domenica 15 giugno 2014

Luca e Marirosa: i nostri morti

C'era una volta un avvocato che, durante il processo contro un giornalista reo di essersi occupato di un tragico fatto di cronaca nera, cominciò l'arringa finale dicendo forte: “questi morti non sono proprietà privata, nemmeno dei loro stessi familiari di cui rispettiamo il dolore. Questi morti sono nostri, di tutta la società civile che ha diritto di sapere chi o cosa li ha uccisi e di chiedere la punizione per gli assassini, se mai verranno scoperti”!
Ecco perché s'impone una riflessione e soprattutto un moto di civismo per i “nostri” Luca e Marirosa, trovati senza vita in una stanza da bagno 26 anni fa a Policoro, piccola cittadina sul Mar Jonio in provincia di Matera.
Per troppo tempo abbiamo abdicato al dovere etico di informare ed a quello civico di pretendere che l'autorità giudiziaria svolgesse con la massima diligenza i compiti suoi propri. Vittime anche noi di un tragico equivoco: che i morti siano una proprietà privata delle famiglie di origine. Tanto che ne vogliano rivendicare giustizia quanto che ne chiedano oblio.
Non è così, non è così!
Nel pomeriggio del 23 marzo 1988 e nella notte che ne seguì, accaddero gli eventi che privarono il mondo di due giovani vite piene di bellezza, di gioie, di progetti e desideri del divenire. S'incontrarono, Luca e Marirosa, appena rientrati dalle università di Milano e Napoli dove avevano appena superato l'esame a Giurisprudenza (lui) e Lingue (lei), gli ultimi appuntati sui loro libretti! Non immaginavano certo quanto breve tempo, appena una manciata di ore, gli restava da vivere e di quei sogni, desideri, progetti il definitivo distacco.
Li trovarono ufficialmente intorno alla mezzanotte, in casa di lei, nel bagno. In pochi minuti arrivarono amici, parenti e conoscenti; per ultimi i Carabinieri!
 
Erano nudi ma Luca aveva un jeans che gli copriva i genitali. Qualcuno, però, dichiara di averlo visto nudo, Luca, con i genitali gonfi come chi è stato vittima di pestaggio.
 
C'era acqua nella vasca da bagno, dice qualcuno ma qualcun altro afferma il contrario.
 
Un solo fotografo riprende la scena usando una sola macchina fotografica e stando in piedi su una sedia, ma le fotografie sono scattate da angolazioni diverse e con almeno tre macchine fotografiche e tre diversi tipi di flash.
 
Marirosa è nella vasca da bagno, con una gamba a penzoloni fuori dal bordo. Luca disteso sul pavimento, vicino alla vasca con le braccia raccolte sul petto e le mani chiuse a formare deboli pugni. Parallelo alla vasca da bagno, dicono alcuni. Obliquo, ribattono altri, confortati dalle fotografie di cui si sono persi i negativi.
 
Mai ricevuti dicono i carabinieri. Consegnati come sempre, ribadisce il fotografo che dopo sei anni, chiamato a chiarire le circostanze di quel “servizio fotografico” dichiara: “queste non sono le mie foto, queste non sono foto di un professionista”. Ma, dopo pochi giorni, torna dai Carabinieri spontaneamente e cambia tutto: “non sono più sicuro che non siano le mie foto ma nemmeno sono sicuro che lo siano”.
 
Quel fotografo è morto da tempo e le domande che non gli sono state fatte allora non gliele potrà più fare nessuno.
 
C'è un altro fotografo, spunta fuori nel 2007, dice di essere stato lui a scattare le foto quella tragica notte. Dice che la casa era deserta e la porta l'aprirono i Carabinieri che avevano la chiave in caserma. Se quello che racconta è vero, lui è stato in casa prima del ritrovamento “ufficiale”, perché da quel momento la casa non è mai stata vuota. Ma non gli credono.
 
Il PM titolare delle indagini si lascia andare ad una confidenza sotto l'ombrellone: “Uffaaaa, proprio a me dovevano dare questo caso? Ma io l'archivio, io l'archivio”! E, per archiviare, il secondo fotografo non può essere credibile né si può mettere alle strette il carabiniere che avrebbe accompagnato il fotografo a casa di Marirosa il quale non ricorda perfettamente quell'episodio.
 
