mercoledì 17 luglio 2013

Domande al Viceministro Bubbico sullo stato dei serbatoi di scorie nucleari del Centro Enea-Trisaia di Rotondella

Quali iniziative assumerà Bubbico per informare i lucani e garantirne la sicurezza?
Un articolo, pubblicato sul settimanale “Il Resto” in data 9 giugno 2007, raccontava per filo e per segno quali sono i rischi che le barre di combustibile e i resti del riprocessamento del combustibile nucleare esausto, conservate presso il Centro Enea Trisaia a Rotondella, comportano per i Lucani e l'ambiente di un'area vastissima che comprende buona parte del Meridione d'Italia. Raccontava, anche, quali conseguenze avrebbero patito gli abitanti nel raggio di 400 chilometri in caso di incidente nucleare. Da quella data, nulla è cambiato anzi, quei serbatoi che erano “scaduti” da circa 25 anni oggi lo sono da 30. Trent'anni fa non garantivano più la tenuta di una poltiglia altamente corrosiva e radioattiva che da sola inquinerebbe l'ambiente per chilometri e chilometri, figuriamoci oggi. Come si sa, queste delicatissime questioni vengono trattate dal Ministero degli Interni ed oggi, un lucano, di quell'ufficio pubblico è Viceministro.

Illustrissimo sen. Filippo Bubbico, Lei cosa sa della sicurezza delle scorie nucleari custodite, negligentemente e neghittosamente, presso il Centro Trisaia di Rotondella? Quale piano a tutela della integrità delle popolazioni lucane ha predisposto il Ministero degli Interni in caso di incidente nucleare nel Centro Trisaia di Rotondella?

Illustrissimo signor viceministro, dieci anni fa (ed anche qualche giorno fa) lei sostenne di non conoscere l'intenzione del Governo Berlusconi di ubicare a Scanzano Jonico il sito unico delle scorie nucleari italiane mentre il sottosegretario Gianni Letta ed il Ministro Matteoli sostenevano il contrario (vedasi il verbale del Consiglio dei Ministri). Ebbene, oggi glielo chiediamo in anticipo così da evitare penose querele: Signor Viceministro Bubbico, Lei oggi cosa sa dello stato di conservazione dei rifiuti radioattivi del Centro Trisaia di Rotondella? Se nulla sa, potrebbe cortesemente informarsi a fare sapere qualcosa ai suoi concittadini lucani? (magari prima del 29 luglio prossimo!)

