verasani nel silenzio inerte di CSM, ANM, Napolitano e Ministri vari. Trasferiti e sospesi per atti validi! Infine, i colleghi che ne avevano ereditato i copiosi faldoni in quel di Salerno con l’ultimo atto. Quella recentissima chiusura delle indagini in cui si confermano le gravissime ipotesi di reato a carico dei magistrati “perquisiti” avanzate da Apicella, Nuzzi e Verasani. Almeno adesso ci si sarebbe aspettata l’adozione di una qualche misura di ristoro, non solo delle scuse inutilmente invocate da pochi. Nulla! CSM, ANM, Procuratore della Cassazione, Ministro e Napolitano tacciono e fanno finta di guardare altrove. Ma anche Apicella sbaglia a buttarla in politica con la storia (vera) che chi indaga sulle toghe indegne schierate a sinistra paga prezzi alti. Dice il vero, Apicella, ma sbaglia l’approccio. Egli dovrebbe chiedersi come mai, assodato che il CSM ha determinato dolosamente lo smantellamento delle inchieste Why Not e Poseidone sottraendole al giudice naturale (Luigi de Magistris), i membri della suprema assise che governa la magistratura non siano ancora stati iscritti nel registro degli indagati per favoreggiamento di quella (supposta) associazione per delinquere ipotizzata dai PM di Salerno. Infatti risulta accertato che il trasferimento di Luigi de Magistris prima e quello di Luigi Apicella, Gabriella Nuzzi e Dionigio Verasani, poi, siano avvenuti in spregio alle evidenze probatorie ed ai diritti di difesa e, comunque, abbiano consentito la realizzazione del piano di parcellizzazione e conseguente smantellamento delle inchieste. Buttarla in politica non serve. Serve chiedere il rispetto del Codice di Procedura Penale e dell’obbligo costituzionale dell’azione penale. Anche da parte dei magistrati inquirenti che avendo ben chiara l'ipotesi criminosa non possono ignorare chi l'ha architettata (forse), tollerata (evidentemente) e favorita (con atti e decisioni esplicite). E, siccome la categoria della domanda non appartiene alla procedura penale, occorre ricorrere alla categoria della querela. Potrebbe farlo un qualsiasi cittadino, poiché il vulnus arrecato dal CSM, dal Presidente Napolitano, dall’on. Mancino non colpisce solo Apicella, Nuzzi, Verasani, Forleo, de Magistris ma colpisce tutti gli italiani e l’intero sistema giudiziario. Ma sarebbe un bel segno che a querelare fosse un magistrato, magari in pensione, così, tanto per non essere direttamente esposto a vendette terribili. Oppure, in alternativa, un gruppo di magistrati in servizio, non ne occorrono mille, ne basterebbero anche solo 3, chessò, con qualche ex oggi parlamentare europeo.