Troppo difficile spiegare perché i fogli del giornale di caserma del 24 marzo 1988 sono pieni di pasticciate correzioni. Quel libro, riporta il dettaglio di chi ha fatto cosa, ora per ora, giorno per giorno, mese per mese. Sempre impeccabili, quei fogli. Sempre firmati dal comandante. Sempre, tranne che il 24 marzo 1988. Cancellature, abrasioni ed una firma irriconoscibile ma forse no. Una “M” con i riccioletti può essere una pista ma viene anche questa ignorata.
 
È una tragedia scoprire che la propria migliore amica è morta e non la si incontrerà più. È terribile che il proprio migliore amico sia scomparso così tragicamente. Ma da tutti gli amici e le amiche di Luca e Marirosa, ed erano tanti, non si ottengono due sole versioni coincidenti. Sembra che ognuno abbia vissuto un'altra “commorienza” con modalità e particolari, anche importanti, molto diversi tra loro.
 
“Andammo a Napoli a prendere la sorella di Marirosa ma, quando arrivammo, siamo colà giunti intorno alle ore 10.00, non la trovammo perché era passato a prenderla il fidanzato”, questo dichiarò Chiara ai Carabinieri il 30 luglio 1994. Il 24 Marzo 1988 “sono giunti a Napoli degli amici di Matera. Mi hanno detto che mia sorella era morta. Poiché gli stessi mi avevano detto che Marco ne era già al corrente e che sarebbe passato a prendermi, l'ho aspettato e siamo partiti per Policoro” (dichiarazioni rese da Francesca ai Carabinieri di Policoro il 22 maggio 1994).
Sono decine le incongruenze e le contraddizioni nei racconti di una vicenda pasticciata in cui ci si domanda se ciascuno dica davvero tutto quello che sa e molto di quello che si dice appare artefatto e contraddittorio.
 
Poi, inattesa, arriva la scoperta più inquietante. Il vice-pretore onorario, Avv. Ferdinando Izzo, che intervenne quella notte trista su delega del Pubblico Ministero Dr. Vincenzo Autera, dichiarò al PM Eva Toscani il 9 aprile del 1997: “...nella vasca da bagno vi era la ragazza e fuori dalla stessa, ma non completamente, il ragazzo...”. E sempre durante quello stesso colloquio, Izzo disse: “...Quella stessa sera concordai con i Carabinieri che l'indomani si sarebbe svolta la visita esterna dei due cadaveri...”.
A quale sera si riferiva, visto che il suo arrivo sulla scena è intorno alle due del mattino? Quel colloquio terminò con l'incriminazione dell'avv. Izzo: “A questo punto il P.M. rilevato che a carico dell'Avv. Izzo emergono indizi di reità per l'ipotesi di cui agli artt. 110, 476, 479 c.p.,sospende l'esame ed avverte lo stesso che potranno essere svolte indagini sul suo conto e della facoltà di nominarsi un difensore di fiducia”.
 
Eva Toscani chiese per Izzo l'archiviazione il 18/11/1997, respinta. La richiese il 28/2/1998, respinta. Poi la D.ssa Toscani si astenne ed il Procuratore della Repubblica, Giovanni Leonardi, chiese per Izzo il rinvio a giudizio in data 26/11/1998. Per Ferdinando Izzo, finì con un proscioglimento con formula ampia. Nessuno gli ha mai chiesto conto di quel racconto al PM che descrive una scena tanto diversa da quella “ufficiale”.
 
Recentemente, durante una udienza pubblica, un avvocato ha rivendicato per Izzo il “diritto all'oblio”. Alcuni ci hanno tenuto a dire che, dopo la terza archiviazione del “caso” (a 26 anni dalla morte) Luca e Marirosa, finalmente, riposeranno in pace.
Si sbagliano, costoro, perché Luca e Marirosa riposano in pace dal primo istante in cui sono morti.
Mentre, non riposeranno mai in pace coloro che sanno e non parlano, troppo grande il peso che hanno sulla coscienza.
L'oblio che cercano forse arriverà, forse la piccola pattuglia di giornalisti che ha studiato e reso pubblico il “caso” si arrenderà un giorno alle querele, alle condanne, agli sberleffi di cui sono stati fatti oggetto. Forse! Ma questo non consentirà una sola notte di sonno sereno a coloro che, da 26 anni e 82 giorni conoscono il segreto di quelle morti e fanno di tutto per farcene dimenticare. Luca e Marirosa sono i nostri morti!
(13/6/2014) di Filippo de Lubac

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