Dal settimanale “Il Resto” di Sabato 9 giugno 2007

NOI LUCANI, SEDUTI SULLA BOMBA ATOMICA

In una breve conferenza del gennaio 2003, il Dr. Nicola Maria Pace (sostituto procuratore in alcune importanti inchieste sul centro ITREC-Enea di Rotondella) spiegò la catastrofe che può verificarsi a poca distanza da Matera e che causerebbe morti certe nel raggio di 300-400 chilometri.
“Noi non ci saremo”. Quelli che ricordano questa celebre canzone dei “Nomadi” hanno dai cinquant’anni in su. Per questo occorre spiegare qualcosa prima di proseguire. “Vedremo soltanto una sfera di fuoco, più grande del sole più vasta del mondo...”; è l’incipit della catastrofe nucleare presagita nel drammatico testo del gruppo più “impegnato” degli anni sessanta. La fine dell’umanità dei buoni, oserei definirla “naif”, causata dall’umanità dei cattivi (imperialisti?). Il ritorno, la rinascita della vita dalla natura ma senza l’uomo. Una natura buona, saggia e positiva. Ecco spiegato il titolo; “noi non ci saremo”; perché siamo la parte negativa, rappresentiamo la cattiveria, la possibilità del male che tutto travolge e distrugge, ineluttabilmente, anche i buoni. Questa è l’utopia, quanto alcuni prevedono ed altri desiderano per poter poi dire: “ve l’avevo detto, io”! Diversa è la realtà. Non è immodificabile, non è ostaggio di uomini senza volto. È il banco di prova della nostra vita che ci è data affinché incida sulle cose e plasmi il mondo. O, almeno, ci provi. Così, per prima cosa, occorre conoscerla questa realtà, a cominciare dalla “sfera di fuoco” che potrebbe sorgere nel centro Enea di Rotondella. In una breve conferenza del gennaio 2003, il Dr. Nicola Maria Pace (sostituto procuratore, PM in alcune importanti inchieste sul centro ITREC-Enea di Rotondella) spiegò la catastrofe che può verificarsi a poca distanza da Matera e che causerebbe morti certe nel raggio di 300-400 chilometri. Parlò del combustibile nucleare esausto (barre e derivati) conservato (?) nel centro jonico. Il vocabolo “esausto” trae in inganno, dà l’idea di qualcosa che è attenuato, esaurito, svuotato. Invece significa l’esatto contrario. Si tratta di uranio o plutonio o qualche altra diavoleria radioattiva che non può essere più oggetto di reazione atomica controllata. Nelle centrali nucleari, le famose “barre” di combustibile vengono bombardate con fasci di particelle elementari ad alta energia. Semplificando potremo dire che una particella colpisce un atomo di uranio e lo spezza in due causando la scomparsa di qualche pezzettino di materia e la sua trasformazione in energia (E=MC2, A. Einstein). Nel trambusto, partono altre particelle che, a loro volta, spezzano altri atomi e la storia continua. Si chiama “reazione a catena” che, lasciata a se stessa, diventerebbe una esplosione nucleare. Le “barre” usate nelle centrali, fortunatamente, contengono alcune sostanze che assorbono le particelle eccedenti e stabilizzano la reazione, mantenendo costante il rapporto fra atomi colpiti e nuove particelle in grado di spaccare atomi integri. Quando queste sostanze “assorbenti” si riducono, il combustibile si dice esaurito ma, come ben capite, si tratta di un oggetto tutt’altro che innocuo. Possiamo definirlo un “cattivo” soggetto, da trattare con le molle. Tolto dalla centrale, bisogna conservarlo in condizioni di temperatura tale da evitare l’innesco della reazione atomica tipo Hiroshima. Come per Rotondella, spesso questa condizione viene realizzata mediante immersione in acqua corrente che a contatto con lo zoppo (radioattivo) impara a zoppicare. Qualcuno dovrebbe spiegare che fine fa quest’acqua altamente radioattiva. Altra tecnica, prevede il parziale riciclo, tecnicamente detto riprocessamento. La “barra” viene sminuzzata con speciali punzoni e sciolta in liquidi tremendamente corrosivi. Mediante centrifugazione, si estrae dalla poltiglia l’uranio ancora presente che viene riciclato in nuovi componenti combustibili. Resta la poltiglia, altamente radioattiva e terribilmente corrosiva. Anch’essa bisogna che sia raffreddata costantemente in appositi serbatoi adatti per resistere ai fortissimi acidi. Quelli di Rotondella sono “scaduti” da oltre vent’anni e, invece che sostituirli, vengono rabberciati dopo ogni perdita. Le diverse centinaia di barili di “terreno decorticato”, visibili ad occhio nudo nei capannoni dell’Enea (ammesso che abbiate l’autorizzazione per entrare ed una tuta anti radiazioni per restare in vita un tempo sufficiente per raccontarlo) narrano la storia dei vari incidenti che hanno inquinato i terreni circostanti il centro ITREC e chissà cos’altro. I lucani, i calabresi, i campani ed i pugliesi vivono così. Seduti sulla polveriera radioattiva in cui è conservata la busta “top secret”, rigorosamente in inglese tecnico, su cui campeggia la scritta: “da aprire solo in caso di incidente nucleare”. Vi lesse, il temerario dr. Pace, dopo aver superato dinieghi e resistenze difficili da spiegare, che sono in pericolo immediato di vita tutti gli abitanti nel raggio di 400-500 chilometri e poi via via con disegnini e cerchi concentrici sempre più larghi e di diverso colore. “Ma noi non ci sareeeemoooo, noi non ci sareeeeeemooo”. Forse. (di Claudio Galante)

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